MILANO – Il 22 novembre 2022 ha aperto le porte, presso la Rimessa dei Fiori di Milano, nel cuore di Brera, Amazon Black Friday Gallery, uno spazio pop-up che, oltre ad accompagnare i clienti con suggerimenti per il Black Friday e il Natale 2022, propone un inedito e suggestivo spazio immersivo: la Stanza d’Artista, che vede protagonista lo scultore Jago con l’opera “Reliquia”, una mano generatrice, perfetta metafora di una storia di saperi manuali e antiche tradizioni.
Nato a Frosinone nel 1987, Jacopo Cardillo, in arte Jago, utilizza il marmo come mezzo privilegiato, guardando alla tradizione dei grandi maestri del passato, ma intraprendendo al tempo stesso un percorso del tutto personale, sempre attento ai temi dell’attualità e della contemporaneità. Abile comunicatore, disinvolto utilizzatore dei social, in particolare Instagram, Jago ci racconta in questa intervista la sua visione dell’arte, il suo modo di intendere la creatività, la sua speciale connessione con il pubblico e il “non rapporto” con il sistema dell’arte.
Partiamo da questa esperienza con Amazon. Come è nato il progetto e cosa significa per te prendere parte a questa iniziativa?
Questa iniziativa per me significa molto: prendervi parte è una bellissima opportunità per sottolineare l’importanza del Made In Italy, che credo mi rappresenti, benché riconosca che ci sono eccellenze incredibili in Italia davanti alle quali non resta che inchinarsi, e di fronte alle quali io stesso mi inchino.
L’opera qui esposta, Reliquia, rappresenta qualcosa di simbolico: una reliquia appunto, una mano, ovvero lo strumento che ci permette di aderire alla realtà, che i bambini utilizzano per capire il mondo. Tornare alla radice, può significare fare un passo indietro per farne due avanti. Sui significati dell’opera non mi dilungo troppo: credo che il bello sia nutrirsi dei significati degli altri, quelli che gli altri vogliono trovarci.
Qual è il motivo per cui è stata scelta l’opera “Reliquia” da esporre in questo contesto e come è stato pensato l’allestimento?
Abbiamo scelto quest’opera perché è un simbolo molto semplice: nella manualità c’è la possibilità e la capacità per tutti di creare valori condivisibili. Quanto all’allestimento, il pretesto della meridiana e quindi di luce in movimento, vuole ricordarci che siamo profondamente collegati non solo con il tempo che viviamo, ma anche con valori ereditati da un altro tempo, da cui siamo invitati a partire oggi per scrivere nuovi messaggi da lasciare alle generazioni che verranno.
I social per me sono un “palcoscenico”, che mostra il lato “intimo” della creazione, con la sua bellezza e le sue problematiche.
La comunicazione ha per te un valore molto importante. Sei a tutti gli effetti un artista anche molto social con un notevole seguito. Quanto è importante per te condividere e relazionarti con gli altri ai fini del tuo lavoro e perché questa continua necessità di raccontare il “dietro le quinte”?
Il dietro le quinte della creazione è sempre stata la parte più interessante per me. Oggi abbiamo la possibilità di far partecipare le persone al processo creativo. Quando ero bambino ero molto attratto dal sogno della realizzazione: mi affascinava ciò che non potevo vedere, che non veniva raccontato. Oggi ci è possibile invece arrivare al mondo intero con uno smartphone, e il messaggio che trasmette è forte: realizzare una grande opera è possibile, si può fare! Un ragazzo di oggi può ispirarsi alle eccellenze di un tempo per diventare se stesso. I social per me sono un “palcoscenico”, che mostra il lato “intimo” della creazione, con la sua bellezza e le sue problematiche. In questo senso, le opere che realizzo le sento come opere “partecipate”.
Qual è il tuo rapporto con il “sistema dell’arte”? Non sei rappresentato da nessuna galleria per scelta o perché la tua arte, il tuo “saper fare” non rientra nell’interesse delle gallerie di arte contemporanea?
Non ho particolari rapporti con il sistema dell’arte tradizionale, perché quello che faccio non rientra necessariamente in questo ambito. È un sistema che funziona e può essere interessante e giusto per chi è effettivamente vicino a quel linguaggio. Personalmente, ho il mio sistema e il mio mercato: i mezzi che abbiamo a disposizione oggi ci consentono di intraprendere dei percorsi personali, investendo direttamente su se stessi.
Quando ho iniziato i miei studi, il feedback che ricevevo spesso era che non avrei mai potuto lavorare in questo modo. C’era soltanto una possibilità: essere rappresentati. Questo implica doversi adattare necessariamente al mercato. In questo modo però la libertà si comprime dentro determinati schemi, e il mio modo di lavorare invece implica l’autonomia.
Per fare una cosa buona devi fallire mille volte
Sul tuo sito si legge “La mia vita è fatta di fallimenti, per scolpire qualcosa bisogna prima romperla”. Cosa intendi esattamente?
