FIRENZE – Dopo una mostra a lei dedicata nel 2004, Maria Lai (Ulassai, 27 settembre 1919 – Cardedu, 16 aprile 2013) torna nelle Gallerie degli Uffizi in occasione dell’8 marzo. L’opera dell’artista, che coniuga la tradizione della civiltà sarda con i linguaggi dell’arte contemporanea, si è imposta in settant’anni di attività, non solo a livello nazionale, ma anche internazionale. Lo dimostra la sua presenza, l’anno scorso, sia alla Biennale di Venezia, sia a Documenta di Kassel.
La rassegna, a cura diElena Pontiggia, dal titolo “Il filo e l’infinito” che Firenze dedica a questa grande donna e artista, ha come tema conduttore appunto “il filo”.
SpiegaEike Schmidt, direttore delle Gallerie degli Uffizi: “Al centro di questa rassegna sta il mezzo più tipico del suo lavoro cioè quel filo che “lega e collega” in maniera senz’altro viva e che infatti spesso rimane libero e non ancora cucito: tra i vari riferimenti mitologici non può che ricordare Penelope che tesse durante il giorno e nella notte scioglie i fili”. Così i “telai scultorei” realizzati tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta del Novecento, con la loro disposizione di fili paralleli o radiali possono alludere anche alle casse di risonanza degli strumenti a corda, e perciò evocare melodie e ritmi musicali, come tra l’altro avviene con le sculture bronzee e marmoree di Barbara Hepworth che includono stringhe. I fili in tensione, quelli cuciti e quelli che cadono liberamente, disegnano forme e paesaggi che interagiscono con spazi, volumi e testi, senza tuttavia mai formare delle reti. Si tratta di una prassi del tutto analogica, che implicitamente rifiuta la metafora guida della nostra era digitale, e invece cuce insieme e dissolve il libro, medium per eccellenza della memoria e della comunicazione: il libro, le cui righe di scrittura si confondono con le sottolineature e con i piccoli, arricciati disegni marginali, che a loro volta insieme alle lettere diventano segnalibri, o si mescolano con i nidi di fili della rilegatura allentata. La parola pura, immateriale, diventa tattile”.
La mostra celebra la ricerca dell’artista che si è svolta per più di un settantennio, con un costante rinnovarsi del linguaggio che la porta dal realismo lirico degli anni Quaranta alle scelte informali dei tardi anni Cinquanta e dai lavori polimaterici dei primi anni Sessanta alle successive opere concettuali.
Legarsi alla montagna, che si vede nei video con cui idealmente si apre questa mostra, è la prima opera relazionale compiuta in Italia e si ispira a un’antica leggenda che tutti a Ulassai conoscevano: la storia di una bambina che, durante un furioso temporale, esce dalla grotta dove si era rifugiata, attratta da un bellissimo nastro che vola nel cielo e, con quel gesto a prima vista azzardato, si salva da una frana devastante. L’insegnamento della leggenda è semplice: la bellezza e l’arte, apparentemente così inutili, ci salvano la vita.
Il primo filo da considerare in questa mostra è dunque quel nastro ormai distrutto (strisce di tela lunghe in tutto ventisei chilometri) con cui Maria Lai entra nella scena dell’arte contemporanea internazionale.
Nel 1967 Maria Lai realizza Oggetto-paesaggio, esposto nella prima sala della mostra. Si tratta di un telaio disfatto, ingombro di fili spezzati e senza ordine, che occupa lo spazio come un totem. Una scultura/installazione che dialoga con l’arte concettuale, in particolare con il Nouveau Réalisme di Arman e Spoerri, e più ancora con le “armi” di Pascali, dell’anno precedente. Già qui il rapporto doppio col passato e con la contemporaneità è caratteristico della ricerca di Maria Lai e porta ogni suo lavoro a essere al tempo stesso aperto ai linguaggi dell’oggi e legato alle proprie radici e alla propria storia.
Seguono le Tele cucite, che da un lato continuano a evocare il mondo arcaico dell’arte tessile della Sardegna, dall’altro si inseriscono in quella ricerca espressiva che lavora non sulla tela, ma con la tela dialogando quindi con i polimaterici di Prampolini, i Sacchi di Burri, le Tele fasciate di Scarpitta, i tessuti irrigiditi dal caolino di Piero Manzoni, le tele di Castellani e Bonalumi o in quelle svuotate di Dadamaino.
Il passo successive sono le Scritture dalle quali nascono, sempre alla fine degli anni Settanta , secondo un percorso strettamente consequenziale, i Libri che spesso si compongono in fiabe visive: tra le prime, Tenendo per mano l’ombra, del 1987, incentrato sulla capacità di accettare il negativo che è in noi tutti.
Non mancano infine riferimenti a Firenze nell’opera dell’artista sarda: dalle mappe immaginarie di Leonardo da Vinci copiate a Firenze, fino all’opera Il mare ha bisogno di fichi, realizzata nel 1986 in occasione del ventesimo anniversario dell’alluvione del 4 novembre 1966.
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Vademecum
Il Filo e l’infinito – Maria Lai
Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti, Firenze
8 marzo – 3 giugno 2018
Chiuso lunedì
Orari: martedì – domenica dalle 8.15 -18.50
tel. 055 294883