Scrivere con la scultura per un linguaggio universale. Focus su Franca Ghitti, artista dei Segni: a lei é stato dedicato un Museo nel cuore della Val Camonica (Patrimonio Unesco)
“Non ho cercato la mia voce, ma tutte le voci sopratutto le voci che nessuno ascoltava, le voci della valle che è un frammento di tutte le valli del mondo”. Franca Ghitti.
L’eco delle sue parole, la forza del messaggio dell’artista dei segni arcaici, ma al tempo stesso contemporanei, ci giunge dalla terra dove Franca Ghitti è nata, che le ha dedicato un Museo nel settecentesco “convento” di Santa Maria della Visitazione a Darfo Boario Terme (Bs), in Valle Camonica. Un’esposizione di opere che cerca di restituire un’idea completa del suo universo artistico.

Il percorso creativo di Franca Ghitti
Artista contemporanea di fama mondiale, Franca Ghitti (1932-2012) ci rivela il suo complesso percorso di creatività. Il suo è un linguaggio universale, essenziale, concreto e legato a segni e forme geometriche.
Fatiche e rituali di un mondo del lavoro, del quotidiano legato alla terra, delle fucine e della segheria paterna. Un piccolo mondo quasi antico dal quale aveva tratto ispirazione.
E nella segheria del padre ha creato un nuovo alfabeto, fatto di scarti di lavorazione. “Nello scarto che cadeva per terra vedevo delle lettere, vedevo un nuovo alfabeto” – diceva l’artista.
Questi “alfabeti perduti” – per citare uno dei cicli della scultrice – creano quindi un linguaggio universale, che prende spunto da incisioni rupestri della Valle, simboli primitivi, oggetti provenienti da un mondo artigiano fatto di legno e ferro; assi lignee, avanzi di segheria, chiodi, polveri di fusione e vanno a comporre le opere di Franca Ghitti, che narrano del forte legame tra l’uomo e il suo territorio, e tra l’artista e la sua terra d’origine, la Valle Camonica.
Ma non solo… Vi si leggono, infatti, anche le esperienze maturate durante gli anni della formazione a Brera, poi a Parigi e Salisburgo, fino all’Africa centro-orientale.
Numerosi sono infatti i riferimenti alle incisioni rupestri e ai simboli primitivi delle tribù africane, che si mescolano a espressioni moderne e contemporanee. Da non dimenticare, l’esperienza – maturata dalla Ghitti nei due anni trascorsi in Kenia – che ritroveremo in modo evidente nei suoi lavori. In questo periodo, conosce a fondo l’etnia Kikuyu e accumula conoscenze importanti attraverso il contatto con molte culture tribali, lavorando anche su alfabeti e segni lasciati dalle diverse comunità. Credeva in un mondo di segni che sono forme primarie, topografiche e simboliche, e contengono valori comunitari e visioni del mondo. Sono arcaici, ma al tempo stesso contemporanei.
Secondo Elena Pontiggia, storica dell’arte: “Franca Ghitti ha avuto la capacità, come tutti i grandi artisti, di partire dalla propria terra, dai propri luoghi, che poi per lei erano quelli della Val Camonica, e renderli universali”. E come diceva Fernando PPessoa “l‘universale é il locale senza i muri”.

I suoi materiali sono intrisi di storie e di vite di chi non aveva voce e che ricordano progetti di lavorazione e sono tracce di una creazione che si è rinnovata per secoli attraverso quelli che l’artista vede come “gesti ripetuti”.
Gesti ripetuti degli operai di suo padre, che ricorrono nelle sue opere, ritualità che aveva iniziato a osservare nell’infanzia. “Nei primi anni Cinquanta ho iniziato a piantare chiodi su tavolette scartate. Chiodi che prendevo dagli avanzi della lavorazione di bancali o casse da imballaggio…” – annotava la Ghitti su un quaderno.
“Faceva scorrere lo sguardo sui chiodi nella segheria di famiglia, dove gli assistenti del padre appendevano le giacche o contemplava la chiodatrice automatica, che piantava lunghi quadrelli nelle assi che componevano i bancali, espellendo a forte velocità i chiodi storti che non si erano infilati nel legno” – ha spiegato Ara Merjian storico dell’arte alla New York University. – “Si formava in lei la consapevolezza che nel sistema dei chiodi , usato dai lavoratori del legno si nascondeva una specie di computazione dinamica, chiodo, non chiodo, che doveva essere caricata al piu’ presto sull’arca di Noè dell’arte, per essere salvata dall’oblio del diluvio tecnologico“.
La sua arte nasce dal credere in un mondo di segni che sono forme primarie, topografiche e simboliche, e contengono valori comunitari e visioni del mondo. Sono arcaici ma al tempo stesso contemporanei.

