ROMA – Considerato tra i più importanti street artist a livello internazionale, Ozmo, al secolo Gionata Gesi, classe 1975, originario di Pontedera (Pisa), chiarisce la sua posizione di artista che non necessita di etichette o definizioni.
Ozmo è fondamentalmente un pittore, un urban artist la cui arte, mantenendo una forte connotazione concettuale, ha una duplice natura. Si rivela, infatti, innocua ed esplosiva al tempo stesso, esteticamente e formalmente attrattiva, ma anche profondamente spiazzante, in alcuni casi volutamente ambigua, finalizzata ad agire su più livelli, per non lasciare mai indifferenti.
Ozmo propone lavori iconici, ricchi di rimandi, simbolismi, citazioni, reinterpretazioni, dal sacro al profano, dalla storia al mito, dall’attualità all’archeologia. Un continuo spaziare tra passato e presente, arte e vita, memoria e realtà, in una sorta di equilibrismo che richiede uno sguardo attento e non un’osservazione distratta.

Balzato recentemente alle cronache per aver realizzato un’installazione sulla fonte di S.Cerbone a Populonia, presso il Golfo di Baratti in Toscana, accusato di vandalismo proprio per quest’opera a sua volta vandalizzata da ignoti, Ozmo ci racconta la sua visione artistica, partendo proprio da questi fatti più recenti.
Innanzi tutto perché il tuo intervento sulla fonte di San Cerbone ha suscitato tante polemiche, al punto che qualche ignoto ha optato per una vera e propria “cancellazione” dell’opera. Qual è il significato di questo gesto? Puro e semplice vandalismo?
Credo di sapere perché l’intervento abbia suscitato così tante polemiche. È chiaro che l’opera realizzata in un simile contesto abbia evidenziato una mancanza di “presenza” da parte di chi, almeno per dovere, avrebbe dovuto valorizzarlo (è stato invece abbandonato, come si può verificare cercando su internet alla voce “fonte di S.Cerbone”). Questo aspetto, oltre al fatto che stiamo parlando di una piccola città di provincia, non abituata a simili opere, ha scatenato una vera e propria macchina del fango nei miei confronti. I social poi, come al solito, sono il principale propulsore di critiche che molto spesso si traducono in minacce, accuse, offese personali, esulando completamente dalla bontà dell’intervento o dell’arte stessa. Tuttavia, questo dimostra anche che l’opera ha colpito profondamente nel segno. Credo a tal proposito che esista un’alchimia, non totalmente gestibile, in base alla quale certi lavori risultano più riusciti di altri, proprio per ciò che riescono a smuovere e far scoprire a livello personale, intellettuale ed emotivo.
È capitato diverse volte che, al termine di un lavoro, alcuni aspetti siano risultati rivelatori/disturbanti, non solo per l’opinione pubblica, ma anche per me stesso, consentendo una maggiore conoscenza personale, agendo su più livelli, incrementando la consapevolezza o l’esplorazione di alcune aree grigie. Ecco, a mio avviso l’Arte con la A maiuscola é principalmente questa.
C’è un motivo particolare per cui hai deciso di lasciare un tuo segno proprio su quella fonte, oltre al fatto che fosse in uno stato di abbandono? Puoi fare chiarezza sulla struttura sulla quale sei intervenuto, visto che c’è stata anche parecchia confusione rispetto alla sua datazione?
Io lavoro quasi totalmente “site specific”, questo significa che ogni intervento è pensato per un contesto specifico, come un vestito prodotto da un sarto. Ma non solo a livello formale: certo un’opera realizzata su un muro è sempre “site specific”, ma quello che a me interessa è l’aspetto concettuale che, purtroppo, spesso sfugge a un osservatore distratto e a volte anche agli stessi street artist.
La scelta delle monete per la storia di Populonia, quella fonte davanti alla necropoli, nel cuore del parco archeologico davanti al mare e anche la morfologia della struttura, con le due rampe di scale, sono stati tutti elementi che mi hanno fatto concepire ogni singolo dettaglio dell’opera. Perfino utilizzare il bianco a calce è stata una scelta precisa, proprio per non inquinare e permettere la reversibilità dell’intervento, a differenza del vandalo che ha usato la bomboletta spray.
Riguardo la datazione, contrariamente a quanto si pensasse e come è stato anche riportato da molti media, la fonte dell’800 è stata distrutta e quella attuale è un rifacimento successivo agli anni ’40 del Novecento. Nuove ricerche portano a pensare che anche la targa con l’iscrizione in marmo datata 1878, sia in realtà una copia piuttosto recente. Questo, almeno, secondo alcuni studi archeologici. La fonte effettivamente è stata ignorata per moltissimo tempo, o diciamo mantenuta nel suo stato di semi abbandono e di fatto, nemmeno gli addetti ai lavori conoscevano veramente la storia.
Ad aprile scorso è stato cancellato il tuo murales dedicato a Galileo Galilei per lavori di manutenzione dell’edificio di Porta a Mare a Pisa, sul quale era stato realizzato. Ti è poi stato richiesto di rifarlo nuovamente, com’è andata?
Abbiamo appena terminato il murales di Galileo. La cosa divertente è che l’iter per l’approvazione è stato avviato, come sempre accade, con la Soprintendenza. Ho quindi presentato una bozza di opera aggiornata con una serie di elementi che, a mio avviso, l’avrebbero resa più fresca e contemporanea, considerando che il progetto originario era stato realizzato sei anni fa. Invece, per un problema burocratico, relativo al bonus facciate, ho dovuto terminarla seguendo la vecchia versione. Quindi, il nuovo progetto presentato, solo se approvato, consentirà di aggiornare l’opera con tutti gli elementi che ho concepito per la sua “restaurazione”.
Ogni tuo intervento non è mai solo estetico, ha sempre un significato anche politico, sociale. Le tue opere, insomma, non lasciano mai indifferenti e forse per questo sono spesso oggetto di polemiche. Ti definisci un artista impegnato? È questo il ruolo che deve avere la Street Art o in generale l’arte?
Non mi definirei un artista impegnato e in effetti le mie opere sono spesso estremamente ambigue. Sicuramente tra i miei interessi c’è quello politico, sociale, anche mistico. Credo che perseguendo la mia ricerca sul potere delle immagini, quindi necessariamente anche sulla loro ambiguità, e sull’utilizzo che ne è stato fatto nei secoli, come un equilibrista, nel migliore dei casi, riesco a creare opere che agiscono come un castello di carte, che aspettano solo lo sguardo dello spettatore per cadere da un lato o dall’altro.
In generale sono poco entusiasta della Street Art che agisce esclusivamente come “eye candy”, ovvero delizia per gli occhi: quella molto colorata, che ha come soggetti icone da cameretta da adolescente: quindi il 98% della Street Art che viene prodotta al mondo… Per questo non mi definisco street artist, ma artista che interviene nello spazio pubblico. Il problema sono i giornalisti e i media e, onestamente, anche io spesso devo adattarmi alle strategie di comunicazione che utilizzano etichette e definizioni come “Street Art”.
Molto spesso si colloca la Street Art nell’ambito della rigenerazione e riqualificazione urbana. Non si rischia di trasformarla in pura e semplice decorazione?

