ROMA – Il 27 marzo 2022 chiuderà la mostra Klimt. La Secessione e l’Italia, ospitata dallo scorso 26 ottobre al Museo di Roma a Palazzo Braschi. L’esposizione, che sta riscuotendo un grandissimo successo di pubblico, ricostruisce l’intero percorso creativo di Gustav Klimt, evidenziando il particolare rapporto instaurato dall’artista austriaco con l’Italia.
Oltre 200 le opere in mostra tra dipinti, disegni, manifesti d’epoca e sculture, provenienti dal Belvedere Museum di Vienna, dalla Klimt Foundation, ma anche da collezioni pubbliche e private come la Neue Galerie Graz.
La rassegna, oltre a presentare diversi capolavori del più amato artista della Secessione viennese, tra cui la famosissima Giuditta I, La sposa, o Ritratto di Signora, dipinto trafugato dalla Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi di Piacenza nel 1997 e recuperato nel 2019, offre la possibilità di ammirare anche opere di artisti della sua cerchia.
Ad esaltare ulteriormente la bellezza dei capolavori in mostra è sicuramente il progetto illuminotecnico, curato dall’architetto e light designer Francesco Murano, autore delle luci delle più importanti esposizioni in Italia, che prima della conclusione dell’esposizione abbiamo avuto la possibilità di intervistare.

Può raccontarci il suo percorso formativo e soprattutto come nasce la passione per la “luce” e il desiderio di illuminare opere d’arte?
Ho cominciato a occuparmi di luce fin da quando adolescente scattavo e sviluppavo foto, passione che ho coltivato per molti anni fino alla laurea in architettura, poi ho frequentato la Domus Academy di Milano e con Clino Trini Castelli ho appreso cosa vuol dire progettare con elementi immateriali quali la luce, i suoni, gli odori, i colori.
Lei è sicuramente tra i progettisti d’illuminazione maggiormente richiesti per le più importanti esposizioni, in Italia e non solo. Illuminare una mostra significa comprenderne in profondità il significato e confrontarsi con le singole opere per poterle esaltare al meglio. Quale procedimento e metodologia di lavoro adotta per realizzare i suoi progetti?
Innanzitutto, cerco di informarmi il più possibile sull’autore e del periodo artistico del quale fa parte, quindi studio le piante dell’allestimento e discuto con il curatore, il progettista del carattere espressivo che si vuol dare alla mostra, poi analizzo le singole opere e studio il tipo di apparecchi che sono a disposizione o che si devono reperire; quindi, la loro disposizione e i filtri da impiegare. Successivamente svolgo le verifiche illuminotecniche con software specifici. Il tutto per essere pronto ad illuminare un’intera mostra in tre o, al massimo quattro giorni.
Quanto è importante l’illuminazione nell’ambito di un’esposizione e quali sono gli errori più ricorrenti?
Il mio compito è quello di mettere in relazione chi guarda un’opera con il suo autore e ciò avviene attraverso la corretta visione dell’opera stessa. Quindi bisogna innanzitutto evitare errori “ortografici” come i riflessi o le ombre che ne impediscono il pieno godimento dell’opera, poi intervengono problemi “sintattici” che riguardano il rapporto esistente tra la singola opera, le altre opere e l’intero ambiente; quindi, soluzioni stilistiche che concernono l’interpretazione che la luce può favorire dell’opera stessa.
Nel caso della mostra di Klimt ha dovuto fare i conti con opere in cui l’oro risulta una componente dominante. Quali difficoltà ha incontrato in considerazione di questo fattore e come è intervenuto nello specifico?
Devo dire che non ci sono stati grossi problemi perché l’allestimento di BC Progetti ha previsto che l’oro di alcuni pannelli della mostra fosse deposto sotto foglia; perciò, non era molto riflettente e l’illuminazione radente delle strip led ha favorito l’assenza di riverberi.
Oltre alle opere in esposizione deve tener conto anche del contesto in cui sono allestite, a volte si tratta di edifici storici. Quali ulteriori attenzioni comporta questo aspetto nella realizzazione del progetto illuminotecnico?
Occorre sempre tener conto della presenza di elementi architettonici originari e non direttamente connessi alla tematica proposta dalla mostra; perciò, bisogna cercare di coinvolgerli rischiarandoli o evidenziandone alcuni caratteri particolari che possono essere collegati, magari come contrappunto, alla mostra stessa.
È la seconda volta che realizza un intervento per una mostra di Klimt, la prima a Milano a Palazzo Reale, ora questa al Museo di Roma. Differenze?
La differenza sta nei luoghi entrambi magnifici ma con altezze e sistemi di illuminazione differenti, mentre entrambi gli allestimenti, ad opera di Corrado Anselmi a Palazzo Reale di Milano e di BC Progetti a Palazzo Braschi a Roma, hanno evidenziato alcuni caratteri materici dell’opera del maestro e quindi ad esempio proprio l’oro presente in tutte e due le mostre.

Nel corso della sua carriera si è occupato di illuminare Monet, Boldini, Mondrian, Canova, Warhol, TvBoy e molti altri ancora, spaziando dal più classico al contemporaneo. Qual è l’artista o la mostra con la quale è stato più difficile confrontarsi ad oggi?
La mostra più semplice e nello stesso tempo più complicata è stata quella dedicata a Giorgione, dovevo illuminare solo lo splendido capolavoro de La Tempesta e nella sala di Palazzo Grimani non esisteva l’impianto elettrico, perciò ho dovuto illuminarla dall’esterno, facendo passare la luce dal lucernario posto sulla cupola della sala, una soluzione che ho impiegato di nuovo nell’illuminazione delle Visioni dell’Aldilà di Bosch.
C’è qualche artista che vorrebbe “illuminare”?
Leonardo, Ultima Cena, dall’alto…
Può anticipare qualcosa rispetto ai prossimi progetti?
A Roma per Bill Viola e Jago, a Milano per Chagall, poi di nuovo a Roma per Superbarocco, Escher a Firenze, Klimt a Piacenza, Modotti a Genova, Disney a Roma e La Chapelle a Milano, il tutto entro aprile.