ROMA – Roma e Londra sono le due sedi della Dorothy Circus Gallery, una galleria dove si esprime tutta la passione e il coraggio visionario della sua fondatrice e direttrice, Alexandra Mazzanti.
Due spazi differenti per struttura e pubblico, due luoghi distanti fisicamente, accomunati da un fascino atipico e magico, frutto di scelte audaci e non convenzionali.

In una dimensione intima e onirica, accogliente e ammaliante, dal gusto raffinato e retrò, Alexandra, vera e propria animatrice e “attivista” culturale, in questi spazi condivide la sua visione personalissima dell’arte e, soprattuto, la “missione” di rimanere sempre coerente a se stessa e alle sue scelte per nulla scontate.
“Ho aperto la galleria nel 2007, in un contesto molto diverso rispetto a quello attuale, almeno per quanto riguarda l’arte contemporanea. L’idea era di portare a Roma ciò che a me piaceva, ma che all’epoca non era ancora minimamente presente”.
Inizia così la nostra chiacchierata con Alexandra.
La nascita della Dorothy Circus Gallery: benvenuti al “circo”
A colpire immediatamente è il nome stesso della galleria, Dorothy Circus Gallery, situata in via dei Pettinari 76, nel cuore di Roma, a due passi da Campo de’ Fiori.
Dorothy, come noto, è il personaggio del Mago di OZ. “Non volevo dare corpo a questo progetto identificandolo con me stessa. Quasi tutte le gallerie d’arte riprendono, infatti, il nome del gallerista, mentre io cercavo soprattutto un nome evocativo. Il Mago di OZ è una fiaba che mi piace molto perché è un modo di concepire e interpretare la realtà e quindi mi sembrava adatto per far capire cosa stessi realizzando”.
Circus invece – spiega ancora Alexandra – “fa riferimento a Roma, alla sua natura scenica, in particolare al Colosseo. Il circo suggerisce appunto l’idea di dinamismo e io volevo puntare sul concetto di spettacolo, di un tipo di intrattenimento che lasciasse in qualche modo a bocca aperta”.
Insomma, il principio attorno al quale nasce la galleria è quello del soffio vitale, coinvolgente, propulsivo dell’arte nelle sue diverse e molteplici declinazioni.
La passione per l’arte figurativa e una formazione sul campo
Alexandra, come lei stessa sottolinea, ha una formazione autodidatta “per scelta”. “Ho studiato molto, non a livello accademico, ho lavorato in teatro come scenografa, in una compagnia di balletto come fotografa, a bottega presso artisti”.
Tuttavia, Alexandra nasce circondata dall’arte a 360 gradi, grazie alla madre, Maddalena di Giacomo. Una figura “assolutamente eccezionale” – ci tiene a ricordare Alexandra, anticipando – “ho dato vita a una fondazione a suo nome e dovremmo riuscire ad aprire entro il 2024 a Venezia”.
“Mia madre – rammenta ancora – è stata una pianista, una collezionista d’arte figurativa del ‘700 e ‘800, ma non solo. Ha avuto una casa editrice dedicata a libri sulla danza, oltre che una scuola di danza. Una persona, insomma, che si è dedicata all’arte nel senso più ampio del termine, per tutta la vita”.
Con queste premesse, per Alexandra il mondo dell’arte non poteva che essere il suo campo d’azione privilegiato, quell’universo creativo, coltivato da sempre con la conoscenza dei grandi artisti figurativi.
Maddalena di Giacomo, sin dall’inizio, è stata un’alleata inseparabile di Alexandra, credendo fortemente nel suo progetto.
“Mi ha supportata e abbiamo cominciato l’avventura Dorothy Circus insieme. Mi ha affidato la sua collezione da proseguire, il suo tema da portare avanti. La mia passione per l’arte nasce, quindi, con lei”.

