Dipinge per raccontare un Afghanistan diverso da quello che conosciamo attraverso le immagini dei Tg o che scorrono sui nostri cellulari attraverso i social media. Vuole raccontare un Afghanistan reale, un paese pieno di cultura e di colori, dove dipingere, cantare e suonare non siano un delitto da punire nel peggiore dei modi. Nazir Rahguzar, è arrivato a Roma da pochissime settimane, grazie all’aiuto ricevuto dall’università. Si è lasciato alle spalle l’Afghanistan invaso dai Talebani, l’aeroporto gremito di uomini e donne braccati e in fuga, la sua galleria d’arte chiusa di notte per non essere ucciso e tutte le sue opere nascoste a casa di amici affidabili e coraggiosi che non hanno esitato a mettersi in pericolo per salvare quello che gli era più caro. È arrivato a Roma lasciandosi alla spalle un paese speciale e martoriato, i genitori che non son potuti partire, una città ormai nelle mani dei più intransigenti tra i guerriglieri. Lo ha fatto per dare un futuro alla sua famiglia e per continuare a fare l’unica cosa che un artista sa e vuole fare: dipingere le sue opere, creare la sua arte.

Ad aiutarlo la professoressa Mara Matta che coordina l’insegnamento di Global Humanities all’Università di Roma La Sapienza. «Abbiamo anche alcuni studenti afghani che studiano con noi e sono stati loro a chiedermi di intervenire per salvare Nazir, che in Afghanistan è un artista affermato, e la sua famiglia. Tutte persone in pericolo proprio per le loro occupazioni: la moglie di Nazir è un’istruttrice di yoga, la figlia una giovane artista in erba. Anche il fratello, arrivato a Roma con loro, è un ex giocatore della nazionale di calcio afghana». Per loro, per aiutarli a lasciare un Afghanistan ormai abbandonato nelle mani dei Talebani, sono intervenuti tanti italiani. «Abbiamo attivato una raccolta di fondi immediata per sostenere le prime spese attraverso l’Associazione Arcs Culture Solidali (causale: un filo rosso per Kabul) e un crowdfunding a lunga durata attraverso l’università. Ma si devono ringraziare anche coloro che si sono resi disponibili ad ospitarli, perché trovare un luogo dove vivere è la prima necessità da soddisfare». Nel caso di Nazir si tratta di Pietro Folena, presidente di Associazione MetaMorfosi, e di sua moglie, l’avvocato Andrea Catizone, che hanno offerto a Nazir e alla sua famiglia l’ospitalità che gli permetterà di superare le difficoltà dell’arrivo e dei primi giorni in Italia. Ora l’obiettivo è riuscire a far arrivare in Italia una trentina di studentesse del gruppo di Nazir. «Stiamo cercando di attivare delle borse di studio che permettano a queste ragazze di avere un alloggio, la mensa gratis e l’esenzione dalle tasse universitarie. Sono tutte giovani, dai 18 ai 28 anni, ed erano abituate allo studio, dalle lettere all’economia».

L’arte proibita dell’Afganistan
«Ho vissuto tutta la mia vita nell’antica città di Herat, nell’ovest dell’Afghanistan – racconta ad ArteMagazine Nazir – e dopo la scuola, ho continuato a studiare in Iran fino a laurearmi. Poi sono tornato nel mio paese, dove ho lavorato come artista e insegnante. Recentemente, dopo aver conseguito la laurea magistrale, avevo cominciato ad insegnare alla Facoltà di Belle Arti dell’Università di Herat». Ma è l’arrivo dei Talebani a stravolgere tutti i piani. «Prima del loro arrivo avevamo molte mostre d’arte all’università e nelle gallerie – racconta – pittura, calligrafia, miniatura, tante forme d’arte. Ma ormai era diventato davvero impossibile fare una mostra d’arte perché negli Stati Islamici tutte le sue forme sono state proibite».

La fonte d’ispirazione: la sua terra prima dei Talebani
Ora Nazir è tornato a dipingere. «Voglio continuare a lavorare qui da voi per raccontare alle nuove generazioni d’Europa che non siamo persone come quelle che guardi ammassate sui social media, abbiamo una cultura forte ma sfortunatamente la maggior parte dei nostri vicini sta cercando di distruggerla». Le opere che ci mostra raccontano un Afghanistan vivace, tra ombre e colori, paesaggi solitari, profili di minareti, natura e città. Non c’è la guerra, non c’è la cultura dell’oppressione che invece ogni giorno ci evocano le immagini che arrivano dall’attualità. «Le mie opere d’arte raccontano la mia società, che è una forte fonte di ispirazione. Nel bene e nel male prendo tutto dal mio Paese, capisco la mancanza di felicità della mia gente e sto cercando di dire tutto questo a chi guarda le mie opere».

«Con i Talebani per vivere, e dipingere, devi andartene»
«Ho iniziato a dipingere con il metodo classico al liceo, poi ho continuato con metodi diversi e ora dipingo in un modo tutto mio che è una combinazione di molte cose, anche se preferisco il formale rispetto ad altro – continua Nazir che è in attesa di un nuovo futuro come insegnante in una scuola. – mi sono lasciato tutto alle spalle. Mio padre, mia madre, i miei amici, i miei dipinti, la mia università. E’ stato ed è molto doloroso. Nella mia galleria d’arte ad Herat si tenevano corsi di musica, di pittura, di miniatura, di calligrafia. Eppure la notte in cui i Talebani hanno preso il controllo di Herat, ho dovuto chiudere tutto e nascondermi, fino a quando non sono riuscito a trovare delle persone che mi hanno aiutato a tirar fuori da lì le mie opere. E così anche i miei colleghi artisti. Non so dove siano ora, sicuramente in pericolo. L’attuale regime non crede nell’arte: non puoi lavorare più. Devi vivere senz’arte oppure andartene».
