MILANO – Il tema dell’oro è al centro dell’esposizione a cura di Melania Rossi, ospitata nell’ambito di Buildingbox, il progetto annuale, nato nel 2018, in seno alla galleria Building di Milano, che presenta, all’interno di una delle vetrine della galleria, mostre tematiche con opere di un differente artista ogni mese, visibili 24 ore su 24, notte e giorno. Buildingbox si basa dunque su un’estensione temporale e ha lo scopo di costruire un luogo indipendente, caratterizzato da un progetto autonomo rispetto alla programmazione della galleria.
Titolo del progetto di quest’anno, inaugurato lo scorso 12 gennaio, è la “La Forma dell’oro” . I 12 artisti selezionati produrranno installazioni, perlopiù site specific, indagando le potenzialità dell’oro, attraverso differenti linguaggi, ciascuno secondo il proprio punto di vista.
A raccontare il progetto ad ArteMagazine è la sua curatrice, Melania Rossi.
Il tema dell’oro suggerisce un forte legame con il passato. Si tratta, infatti, di un elemento declinato nel tempo in varie forme e con differenti significati. Da cosa nasce questo interesse e perché hai sviluppato l’idea di indagare un materiale così complesso? Che significato assume oggi rispetto al passato?
L’idea di indagare questo materiale gira nella mia testa da tanto tempo. Ho studiato Storia dell’arte a Firenze e quindi ero circondata da collezioni di fondi oro, tavole medievali e primo rinascimentali. Quando, ad esempio, mi trovavo a studiare e osservare le opere alla Galleria dell’Accademia, che ha la più vasta collezione europea di fondi oro, allestita tutta al primo piano dell’edificio, avevo l’impressione di trovarmi dentro un’installazione immersiva. C’era qualcosa di fortemente contemporaneo. Opere ricche di simbologie nascoste, quasi una sorta di rebus da decifrare, enigmi che mi ricordavano l’arte concettuale. Quell’oro aveva una fortissima carica simbolica che ritrovavo anche negli artisti contemporanei che, di fatto poi, non hanno mai abbandonato l’utilizzo di questo materiale. Ho quindi cominciato a chiedermi in che modo venisse impiegato dagli artisti di oggi questo metallo nobile. Le tecniche sono ancora quelle antiche, come la foglia oro, il lustro, la doratura, quindi di epoca medievale, se non addirittura precedente. L’oro era, infatti, già utilizzato dagli antichi egizi che lo chiamavano “carne degli dei”, o dai romani, per i quali “aurum” era l’alba, il sole che sorge. Insomma, questo materiale era avvolto da un’aurea mistica, ma anche connesso a un sistema di valori e significati differenti, da quello spirituale a quello materiale. Rappresenta la luce divina, ma anche il vizio umano, il lusso e tutto ciò che è legato alla vanità terrena. Ho dunque notato che gli artisti contemporanei utilizzavano le antiche tecniche di lavorazione dell’oro, facendo però passare messaggi molto diversi, attraverso paradossi, ribaltamenti di senso. Trovano in questo materiale una grande risorsa, proprio per la sua dualità, per questa convivenza di bene e male. Risalendo la china dell’uso dell’oro fino ai giorni nostri, sono arrivata a elaborare questo progetto espositivo. Inizialmente doveva essere una collettiva, una sorta di groupshow con vari esponenti e autori contemporanei che utilizzassero l’oro nella maniera più disparata, considerandolo materiale plastico oppure colore, per le sue proprietà pittoriche. Alla fine è sopraggiunta la pandemia e quindi la mostra collettiva era troppo complicata da realizzare, con le opere che sarebbero dovute arrivare da varie città europee, per cui ho trovato nella formula di Buildingbox una possibilità interessante, che permette di concentrarsi, di mese in mese, su una sola installazione, su un solo utilizzo di questo materiale. Sono infatti presentate 12 installazioni in 12 mesi.
Ad aprire la rassegna è Paolo Canevari, che definisce la sua poetica “Minimalismo Barocco”. Come descriveresti il suo lavoro? C’è un motivo particolare per cui hai deciso di inaugurare con lui?