Una galleria a colori come un raffinato salotto
Se ci si aspetta di entrare alla Dorothy Circus Gallery e di trovarsi di fronte al classico “white cube”, siamo lontani anni luce.
La galleria è uno spazio ricercato, che traduce perfettamente l’obiettivo di Alexandra di offrire, a chiunque varchi quella soglia, la possibilità di intraprendere un viaggio in un atmosfera visionaria e rivoluzionaria al tempo stesso. Uno spazio “audace“, soprattutto perché aperto in anni in cui il “white cube” era quasi sinonimo di galleria d’arte.
Le pareti della DCG sono invece di velluto rosso. “Amo i colori, la mia casa è colorata e non mi sento affatto a mio agio con il bianco” – spiega Alexandra.

L’ambiente della Dorothy è intimo, accogliente, ma soprattutto emozionale. “Molto criticato a dire il vero, almeno inizialmente, da parte di una certa élite culturale romana. Le pareti rosse, in particolare, sono state prese di mira, considerate quasi osé. Ma, in realtà non c’è nulla di sexy nella scelta del rosso” – specifica Alexandra. “Ho cercato di creare uno spazio con cui il pubblico potesse rapportarsi in maniera confidenziale, superando la barriera dell’imbarazzo nell’entrare. E penso di aver centrato l’obiettivo”.
La Dorothy Circus Gallery è un salotto elegante e “chic”, una scenografia raffinata coerente con la selezione delle opere, esposte come fossero “preziosi gioielli” incastonati in questo contesto coinvolgente.

Il “mare” a Londra
La sede londinese è stata aperta temporaneamente nel 2017, per poi trovare una collocazione definitiva nel 2018 a Marble Arch, presso Hyde Park, in pieno centro.
Qui lo spazio è decisamente differente rispetto a quello romano. Le pareti sono infatti blu, nelle varie tonalità dell’acqua marina. “Abbiamo pensato di portare il mare a Londra, anche per rompere un po’ il ghiaccio con un pubblico tendenzialmente più freddo“.

Due gallerie, due pubblici differenti
C’è da evidenziare che tra il pubblico romano e quello londinese esiste una grande differenza. “Si tratta di due mondi opposti”.
“Il pubblico romano ama entrare in galleria, vedere le opere dal vivo, conoscere l’artista o il gallerista. Quello londinese, al contrario, è molto più orientato all’investimento e all’acquisizione. Meno partecipativo, magari preferisce acquistare anche solo con una semplice telefonata, un messaggio whatsapp”.
“Inoltre – racconta ancora Alexandra – molti collezionisti asiatici hanno l’attitudine all’accumulo, preparano liste di artisti che devono assolutamente trovare e acquistare. Gli italiani si innamorano invece dell’opera e in essa si immedesimano. Vogliono proprio quella“.
La programmazione per le due gallerie è quindi studiata appositamente, tenendo conto di queste differenze, anche se alcuni artisti vengono proposti in entrambe le sedi.

Scelte rigorose e coerenti, dal Pop surrealismo all’arte asiatica
Attorno all’arte figurativa si muovono da sempre le scelte della DCG, con una gamma di proposte e nomi di impressionante rilevanza.
L’approccio curatoriale è aperto e trasversale, ma frutto di una ricerca costante e meticolosa, di una selezione molto concentrata, oltre che sulla tecnica, sugli elementi surreali, onirici e spirituali dell’arte.
Proporre i codici visivi del figurativo a Roma nel 2007, quando la cultura contemporanea era dominata dall’arte concettuale, astratta e minimalista, per Alexandra è stato, se non un vero e proprio azzardo, di sicuro una scelta non semplice da far “digerire” a tanta critica, spesso poco clemente nei suoi confronti.
Nel suo lungo soggiorno negli Stati Uniti, precedente all’apertura della galleria, Alexandra aveva incontrato il Pop surrealismo, studiato il movimento Big Eyes, la Street Art “che all’epoca in Italia era considerata un prodotto da centro sociale. In America c’erano artisti assolutamente interessanti che era doveroso mostrare e proporre in Italia”.

