ROMA – The Impossible Present, il progetto di residenza a Marrakech di Delphine Valli (Champigny-sur-Marne, Francia, 1972), vincitrice della X edizione dell’Italian Council, con il supporto curatoriale di Melania Rossi, si rivela un’analisi che travalica i confini della mera ricerca artistica. Si configura, infatti, come un intenso lavoro di interiorizzazione, quasi un’indagine dell’inafferrabile.
Quello compiuto da Delphine è stato un viaggio a ritroso verso le proprie origini, che di fatto si è trasformato in una sorta di metafora di un percorso esistenziale, una narrazione personale di grande vitalità, affrontata su diversi piani.
D’altra parte – evidenzia l’artista – “l’esperienza artistica non è da considerarsi separata da quella esistenziale”.
Il presente giaceva nel mio passato
ArteMagazine aveva già raccontato il ritorno impossibile di Delphine Valli in una intervista del settembre del 2022, quando l’artista era da poco giunta in Marocco.
Il progetto, denominato The Impossible Present, doveva portare Delphine ad Algeri per una residenza artistica, ma per “il capriccio delle amministrazioni e le liti politiche che hanno reso impossibile questo ritorno”, l’artista è invece approdata a Marrakech, nello spazio culturale multidisciplinare LE 18, dove è rimasta per due mesi e mezzo.
“Come è emerso nel dialogo con Melania durante la stesura del progetto, la mia ricerca – aveva spiegato Delphine – si è orientata a un ricongiungimento con la cultura tradizionale islamica. Volevo realizzare quanto potesse avere plasmato inconsapevolmente la mia sensibilità e influenzato il mio lavoro”. Il bisogno di tornare alle origini “si stava imponendo, sia per il mio lavoro artistico, che per la mia stessa esistenza”.
Il progetto concepito per Algeri ha tuttavia trovato una rimodulazione a Marrakech. Questa nuova via ha, infatti, messo “in luce risposte che solo l’impossibilità di andare ad Algeri poteva fare emergere” – spiega Delphine.

Il racconto dell’artista di questa insolita esperienza si trasforma a poco a poco nella restituzione di un flusso di pensieri, sensazioni, situazioni emozionali, che hanno portato al concepimento di un nuovo sentire e di una rinnovata identità.
Ricreare i punti di riferimento
A Marrakech, in questo luogo rimasto misterioso nel tempo malgrado il turismo, “i rumori, i volti, le sonorità della lingua – racconta Delphine – hanno fatto riemergere dal profondo del mio essere una memoria sepolta fino ad allora”.
Quello di Delphine è stato, infatti, un percorso alla ricerca di memorie disperse, silenti o sopite, “lasciate in sordina”, ma comunque interiorizzate.
Il possibile ricongiungimento con delle evocazioni della cultura delle proprie origini si è posto come atto preliminare per ricreare nuovi punti di riferimento, per riappropriarsi di spazi interiori, per completare e riconfigurare il proprio sé, “per ritrovare quei pezzi senza i quali non si può vivere. A Marrakech mi sono resa conto che, dal mio rientro in Francia a 16 anni fino a quel momento, ero vissuta in apnea in una continua tensione interiore che solo man mano si è allentata”.
La questione del ritorno “più profonda di quanto immaginassi”
La residenza che Delphine ha svolto a LE 18, Marrakech ha consentito un processo di ri-elaborazione creativa, artistica ed emancipatoria, molto più complessa di quanto si potesse prefigurare.

