MILANO – Mario Schifano. Qualcos’altro è la mostra che la galleria Gió Marconi di Milano ospita a partire dal 22 gennaio 2020.
L’emblematico titolo si riferisce a un’opera del 1960 che Schifano realizza appena ventiseienne e a un polittico del 1962 che figura tra le opere esposte. “Qualcos’altro” sta forse a indicare che ciò che l’artista intendeva dipingere doveva essere diverso da quanto si vedeva in giro; ma è anche un intento programmatico espresso in due parole: il monocromo, inteso come tabula rasa, è già pronto a trasformarsi in luogo di proiezione, campo fotografico in cui si metteranno a fuoco dettagli, particolari, frazioni di immagini.
Al centro della mostra ci sono dunque i monocromi realizzati da Schifano tra il 1960 e il 1962. Schifano, in anticipo su gli altri protagonisti della scena romana dell’epoca, intende con i suoi monocromi non solo azzerare la superficie del quadro, anche come risposta all’informale, ma attribuirle un altro punto di vista, “inquadrarla”, proporre un nuovo modo di vedere e di fare pittura.
Il primo a capire che la superficie dei monocromi è semplicemente uno schermo sarà Maurizio Calvesi che, nel catalogo della mostra alla Galleria Odyssia (1963), scrive: “Erano quadri originalissimi: verniciati con una sola tinta o due, a coprire l’intero rettangolo della superficie o due rettangoli accostati… Un numero o delle lettere (ma solo talvolta) isolati o marcati simmetricamente; qualche gobba della carta, qualche scolatura: il movimento della pittura era tutto lì.”
“Pensavo che dipingere significasse partire da qualcosa di assolutamente primario…” – racconta l’artista – “I primi quadri soltanto gialli con dentro niente, immagini vuote, non volevano dir nulla. Andavano di là, o di qua, di qualsiasi intenzione culturale. Volevano essere loro stessi… Fare un quadro giallo era fare un quadro giallo e basta”.
Azzeramento del gesto e del senso, dunque, un semplice pretesto per fare una pittura che riparta da zero, un incipit a qualcosa di diverso. Ma il monocromo, inteso come tabula rasa, è già pronto a trasformarsi in luogo di proiezione, campo fotografico in cui si metteranno a fuoco dettagli, particolari, frazioni di immagini. “Qualcos’altro” suona insomma anche come un qualcosa di profetico. Gli “schermi” si riempiranno infatti presto dei nuovi segni della vita moderna.
I monocromi sono affiancati anche da un nucleo di lavori su carta degli stessi anni. Sarà inoltre pubblicato un giornale della mostra in formato tabloid con contenuti inediti dell’artista e un contributo di Riccardo Venturi e Alberto Salvadori.
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