ROMA – Sicuramente la prima cosa che salta immediatamente all’occhio dialogando con Alfred Mirashi Milot, artista di origine albanese, classe 1969, è la sua schiettezza nel trasmettere esattamente ciò che pensa senza troppi formalismi, l’energia che trasuda da ogni parola pronunciata e la passione per l’arte che rappresenta la sua forza e la spinta propulsiva ad andare comunque e sempre avanti, anche di fronte alle difficoltà. E’ stata proprio questa passione a spingere Milot a partire da Durazzo nel 1991, a bordo di una nave con oltre 5000 persone, alla volta dell’Italia. La ricerca artistica di Milot si muove su diversi linguaggi che vanno dalla pittura alla scultura, alle grandi installazioni, facendo convivere, in un perfetto equilibrio, differenti suggestioni culturali.
Milot ci racconta da dove è cominciata la sua avventura artistica?
Sono arrivato a Brindisi molto giovane, nel 1991. In Albania erano anni difficili, io frequentavo il Liceo artistico a Durazzo, ma provenendo da una famiglia di Kulak (ovvero di proprietari terrieri) di Milot, nel distretto di Kurbin nel Nord Albania, era difficile frequentare l’Università. Il regime politico comunista, infatti, non lo permetteva. Era un sistema rigido, ma anche di miseria intellettuale, per cui il proseguimento degli studi era pressoché impossibile. Una sorta di condanna da cui non si poteva sfuggire. Per fortuna dunque sono venuto in Italia. Da Brindisi, dove sono sbarcato, sono andato a Napoli e successivamente a Cervinara, un paese in provincia di Avellino. Poi Firenze (dove tutt’ora vive ndr) e Milano, dove ho frequentato l’Accademia di Brera. Con una borsa di studio Erasmus sono partito per l’Inghilterra, per studiare vicino a Nottingham. Subito dopo ho vissuto alcuni anni a New York. Avevo pensato di partire per gli Stati Uniti, dopo aver vinto un premio di pittura a Brera quindi, come si dice, per battere il ferro quando è ancora caldo. Avevo circa 27/28 anni, ma quello newyorkese era un ambiente difficilissimo e sono tornato in Italia. A trent’anni ho fatto una grande mostra al Maschio Angioino a Napoli, una grande soddisfazione, tre piani con tutte le mie opere. Da li, insomma, è iniziata la mia carriera.
La sua è un’arte, sia che si tratti di pittura che di scultura, ricca di riferimenti al mondo mediterraneo, di citazioni classiche, con un’occhio sempre rivolto alle origini, ma a volte anche con spunti che richiamano l’oriente…
Si ci sono molti riferimenti che coesistono. Mi sento molto legato alla mia cultura albanese, che ha avuto diverse influenze come quella greca e romana. Geograficamente l’Albania confina con molti altri Stati, per cui sono stati molti gli influssi culturali. Abbiamo una storia ricca e bella. Per me il passato è estremamente importante. Se non conosciamo la nostra storia non possiamo avere neppure un futuro e quindi trasmettere qualcosa di importante alle prossime generazioni. Il mio legame con la cultura albanese è evidente anche dal fatto che ho scelto come nome d’arte ‘Milot’, che è il nome della città in cui sono nato, un piccolo paese rurale di circa 10 mila abitanti. Insomma, ho fatto come Leonardo da Vinci e MIchelangelo Merisi da Caravaggio (ride ndr).
Per quanto riguarda i richiami all’oriente dipende dal fatto che sono andato e vado spesso in Cina, dove ho conosciuto un grande collezionista e dove da 4/5 anni insegno. Parto ogni tre mesi e resto li per circa quindici giorni. Ovviamente ora tutto è fermo a causa del Covid. Comunque è evidente che per me lo scambio culturale è fondamentale.
La chiave è un tema ricorrente nelle sue opere, qual è il suo significato, cosa simboleggia?