Esordisco con Paolo Canevari proprio per quello che dicevo prima, ovvero l’utilizzo dei fondi oro da parte degli artisti contemporanei, che io ritrovavo in opere anche molto lontane nel tempo. Canevari ha realizzato pale d’altare completamente dorate che, per forma e misura, sono un richiamo alla tradizione medievale e ad alcuni polittici fiamminghi. La differenza con la tradizione è che nel caso di Canevari non c’è immagine, non c’è figurazione. Non sono raffigurati santi, né parabole, c’è soltanto questo “silenzio dorato”. Canevari ha iniziato a produrre i “Monumenti della memoria”, di cui i tre “Golden Works” attualmente esposti a Buildingbox fanno parte, nel 2011/12, per rispondere in maniera radicale alla Babele di immagini alla quale eravamo e siamo tuttora sottoposti. Eliminare l’immagine significava per lui ripulire questo flusso energetico e fare in modo che il pubblico, e l’artista stesso, potessero proiettare nelle opere i propri ricordi, la propria fantasia, la propria immaginazione. Ed è quello che succede di fronte a questi lavori. “Minimalismo Barocco” è una definizione che lui ha usato per tutto il suo operato, caratterizzato da questa sorta di iconoclastia, anche piuttosto oscura, fatta eccezione per i “Golden Works”, che sono molto luminosi, quasi riflettenti. Canevari spesso utilizza la gomma degli pneumatici, producendo lavori molto scuri, sordi e, appunto, assolutamente iconoclasti. Rifiuta ogni sorta di narrazione che non venga dal materiale stesso. Da una parte, dunque, minimalismo vista l’assenza di figurazione e narrazione, dall’altra una grande carica di significato e un forte impatto visivo, che si ritrova nell’arte barocca.
Le superfici riflettenti di Canevari creano dunque una forte interazione con il pubblico…
Tutti i lavori per Buildingbox, nel corso di questo 2021, hanno questa caratteristica. A parte quelli di Canevari e pochi altri lavori, che sono stati selezionati, la maggior parte degli artisti stanno realizzando e realizzeranno dei lavori site specific, quindi inediti. I prossimi tre artisti, Emiliano Maggi, Rä di Martino e Antonello Viola, realizzeranno opere appositamente per questo progetto e quindi, a maggior ragione, ci sarà questa idea di comunicare e instaurare un rapporto con il pubblico, che vedrà qualcosa d’inedito attraverso un vetro. Solitamente si è abituati ad avvicinarsi alle opere, a vederle senza filtri. In questo caso, invece, si può sostare quanto si vuole, senza bisogno di permessi, di prenotazioni, ma in maniera schermata. Diciamo che è un po’ una sfida anche per gli stessi artisti.
L’arte in vetrina in questo caso ha ovviato alle problematiche causate dall’emergenza sanitaria. Quali prospettive intravedi nella fruizione dell’arte?
Spero che gli artisti siano liberi di poter creare le loro opere che possano essere viste in tutti i modi possibili, girandoci intorno, avvicinandosi, in qualche caso anche toccandole. Spero che l’attuale situazione sia solo una cosa temporanea. In questo caso, il discorso della vetrina non nasce con la pandemia. Ci sono stati tanti progetti, anche lontani nel tempo, di opere in vetrina. Ma spero che non diventerà l’unico modo per approcciarsi all’arte. Inoltre, continuo a non comprendere la problematica relativa all’apertura dei musei. Non ci sono mai state gallerie così gremite, tranne che durante le inaugurazioni, ma la situazione è gestibile. Anche per quanto riguarda i musei, i flussi di persone sono contingentabili, c’è sorveglianza in ogni spazio. E’ solo una questione di tempo per organizzarsi.
Premesso che l’arte deve essere fruita dal vivo, che ne pensi delle iniziative sul web?
Ho visto anche cose molto interessanti, ho ascoltato tanti miei colleghi e io stessa ho fatto dei video durante il lockdown. Penso che il web possa essere uno strumento utile per coinvolgere più pubblico, per poter spiegare anche progetti di mostre e opere. C’è bisogno anche di questo. Spesso il pubblico notava assenza di spiegazioni all’interno dei musei, quindi il web potrebbe aiutare a sbloccare un sistema che risulta ancora un po’ antiquato. Difficilmente i musei e le istituzioni hanno utilizzato queste tecnologie in maniera fruttuosa, virtuosa. Un sistema da una parte un po’ snobbato, dall’altra non capito. Se questo può portare a uno svecchiamento delle istituzioni e dei musei è un cosa positiva.
Le due cose possono andare di pari passo …
Penso proprio di si. Il web è utile per l’informazione, per l’approfondimento, ma non credo alla possibilità di fare mostre online, cioè che possano essere viste solo attraverso la virtualità. L’esperienza dell’opera d’arte dal vivo è un’altra cosa. Filosofi e studiosi nel corso della storia hanno teorizzato il discorso dell’aura dell’opera d’arte, che solo dal vivo si esprime al massimo e crea un contatto con lo spettatore.
Tornando agli altri artisti selezionati per “La forma dell’oro”, puoi anticipare qualcosa?