“All’inizio sono stata sminuita, la galleria è stata considerata ‘lowbrow’” (senza pretese intellettuali, ndr). “Senza contare – aggiunge – che in quanto donna, in un mercato dell’arte dominato dagli uomini, non sono stata nemmeno presa sul serio. Non ricordo esattamente quale critico disse che sarei durata solo qualche mese”.
Ancora oggi le proposte della Dorothy Circus spaziano tra l’iconografia Pop, il Nuovo Surrealismo, il Realismo Magico, la Street Art, strizzando costantemente l’occhio all’Oriente. “L’arte asiatica mi seduce molto, in particolare sono affascinata dal Giappone. Gli artisti giapponesi, sulla scia di Yoshitoro Nara, hanno realizzato opere incredibili”. Anche in questi casi, la selezione è sempre molto rigorosa.
Ciò che non trova spazio alla DGC è l’arte digitale, nel senso più stretto del termine. “Non sono interessata al digitale“. – Ci tiene a specificare Alexandra – “Sono ferma al 1780, all’arte sentimentale, al ritratto in miniatura di cui sono un’appassionata, da cui successivamente è originato anche il movimento dei Big Eyes, in cui si rappresentavano occhi enormi, come specchio dell’animo. L’animismo nasce, infatti, proprio nel 1780 e ritorna come fil rouge dell’arte sentimentale, per arrivare fino ad oggi. Non amo l’applicazione del computer neppure alla fotografia. Sono decisamente Old School”.


La mostra a Roma di Kazuki Takamatsu
Attualmente la galleria romana ospita la mostra, inaugurata lo scorso 22 aprile, di Kazuki Takamatsu (Sendai – 1978), un artista molto amato e con un grande seguito anche tra i collezionisti.
“Takamatsu, di cui abbiamo realizzato quattro esposizioni, è un artista che porta avanti una ricerca molto raffinata, intelligente e colta. Ciò che realizza si imprime nella memoria. Il suo stile è molto riconoscibile”.
L’artista, una sorta di “nerd” della computer graphic, utilizza “una tecnica unica e irriproducibile” – ci spiega Alexandra – “un mix di digitale e analogico”. Quasi un’eccezione, dunque, per la DGC.
Le immagini realizzate da Takamatsu appaiono in rilievo, ombreggiate con delle cangianze che variano a seconda della luce. Sono il risultato di un lungo lavoro tra disegno manuale e mappatura delle ombre con un programma di Depth Map. Il risultato è davvero sorprendente e le Lolite monocromatiche di Takamatsu sembrano emergere dall’abisso, con un effetto quasi “psichedelico”.

Alex Face a Roma e Londra
Come ci annuncia Alexandra, la DCG inaugurerà, il 20 maggio a Roma e il 25 a Londra, la mostra “Neon and Fire Vanitas”.
Si tratta dell’esposizione del nuovo corpus di opere di Alex Face, street artist e pittore thailandese, ma conosciuto a livello internazionale, “una vera star a Bangkok“. – Sottolinea Alexandra – “Quella che ospitiamo è una mostra da museo, quasi troppo per una galleria”.
Il progetto è una evoluzione dell’esposizione “Monument of Hope”, realizzata dall’artista a Bangkok nel 2020, dedicata alle “Vanitas” del 17esimo secolo. Le Vanitas di Face racchiudono e disvelano una simbologia contemporanea della caducità della vita, attraverso un incredibile connubio di tecniche pittoriche.


Face dipinge, infatti, con la maestria dei grandi pittori del ‘600, applicando però anche un linguaggio visivo contemporaneo, come il segno delle neon tags, tipiche del graffitismo.
I bouquet fioriti dell’artista emergono dai fondali bui, ma – spiega Alexandra – “vengono impreziosisti da tag, che Face chiama néon, realizzati con l’utilizzo dello spray. Sono dei segni di una perfezione e precisione incredibile. Face è un artista che dà sempre il massimo nelle sue opere, sfidando costantemente i suoi limiti”.
“La mostra di Alex Face è davvero imperdibile” – ci ricorda Alexandra, concludendo – “probabilmente è la più bella che io abbia realizzato”.
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