Questa frase è un’analisi di realtà della mia vita e di quello che continuo a desiderare di poter incontrare lungo il mio percorso. Credo fermamente questo: chi fa cose nuove cadrà sempre. La mia vita è fatta di fallimenti perché faccio continuamente cose nuove, e nel farlo cado in continuazione, cercando sempre di trovare dentro di me l’energia per rialzarmi.
Se vuoi costruire devi lasciarti alle spalle qualcosa. Per fare una cosa buona devi fallire mille volte: questa è la realtà che riguarda me e chi come me fa cose nuove continuamente. Per fare questo, devi essere in grado di lasciarti dietro le emozioni legate al fallimento, anche quelle negative. Gli strumenti per fare grandi cose li abbiamo già dentro di noi: auguro a me e a chiunque altro di crederci sempre.
Utilizzi nelle tue opere immagini familiari ma che spesso si ricollegano all’attualità. Considerando la meticolosità, la tecnica, la precisione con cui realizzi le tue opere, dai più importanza al fattore estetico, all’immagine o al messaggio da trasmettere?
L’estetica e il messaggio coincidono sempre, ma mentre l’estetica è immediatamente condivisibile perché è la prima cosa che arriva agli occhi, il messaggio non è così immediato. Il messaggio è sempre personale, come le parole. Se per esempio io dico la parola “cane”, ho la mia personale memoria e il mio sentimento legato a quell’immagine; per qualcun altro sarà diverso. Credo sia un grande valore quello di lasciare all’altro la possibilità di mettere all’interno di quelle forme il proprio significato. Se l’arte è un linguaggio, già di per sé dice qualcosa senza bisogno di troppe spiegazioni: lascio le altre persone partecipare al mio percorso creativo regalandomi punti di vista diversi, quelli che non ho.
C’è una forma di spiritualità nelle tue opere?
A guidarmi c’è sicuramente una necessità spirituale, che non condivido apertamente perché più che intima. La vivo in modo molto personale nella mia quotidianità. Qualcuno può senz’altro riconoscere un contenuto spirituale in quello che faccio. A Napoli, per esempio, mentre lavoravo alla Pietà, entrò una signora e iniziò a pregare. Avrei potuto spiegarle che quella non era un’opera religiosa, ma così facendo avrei perso l’opportunità di arricchirmi col suo punto di vista, rinunciando a un nuovo significato. Se c’è una spiritualità nelle mie opere è quella che ci mettono gli altri. Sicuramente io ci ho messo anche la mia, ma è cosa che riguarda principalmente me.
Sei riuscito a coniugare un linguaggio tradizionale come la scultura con la contemporaneità. Come ti poni rispetto alla tecnologia, all’arte digitale, alla crypto art, agli NFT? È qualcosa che può rientrare nei tuoi futuri interessi?
Uso moltissimo la tecnologia e me ne servo ogni giorno: vivo oggi e utilizzo tutti i mezzi a disposizione. Non credo però sia necessario cavalcare la novità a tutti i costi. Se per esempio oggi parli di NFT è sinonimo di vendita, e quindi il valore e i contenuti sembrano venire dopo. Credo che a volte si possa studiare, aspettare prima di sperimentare. Ma è sempre tutto uno stimolo: personalmente mi piace tutto, sono attratto da tutto. Magari al momento giusto farò la mia operazione, ma per il momento sono qui che osservo e studio.
Un buon docente a mio parere deve essere un buon ascoltatore, un buon comunicatore
Sei stato professore ospite alla New York Academy of Art. Cosa cerchi di trasmettere e comunicare quando insegni?
Per me l’insegnamento è stata un’esperienza assolutamente positiva: l’ho accettata perché è un momento in cui mettersi alla prova, fare un’esperienza diversa ed imparare, cambiando punto di vista.
Personalmente non ho amato molto essere uno studente, nonostante in famiglia io sia cresciuto a stretto contatto con i valori dell’insegnamento. Le cose interessanti accadevano fuori, i miei maestri me li sono spesso “immaginati”. Diventare docente però ti costringe a farti delle domande: cosa voglio lasciare dall’altra parte, all’altro? Un buon docente a mio parere deve essere un buon ascoltatore, un buon comunicatore. Un giovane ha bisogno di punti di riferimento, e il ruolo dell’insegnante è assolutamente fondamentale: di fronte hai materiale umano più manipolabile dell’argilla, e la responsabilità è grande. Credo molto nella professione dell’insegnante e credo meriterebbe maggiore attenzione e riconoscimento.
Quali parole utilizzeresti per definirti?
Una parola che utilizzo per definirmi è imprenditore. La parola “artista” è troppo vaga, credo che il creativo di oggi sia più un imprenditore!
Puoi anticipare qualche progetto futuro?
Progetti futuri ce ne sono tanti. Oggi sono completamente assorbito dalla necessità fondamentale di capire al più presto dove realizzerò il mio David. Fare una scultura è semplice, ma creare le condizioni per realizzarla è difficilissimo. Poi ci sono gli impegni relativi alle nostre offerte museali a Napoli, quindi il Figlio Velato e Sant’Aspreno. E poi ancora tutta una serie di cose che non posso condividere oggi, ma che non vedo l’ora di condividere presto con voi.