“Ora che penetro con più consapevolezza nella bellezza dell’arte tradizionale islamica e che capisco meglio ciò che ho percepito prima solo intuitivamente – scrive Delphine nei suoi appunti – mi rendo conto che la questione del ritorno è più profonda di quanto immaginassi, che non è in alcun modo limitato a una cultura o a un territorio geografico, ma che l’esilio è di natura diversa e che ho la possibilità forse, attraverso il mio, di poterne valutare la vera natura. Come se la geografia e ciò che implica fossero solo un percorso da seguire verso il Sé. La via e non la meta”.
L’esperienza di Delphine finisce per svolgersi in una dimensione quasi extratemporale. Lo spazio e il tempo “reali” finiscono per eclissarsi nel pensiero che, anziché riconoscersi solo nel mondo, viene condotto a riflettere su se stesso, risvegliando la parte più inconscia, ma anche uno stato di disponibilità e di ascolto. Marrakech ha rappresentato “una leva, per ritrovare l’emergenza della mia sensibilità e del suo approccio allo spazio e al tempo”.
Percorrere le sollecitazioni di una simile città, ha significato per l’artista ripensare e ridisegnare nuovi spazi fisici e mentali.
Attraversare il presente verso una nuova consapevolezza
Il silenzio dell’oblio e della lontananza, il lasciarsi travolgere e avvolgere da nuove e sottili percezioni, abbracciare una tradizione secolare con tutta la propria dolorosa ed emozionante fragilità, senza opporre alcuna resistenza, è forse il senso di questo progetto che, “nato dalle impossibilità del tempo così come da quelle personali”, ha invece cercato una via percorribile verso il presente.
L’avvicinamento alla cultura islamica è avvenuto in maniera naturale e attraverso un processo lento “molto legato all’ascolto. Il trovarmi sola i primi 15 giorni (Le 18 era a Documenta 15 ed erano presenti per me a distanza), faccia a faccia con me stessa è stato importantissimo”.
Questo è quanto emerge dal racconto di Delphine che, rispetto al nostro primo incontro, rivela una diversa e più profonda consapevolezza. Il discorso si più fa più complesso e la riflessione, frutto di una elaborazione mentale, probabilmente ancora in atto, è densa di significati.

A raccontarlo sono anche le innumerevoli foto che Delphine ha scattato nella città vecchia, che testimoniano l’inizio di un nuovo rapporto possibile con un luogo “interiore” finalmente ritrovato.
Un nuovo discorso formale
Il vissuto di Delphine a Marrakech si traduce in un nuovo discorso formale, che si è “imposto” dal punto di vista artistico. Qui realizza, infatti, dei disegni progettuali con le proiezioni di ombre di aste poggiate su un muro, sorta di ideali meridiane, giochi ottici che invitano ad andare oltre il dato materiale. L’idea di realizzare qualcosa di impermanente e mutevole si fa sempre più strada nell’immaginario dell’artista.
“Questo progetto – spiega Delphine – si legava da un lato allo studio sulla luce e sui raggi luminosi, (Hans Belting, I canoni dello sguardo, Storia della cultura visiva tra Oriente e Occidente), dall’altro alla mia presenza a Marrakech. Mi sembrava impossibile concepire in quel luogo qualcosa di indelebile. Non avrei mai potuto, nel momento in cui mi stavo ricongiungendo con quella cultura, segnare dei muri in modo permanente, sarebbe stata una violenza e una prevaricazione. Neanche in una fase progettuale”. “D’altra parte – sottolinea – non sapendo come avrei vissuto questa nuova consapevolezza, non sapevo neppure cosa avrei voluto realizzare. Questi disegni progettuali, con le aste, si sono apparentati a installazioni. Nel mio lavoro rimane, infatti, spesso questa ambiguità tra il disegno, la scultura e la pittura a parete. Ciò che è tridimensionale o spaziale diventa bidimensionale e viceversa”.

Desiderosa di integrare la scrittura alla trama plastica del suo lavoro, – teniamo a mente l’importanza della scrittura nella cultura tradizionale islamica, integrata alle geometrie e agli spazi architettonici – Delphine ha successivamente progettato 26 aste a spirale di cui Pierre Coric, artista in residenza a LE 18, ha realizzato le modellazioni 3D, ognuna con una torsione differente, corrispondente a una lettera dell’alfabeto. “Con le aste, poggiate a parete, o a terra, si scrivono parole. Tuttavia, rimane una scrittura illeggibile, presente solo nella trama del lavoro”. Ancora una volta, dunque, una suggestione che va oltre il visibile.
Il supporto, non solo curatoriale, di Melania Rossi
Se la solitudine dei primi giorni in Marocco è stata fondamentale per Delphine, ai fini di un nuovo intimo e personale “orientamento”, altrettanto importante è stata la presenza, negli ultimi cinque giorni di residenza, di Melania Rossi, che ha dato il suo supporto curatoriale al progetto. “Mi ha raggiunta a Marrakech per condividere la realtà che stavo vivendo”.
Melania, d’altra parte, ha subito compreso che per Delphine il dato biografico ed emotivo non poteva essere disgiunto da quello artistico, per cui il suo ritorno in nord Africa stava diventando una necessità ormai imprescindibile.
Nel lavoro di Delphine, nei suoi disegni, Melania era riuscita a scorgere geometrie più complesse, memorie e frammenti di un’altra cultura, che riaffioravano in maniera inconsapevole e non del tutto esplicita.