È esattamente quello che ho detto nella precedente risposta. Scherzando cito Goebbles e dico che quando sento il termine rigenerazione urbana metto mano alla pistola… Non esiste un’opera pubblica incisiva se il contesto è anonimo e periferico se viene, ad esempio, “schiaffata” accanto ad altri 100 disegni su un muro della ferrovia.
Quanto è importante per i tuoi interventi artistici il coinvolgimento delle comunità e delle persone del luogo in cui ti trovi a lavorare?
Lavorando “site specific” il coinvolgimento delle persone per me avviene a prescindere, ma quasi mai in modo attivo, perché quello che a me interessa è agire su più livelli. Creare un laboratorio sicuramente può essere interessante, ma toccare in profondità l’anima o l’intelletto del singolo o della massa per me è preferibile. O forse so farlo solo meglio.
Le tue opere sono ricche di citazioni e sono spesso iconograficamente complesse. Quali sono i tuoi riferimenti e le tue fonti di ispirazione?
Utilizzo Internet come una biblioteca di Alessandria contemporanea: la più schifosa delle fogne è anche il più sublime dei musei. Quello che a me interessa è la riflessione sul potere delle immagini attraverso il loro utilizzo in tutti i campi.
Chi è oggi Ozmo e dove sta andando?
Un muro con soggetto sacro in Istria in centro città. Finalmente romperò questo tabù creando un altro cortocircuito attraverso la Street Art sacra?
Come ti poni rispetto all’attuale sistema dell’arte?
Dovremmo chiedere al sistema dell’arte dove collocare Ozmo. Inizialmente, intendo dire una ventina di anni fa, quando ho cominciato con le mie prime installazioni cercavo di portare l’attitudine della Street Art nel contesto dell’arte contemporanea e la profondità dell’arte contemporanea nel contesto, un po’ troppo superficiale, della Street Art. È finita che spesso mi sono sentito come il più artistico degli street artist o il più street artist degli artisti contemporanei. Insomma, in poche parole, fuori posto.
Molti considerano la musealizzazione della Street Art una contraddizione…
Forse il problema non è tanto musealizzare la Street Art, ma che senso ha musealizzare in generale. Probabilmente il museo e il concetto di museo stesso, alla luce della cultura globalizzata, dovrebbe essere rivisto e ripensato.


C’è differenza nel fare Street Art in Italia rispetto all’estero? Cosa pensi dell’attuale panorama italiano?
Viaggiando molto credo che onestamente la Street Art in Italia sia spesso stata un gradino sopra quell’americana, o a molta parte di quella europea. Purtroppo, l’attuale sistema economico e culturale in Italia non ha permesso, a tutti gli effetti, un’entrata dei suoi protagonisti nel sistema o la loro storicizzazione /consolidamento com’è successo, ad esempio, in Inghilterra Francia e sopratutto negli Stati Uniti.
Un tuo parere su Banksy?
Nel 2005 ne parlavo malino, adesso credo di essere uno dei pochi rimasti a difenderlo.

Alla luce della sentenza sul caso Willy e la condanna all’ergastolo dei due fratelli Bianchi, cosa rappresenta per te oggi quel murale realizzato all’epoca dell’omicidio?
Cerco, quando realizzo ritratti commemorativi, di filtrare quegli elementi che rendono l’immagine iconica e simbolica, che possa ispirare positività. Questo significa un lungo e attento lavoro di ricerca, selezione e adattamento delle fonti fotografiche. Nel caso specifico bisognava essere rispettosi e sottolineare come Willy fosse un ragazzo semplice pulito e perfettamente inserito nella comunità. Spero che la sentenza possa ridare un poco di serenità alla famiglia.
Per finire, a cosa stai lavorando?
Solite cose: progetti di arte pubblica istituzionali, mostre in gallerie private, progetti e collaborazioni con grandi brand.