Sono artisti di varie generazioni, ci molti sono italiani. Ho voluto dare spazio agli artisti italiani perché in questo momento sono molto interessanti, ma ci sono anche artisti internazionali, come Jan Fabre, con cui io lavoro da tanti anni. Ci sarà José Angelino, artista che lavorerà con l’ossidazione dei metalli e quindi anche quella dell’oro attraverso l’energia elettrica. Angelino lavora con i flussi naturali, è un fisico di formazione e userà l’oro più da un punto di vista alchemico e chimico. Ci sarà Delphine Valli, artista francese, ormai naturalizzata italiana, con una installazione site specific, Davide Monaldi, artista molto giovane che lavora con la ceramica. Lui userà il lustro oro in una maniera molto ironica, molto leggera. Poi ancora Sophie Ko, Antonello Viola, Emiliano Maggi anche loro con dei site specific e altri artisti che però non svelo perché stanno elaborando due lavori site specific che voglio discutere con loro, quindi lasciamo dei puntini di sospensione.
Con quali criteri sono stati scelti?
Ho dovuto fare una selezione molto rigorosa perché 12 artisti sembrano tanti, ma in realtà non è così. Si tratta di artisti con i quali collaboro, che seguo e la cui ricerca mi interessa. Alcuni di loro sono stati selezionati per l’ultima Manifesta Marsiglia, nel progetto “Real Utopias” da me curato insieme a Bianca Cerrina Feroni. Soprattutto mi sono fatta guidare da questo discorso dell’oro, nel senso che non ho voluto chiedere ad artisti che già non utilizzassero questo elemento nel loro linguaggio, di produrre un’opera. Non avrebbe avuto senso, ho scelto artisti di cui conoscevo la ricerca e che sapevo che avevano già affrontato e metabolizzato questo materiale.
In relazione allo spazio espositivo così particolare, com’è stato l’approccio curatoriale e allestitivo?
Ho condiviso molto con tutti gli artisti selezionati sulla base di quanto appena detto. Non aveva senso che io allestissi le opere senza interpellare gli artisti. La vetrina è uno spazio piccolo, piuttosto regolare, come dimensioni e conformazione, ma che va allestito in maniera forte, che sia d’impatto. Io sono generalmente abituata a lavorare in maniera molto più complessa. In questo caso, insieme agli artisti siamo riusciti a elaborare delle idee che valorizzassero lo spazio e che fossero giuste per le loro opere. E’ chiaro che, in considerazione della situazione, gli allestimenti vengono fatti perlopiù online. La galleria Building è molto professionale, ha uno staff fantastico e quindi insieme a loro riusciamo a fare le cose un pò in presenza e un po’ a distanza, come è per tutti in questo momento. La cosa importante è sicuramente lavorare bene sulle luci, soprattutto perché un materiale come l’oro cambia molto con il riflesso della luce. La cosa interessante di Buildingbox, che rientra nel loro progetto, è il fatto che la vetrina è visibile 24 ore su 24, sette giorni su sette, quindi le installazioni appaiono sempre diverse nel corso della giornata. A seconda di come riflette la luce cambia tutta l’atmosfera e la percezione dell’opera. Buildingbox funziona così dalla sua nascita, dal 2018. Ogni anno lo spazio viene affidato a un curatore diverso che propone un progetto. Rispetto a una galleria che ha una sua programmazione autonoma di mostre, la vetrina si comporta in maniera diversa, quasi museale. Per un anno c’è una programmazione coerente, gestita da una persona, da un curatore, ed è molto stimolante.
Questo progetto è molto impegnativo, visto che occupa ben 12 mesi, ma hai altri progetti in programma?
Per l’autunno/inverno 2021 sto lavorando a un progetto con l’artista bolognese, Maurizio Finotto, per il Museo Archeologico di Napoli. E’ chiaro che le collaborazioni con i musei statali sono abbastanza faticose in questo momento, perché con le chiusure gli interlocutori non sono sempre presenti. Stiamo comunque andando avanti. Si tratta di un progetto molto interessante. Sempre con Finotto sto lavorando a un’installazione video per la Biennale di Architettura di Venezia, che dovrebbe svolgersi, speriamo, a maggio. Poi ho altri progetti all’estero con Jan Fabre. Al momento è tutto ancora un po’ incerto, comunque si continua a lavorare, anche perché bisogna essere pronti per quando le cose ripartiranno.
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Vademecum
La forma dell’oro
a cura di Melania Rossi
da gennaio 2021, 12 artisti in 12 mesi
BUILDINGBOX
via Monte di Pietà 23, 20121 Milano
Visibile 24/7