FIRENZE – Curata dal direttore del Museo Novecento Sergio Risaliti, con Nicoletta Mongini e Chiara Gatti e organizzata da MUS.E, la mostra “Monte Verità. Back to nature”, aperta dal 19 novembre 2021 al 10 aprile 2022, ripercorre l’esperienza centenaria di Monte Verità (Ascona Canton Ticino), la celebre collina dell’utopia, buen retiro di tanti artisti e intellettuali del Novecento. Dall’anarchico Bakunin al coreografo ungherese Rudolf von Laban, dal teorico anarco-comunista Pëtr Kropotkin al dadaista Hugo Ball, dalla danzatrice Isadora Duncan al grande scrittore Hermann Hesse; e, ancora, dall’architetto del Bauhaus Walter Gropius agli artisti Hans Arp e Paul Klee, da Carl Gustav Jung fino al curatore Harald Szeemann che, affascinato dalla storia del luogo, gli dedicò nel 1978 una mostra itinerante in Europa dal titolo emblematico “Monte Verità. Le mammelle della verità”.
A dare una spiegazione di cosa rappresentasse questo luogo alla metà del Novecento è Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento di Firenze.
“Alla metà del XIX secolo, con il successo globale del positivismo e la rivoluzione industriale, il rapporto mitico e favoloso con l’aperto salta. La natura non è più inviolabile, e la madre terra si trasforma in materia senza spirito, in cosa inanimata, tutta a disposizione del progresso e del capitalismo sempre più dilagante” – scrive Risaliti. – “La Ragione domina il mondo e sfocerà nei suoi estremismi in un annientamento di libertà e differenze, generando conflitti disastrosi per la supremazia degli uni sugli altri. Ecco allora che dalla metà dell’ottocento molti artisti ricercano un nuovo contatto primigenio con l’aperto cercando nella natura selvaggia o in civiltà adamitiche quanto si andava perdendo da questa parte del mondo civilizzato. Da qui nacquero comunità utopiche come quella del Monte Verità sulle colline di Ascona, un luogo divenuto mitico nel giro di pochi decenni, la cui aura si sprigiona ancora oggi. Qui trovarono un rifugio spirituale e creativo personalità di primo piano della cultura artistica dei primi decenni del novecento, come Laban e Isadora Duncan, Arp e Klee, assieme a letterati e filosofi come Hesse e Jung. Avanguardie in fuga dall’orrore di due guerre fratricide e poi da una sempre più evidente distruzione dell’armonia tra uomo e natura. Ecco spiegate le ragioni di una mostra dedicata a questa comunità che intreccia sentimenti romantici e anarchia, filosofia della natura e scienza sacra. Oggi che termini come ‘vegetariano’, ‘pacifismo’, ‘sostenibilità’ sono imperativi categorici nell’evoluzione della nostra civiltà, il Monte Verità torna ad essere un riferimento per quanti non si accontentano dell’inerzia politica e del cinismo sempre più disastroso dell’economia globale. Il Museo Novecento con questa mostra ribadisce la sua funzione di laboratorio culturale, sociale e politico, nel solco di una tradizione umanistica che vede l’arte responsabile del cambiamento”.
Germinata dalle costole del romanticismo e dell’anarchismo ottocenteschi, la vocazione dei coloni rappresenta la prima, vera e larvale reazione storica alle conquiste dannose della modernità: industrializzazione e inurbamento, individualismo e sfruttamento, divari sociali, repressione e militarismo.
“Portare Monte Verità a Firenze, culla di arte e cultura, è la conferma che questo luogo continua a potersi raccontare per la modernità che lo ha contraddistinto sin dalla sua nascita” commenta Nicoletta Mongini, Responsabile Cultura della Fondazione Monte Verità. “E’ stato un crocevia di idee, di visioni rivoluzionarie e di eccezionali pensatori, primo fra tutti Harald Szeemann, cui questo progetto rende omaggio.”

Alimentazione vegana, elioterapia e nudismo, ginnastica, danza e meditazione furono le pratiche quotidiane di una comunità che ha ispirato poi, fra i tanti soggetti, anche la nota pellicola del 2018 di Mario Martone, Capri-Revolution.
“Nella lunga letteratura della fuga, che ha visto molti autori all’alba della modernità salpare verso geografie lontane e vergini, Monte Verità ha rappresentato per tanti un rifugio ma anche una fonte di ispirazione” commenta Chiara Gatti, storica e critica dell’arte. “Il sogno edenico di un mondo pastorale affonda le radici nel mito del ‘buon selvaggio’ e si mescola con le idee anarchiche diffuse dalla pittura di Paul Signac o Camille Pissarro. Gli artisti, sul Monte, da Segal ad Arp, si sono nutriti della stessa utopia, traghettandola verso forme nuove, che dal naturalismo li ha condotti all’astratto”.
Un percorso in tre tappe
Il percorso della mostra è diviso fra le origini filosofiche del Monte, lo sviluppo della sua architettura e l’arte della danza. Tutto questo viene rievocato da oggetti, testimonianze, plastici, fotografie e opere d’arte.
Si comincia con la valigia originale di cuoio e cartone dei fondatori giunti da nord e dalla “sedia dei vegetariani” fatta di rami intrecciati e usata dall’anarchico Karl Gräser. Esempi di progettazione bio-climatica, in anticipo sulle attuali esperienze di architettonica green, si trovano nelle immagini e nei modelli della “capanne aria-luce”, costruzioni studiate per ospitare i pazienti dell’antico sanatorio in ambienti semplici ma puri e aperti ai benefici del sole. I menù veggy, i depliant pubblicitari, le foto d’epoca delle occupazioni domestiche vanno di pari passo con le mappe che dimostrano la crescita della colonia e poi il passaggio di proprietà. Dopo l’emigrazione dei fondatori, nel 1920, in Spagna e poi in Brasile, la collina fu infatti acquistata dal barone Eduard von der Heydt che commissionò la realizzazione dell’albergo in stile Bauhaus e accolse i maestri stessi della famosa scuola di progettazione di Weimar. Il percorso contempla arredi usati dall’architetto Fahrenkamp per le camere dell’hotel, compresa la Sedia Wassily disegnata da Marcel Breuer che pure abitò sul Monte, oltre a opere di Hans Arp che, insieme a Marianne von Werefkin, Alexej von Jawlensky e Hans Richter, fu fra i primi artisti a respirarne l’atmosfera.
Ad arricchire l’esposizione le proiezioni messe a disposizione dagli Archivi RSI, suoni e abiti di scena. Infine un libro-catalogo con testi di Sergio Risaliti, Nicoletta Mongini, Chiara Gatti, Luca Scarlini e Riccardo Bernardini.

Vademecum
Museo Novecento Firenze
Piazza di Santa Maria Novella, 10
Orario invernale (1 ottobre – 31 marzo)
Lun – Mar – Mer – Ven – Sab – Dom | 11:00 – 20:00
Giovedì | chiuso
Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura.
25 dicembre: giorno di chiusura
Gli ingressi sono contingentati e si possono prenotare online contestualmente all’acquisto dei biglietti sul sito bigliettimusei.comune.fi.it, scrivendo a info@musefirenze.it, oppure telefonando allo 0552768224.