ROMA – È sicuramente uno degli artisti italiani più innovativi e importanti della scena artistica italiana ed europea degli ultimi cinquant’anni, Giulio Paolini (Genova, 1940) che, non a caso, è stato insignito “anche” dell’ambito Praemium Imperiale 2022 per la pittura, una sorta di Nobel dell’arte, assegnato dalla Japan Art Association.
Una nomina, quella del Maestro, “proposta più volte nel tempo dai Membri del Comitato di selezione” – ha ricordato il Presidente Lamberto Dini nel corso della conferenza stampa, durante la quale sono stati annunciati i cinque vincitori che ritireranno il Premio il prossimo 19 ottobre, in una cerimonia a Tokyo presieduta dal Principe Hitachi, Patrono onorario della Japan Art Associaton.
Presente alla conferenza tenutasi a Roma, Giulio Paolini, pur non lasciando trapelare in maniera evidente l’emozione per questo importante riconoscimento, che è in qualche modo un premio alla sua carriera e al suo indiscutibile contributo al mondo dell’arte, si è reso disponibile alla platea di giornalisti, rispondendo a molteplici domande che hanno consentito di far ulteriormente luce sulla sua visione creativa.
“Devo ammettere di essere una persona particolarmente fortunata – ha subito sottolineato il Maestro – perché ho potuto concentrarmi, già dall’età di vent’anni, sulla mia vocazione e passione. L’assegnazione di questo premio così prestigioso è una conferma di questa fortuna”.

Bellezza, creazione, ispirazione
Pulchrum, Creatio, Inspiratio: sono le tre parole che introducono il volume che è stato donato nel corso della conferenza stampa agli invitati e sulle quali Paolini si è soffermato, definendolo un “incipit straordinario”. “In una pagina, non a caso la prima, di questo libro troviamo tre termini che mi limito a segnalare come una triade di parole concentrate e opportune, perché bellezza, creazione e ispirazione riassumono la vita di un artista. Mi sembra questa una ‘luce’ da segnalare in questi termini”. “Per quanto mi riguarda, l’ispirazione è un termine un po’ altisonante, ma sempre adeguato, che si esprime in un incessante lavorio mentale. Confesso che, perfino di notte, quando sono immerso nel sonno, al mattino ho l’impressione di aver dormito produttivamente”.
Un’arte assoluta tra enigma e ironia
Premiato per la pittura, Paolini si muove, in realtà, “dilatando” il suo lavoro verso diverse forme artistiche e linguaggi che spaziano dalla pittura alla scultura, dalla grafica alla fotografia alla video arte, fino alla scenografia. Considerato un artista concettuale, spesso associato all’Arte Povera, Paolini non può essere ricondotto ad alcuna tendenza artistica specifica.
Se rigoroso, preciso, pulito, introspettivo è il suo lavoro, altrettanto meticoloso, pensato, calibrato e discreto è il suo parlare, spesso arricchito da una vena di ironia.

Mimesi, 1975-1976 © Giulio Paolini
Courtesy Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino

Giovane che guarda Lorenzo Lotto, 1967 © Giulio Paolini
Fotografo sconosciuto. Courtesy Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino
D’altra parte, proprio enigma e ironia sono due costanti nel complesso universo creativo di Paolini, non semplice da decifrare, che rispecchia profondamente la visione di un’arte meditata e che medita su se stessa, che non si limita al linguaggio o alla mera visione, ma esprime invece un senso di assolutezza, di intangibilità, evidenziando il limite del solo atto percettivo. “Ogni immagine artistica, ogni apparizione è sempre qualcosa che si congiunge a qualcos’altro, questa è come dire la mia religione, se così si può dire”.
“L’alfabeto dell’arte ha un suo corso autonomo – ha quindi spiegato Paolini – La tentazione dell’arte come linguaggio è di cercare di penetrare se stessa.” “La mia inclinazione d’autore – ha aggiunto – è sempre stata un po’ slegata dalle cose del mondo, per dedicarsi piuttosto a quelle di un altro mondo: quello dell’immaginazione. In questo senso, forse, faccio un po’ da contrappeso allo scultore oggi premiato, Ai Weiwei, che è invece proteso a testimoniare la sua vita personale”.
Paolini, infatti, si “aggira” in maniera sobria e mai invadente nelle sue opere, con incursioni autobiografiche che poco svelano. È presente in qualche modo – di profilo, di spalle, con la sua ombra – eppure non si rivela mai pienamente. “Evito di mettere la mia persona in ciò che faccio, ho sempre mantenuto una certa distanza, ma essere discreti non significa essere assenti”.
L’effetto prodotto è sicuramente straniante e una sorta di inquietudine aleggia nei suoi lavori, in un continuo gioco di ibridazioni, rimandi e di compenetrazioni temporali e spaziali, di “citazioni” che creano un rapporto tra le sue opere e quelle dei maestri del passato, scompaginando la linearità di percezione e intensificando una visione metafisica, in qualche modo astratta, eterna e sublime al tempo stesso, che ci immerge nella poesia di un sogno.

Courtesy Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino
Una mostra all’Accademia di San Luca
Recentemente si è conclusa la mostra di Paolini dal titolo Quando è il presente? al Museo Novecento di Firenze. Ma, attualmente, il Maestro è già al lavoro per una prossima personale che avrà luogo all’Accademia di San Luca a Roma. Una mostra “che mi onora molto e mi impegna altrettanto intensamente. Nonostante l’età e il desiderio di riposo mi occupa piacevolmente”.
Paolini ha quindi evidenziato: “Vorrei dare un contributo a quello che, a mio avviso, è un termine un po’ in disuso, trapassato come ‘Accademia’ e che dovrebbe invece essere riscoperto e ri-praticato. L’idea di Accademia è quasi un dato archeologico nel linguaggio di oggi, o meglio un termine archeologico che però non è assolutamente sepolto e, come tutti i segni archeologici, va riconosciuto, non dico rivalutato a priori, ma sicuramente ridiscusso”.