VENEZIA – Un ambiente traumatizzato, traumatizzante e ipnotizzante, drammaticamente coinvolgente, è quello che Mariam Natroshvili e Detu Jincharadze, artisti di Tbilisi, propongono con Mi fa pena il giardino, l’opera del Padiglione nazionale della Georgia alla 59. Esposizione Internazionale d’Arte – La Biennale di Venezia, sul presagio della fine, che introduce il visitatore nel realismo magico dell’antropocene mediante un’installazione video e un’esperienza VR.
L’orizzonte è infuocato, la città è svuotata, un cane abbaia incatenato al muro delle parole, un ufficio si sfascia, gli scaffali di un supermercato sono invasi dagli insetti. L’ambiente svuotato sembra un videogame abbandonato, privo di presenza umana. Si vedono solo le orme lasciate da esseri umani, gli errori irrimediabili, le ferite della Terra. La scena centrale dell’esperienza VR è il giardino dei fantasmi, un giardino virtuale che raccoglie le piante estinte a seguito dell’intervento umano. Questa crisi ecologica nella vita reale, rappresentata tramite l’esperienza VR, è un altro segno della fine.
Quella raccontata dai due artisti è una sorta di fiaba dell’orrore dove il giardino metaforico si secca, s’infuoca e muore.
Il titolo ripropone i versi della poetessa iraniana Forugh Farrokhzad (1934-1967) sul “giardino morente” che descrive, dalla spiccata prospettiva eco-femminista dell’autrice, il rapporto emotivo di una donna con il mondo circostante.
L’opera invita gli spettatori a muoversi tra le sequenze visive interattive e autogenerate di un puzzle non lineare, costituito da luoghi reali e ambienti frammentati, i quali illuminano l’universo scosso dall’operato umano. Un’opera che ci parla, con una nuova lingua surreale, dell’epoca tecnologica, di una fine e di un inizio.