La chiave è simbolo di apertura, quindi in qualche modo si ricollega all’apertura mentale in genere e in particolare a quella verso le altre culture senza pregiudizi. E’ quindi un invito ad aprirsi gli uni agli altri. Il mio desiderio è quello di risvegliare la curiosità delle persone e non guardare le cose solo in superficie. Poi la chiave è un immagine universale, un oggetto che si usa in tutto il mondo, facile da riconoscere. L’idea di realizzare chiavi storte invece fa riferimento alle difficoltà che ci sono nella società, a quello che c’è di “storto”, che non va. Difficoltà che nessuno dovrebbe avere. Sono sensibile a questo tema visto che ne ho vissute tante sulla mia pelle. Ma comunque bisogna sempre andare avanti, darsi da fare con forza e con coraggio.
E per quanto riguarda le opere astratte? Come originano?
La pittura astratta ha fatto parte sin dall’inizio della mia ricerca perché rappresenta anch’essa un legame con le mie origini. L’uso di colori vivaci deriva dalle colorazioni dei nostri vestiti folkloristici, come quelli da sposa, ad esempio. Sono costumi stupendi. Una tradizione che si tramanda da secoli. Questa armonia di colori è quindi entrata nella mia arte.
Non solo artista ma anche curatore…
L’esperienza curatoriale è parte della mia attività perché quando mi piacciono degli artisti cerco di aiutarli. Lo faccio con passione, a volte ho ricevuto critiche. Ma io sono fatto così. Il sistema dell’arte è complesso e non dà molto. I giovani artisti spesso non hanno spazio e sostegno. Si investe poco sui giovani e sulla loro crescita artistica. Alla fine l’artista per andare avanti deve avere una forte personalità e credere fermamente in ciò che fa.
Come vede l’attuale scena artistica albanese?
Sono tanti gli artisti albanesi in Europa e sono anche molto forti. Tra questi cito Helidon Xhixha, abbiamo studiato insieme sia in Albania che a Brera. Lui è molto produttivo e attivo, ma ce ne sono molti altri.
Ha desiderio di tornare in Albania magari per portare avanti qualche progetto?
Il mio sogno è realizzare una chiave nella città dove sono nato, mi farebbe onore e piacere. Tornare a vivere in Albania invece no, il mondo è grande e io cerco di fare tante cose in tanti paesi. Per ora “combatto” qui, poi nella vita non si sa mai.
Progetti a breve e lungo termine?
Attualmente c’è in piedi un progetto per Avellino. Il presidente della provincia, Domenico Biancardi, mi ha offerto davvero una grande opportunità. Realizzerò una chiave che sarà la più grande scultura in Europa di tutti i tempi (50 metri). L’inaugurazione è prevista per fine marzo, primi di aprile 2021, Covid permettendo. Il progetto comunque è pronto. A inizio gennaio verrà messo il basamento in ferro e cemento nella piazza. E’ un po’ una sorta di Colosso di Rodi. Ma anche come il sogno di un bambino che pensa di fare delle cose gigantesche. Io a Firenze abito di fronte alla Cupola del Brunelleschi e al Campanile di Giotto, in Piazza Duomo, e ogni volta che guardo queste meraviglie mi viene da pensare che devo fare anch’io qualcosa di colossale.
Sto realizzando il progetto per Avellino in un momento in cui il mondo è chiuso, in cui la paura ci ha paralizzato e distrutto l’autostima. Questa scultura vuole allora essere un messaggiodi speranza, di pace e di solidarietà. L’Italia da sempre è stato un paese di incontro di differenti culture. Questa chiave rappresenta appunto apertura, accettazione e scambio, che significa ricchezza. Il confronto con l’altro è importantissimo. Inoltre vuole essere anche un auspicio affinché tutti possano trovare la chiave per realizzare i propri obiettivi, non solo nell’arte, ma anche nella vita di tutti i giorni.
Un altro progetto futuro è invece in Cina. Sono stato invitato dal museo di Jinan, nella città di Shandong, a realizzare una scultura di 30 metri. Ma se ne parlerà nel 2021.
Foto Michele Stanzione
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