Melania – spiega Delphine – “rappresentava il ‘prima’ rispetto a questa esperienza. Aveva partecipato alla nascita del progetto e proprio parlando con lei si era palesato il bisogno di centrarlo sul ritorno ad Algeri. Il suo arrivo a Marrakech, tuttavia il suo integrarsi con sensibilità in questa nuova dimensione, mi ha dato la consapevolezza che ciò che stavo vivendo non si sarebbe dileguato con il mio ritorno in Italia. Melania – sottolinea ancora – si è posta in posizione di ascolto, comprendendo perfettamente la portata di quello che mi stava accadendo”.
Melania Rossi è stata come un emissario, un tramite “che mi ha incoraggiato a intraprendere questa avventura per poi riportarmi a casa. Non è stato facile accettare che sarei dovuta ripartire da Marrakech. Lasciare un’altra volta il Maghreb. La presenza di Melania, da questo punto di vista, è stata molto significativa.”
Assieme, artista e curatrice sono tornate in Italia. Delphine, oggi, parla della sua residenza a Marrakech come di un’esperienza estremamente forte e determinante. “Con il ritorno alla cultura delle mie origini, volevo fare coincidere tempo e spazio, ma a Marrakech, ho avuto la fortuna di vivere anche un tempo solenne, un tempo nel quale indugiare. Tornare al sé non è solo un atto intimo, è anche un atto politico: nella società della prestazione, sembra una conquista ciò che è solo naturale per ognuno di noi e che prende le distanze da una temporalità rivolta al lavoro come unico valore. L’arte non produce solo ‘merci destinate all’esposizione’, ‘da conservare in cassaforti’ (Byung-Chul Han, La società della stanchezza).”
La pubblicazione di restituzione del progetto con Parallelo42 contemporary art
Il progetto The Impossible Present trova riscontro fisico e tangibile nell’omonima pubblicazione che lo restituisce, in cui Delphine materializza, “a caldo”, questa sua esperienza artistica e umana.
Un concept book grafico, denso proprio per il vissuto che concentra. La pubblicazione è l’inizio di un’evoluzione. Questo “non significa prendere le distanze dalle precedenti intuizioni, che in fondo, mi hanno portata a Marrakech” – specifica Delphine – “ma di sicuro questa nuova consapevolezza, emersa rispetto alla cultura nella quale sono cresciuta e con la quale sono entrata in contatto anche attraverso i nostri viaggi, mi ha rasserenato”, ma verrebbe da aggiungere anche rigenerato. Un riallineamento che Delphine ha dovuto metabolizzare lentamente dopo il suo ritorno in Italia.
Insomma, l’impossibilità di tornare ad Algeri si è rivelata un dono per Delphine,“Marrakech mi ha spalancato le porte”. Sostenuto da questa forte dimensione esistenziale, The Impossible Present non resta “nelle mani” dell’artista. Ne siamo coinvolti, ne entriamo quasi in possesso.
Quello sperimentato da Delphine non è, infatti, solo un nuovo approccio all’arte, ma anche alla vita, un’ulteriore conferma che il campo del possibile è aperto laddove la società della produzione lo vuole univoco e devoto ai suoi soli dettami.
Il riferimento a se stessa, alla propria biografia, alla propria emozionale vitalità amplia il senso del progetto verso un presente che sia possibile, apre a nuove riflessioni nell’ambito di diversi contesti, umani e sociali, e anche possibili narrazioni. Narrazioni che continueranno, perché poi alla fine, Delphine andrà anche ad Algeri. Ma ci sarà modo di raccontarlo.
Dunque, il risultato di questa esperienza è quello di un progetto dal finale “aperto” e in divenire. “The Impossible Present – sostiene l’artista – non ha pretese di definizioni generali, tanto meno nei confronti della Storia”.
Con il supporto curatoriale di Melania Rossi.
Residenza artistica LE 18, Marrakech
Partner culturali
Mucem, Dipartimento della Ricerca, Marsiglia
Opera Mundi, Marsiglia
FAI-AR a La Cité des Arts de la Rue, Marsiglia
Les Ecrans du Large a La Friche Belle de Mai, Marsiglia
Sponsor culturale Parallelo42 Contemporary Art
Il progetto è stato realizzato grazie al sostegno dell’Italian Council (X edizione, 2021), programma di promozione internazionale dell’arte italiana della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura.