Percorso espositivo
L’anteprima espositiva è divisa in nuclei tematici. L’itinerario inizia con un’antologia delle Vicinie «scatole magiche» composte da una struttura geometrica di legno in cui abitano figure evocative e simboliche, che raccontano una vita di comunità. Si prosegue con le Madie che custodiscono gli attrezzi del lavoro e le Mappe, che sono tavole di legno ispirate alle incisioni rupestri et che tracciano luoghi della Valcamonica e di altre parti d’Italia. Nelle Meridiane possiamo vedere i temi legati al tempo e allo spazio, ma aprono contemporaneamente nuovi orizzonti con esplicite riflessioni sulla città, sull’architettura e sul linguaggio. Ci saranno poi esempi di tutto il percorso dell’artista.
Negli anni settanta, l’esperienza africana e il suo trasferimento per alcuni anni in queste terre, conducono l’artista a inserire nel suo linguaggio nuovi simboli, nuovi colori, nuovi materiali fra cui il cemento e il vetro, come si osserva in Orme del Tempo (Totem). Negli anni ottanta si inserisce l’interesse per la forma circolare, Ciclo dei Tondi, dove il cerchio più o meno regolare evoca il concetto di ripetitività, strutture circolari ispirate agli esiti della scultura-pittura geometrica contemporanea. Poi, negli anni successivi dimensioni e forme diverse sempre intrinsecamente legate al suo vissuto, come la verticalità, ispirata dalla visione dei grattacieli di Montreal e dai boschi del Labrador, che caratterizza le opere Cancelli, Libri Chiusi, Alberi e i Boschi in ferro e in legno.


Nella scultura di Ghitti, il motivo dell’albero compare negli anni ottanta. L’albero però era un tema che Franca amava fin da bambina. “Il primo albero-scultura che ho realizzato è nato quando un giorno nella segheria di mio padre ho visto gli alberi che venivano scartati” – diceva. Nel Museo tra le opere più rappresentative spicca l’imponente istallazione del Bosco sculture verticali, alberi di legno maestosi intagliati lavorati con liste e colorati. Ai piedi del Bosco il Tondo delle offerte con coppelle o tazze di siviera che nelle antiche fucine servivano per versare il metallo fuso .
Troviamo infine, i Libri chiusi e la Memoria del ferro: tutti cicli in cui Ghitti evoca uno spazio-tempo archetipo in forme libere. E poi ancora Alberi-Libro, le Pagine chiodate dove fogli e oggetti sono trafitti da una fitta sequenza di chiodi.
“Non concepisco una scultura senza cultura – diceva -. Non credo nell’improvvisazione. Un’opera è il risultato di una lunga meditazione, di un processo che dura tutta la vita“. “Vorrei che il mio lavoro – scriveva di sé – fosse ricordato come un lavoro, appunto”.
Il Museo Franca Ghitti
Ogni opera esposta nel “Conventone” di Darfo Boario Terme è di proprietà della Fondazione “Archivio Franca Ghitti” presieduta dalla professoressa Maria Luisa Ardizzone (New York University).
Il Museo sarà completato nel 2025. – “Sarà un museo vivo – ha sottolineato Dario Colossi, sindaco di Darfo Boario Terme “che offrirà momenti di incontro, di riflessione, con l’intervento di artisti, scrittori, intellettuali, chiamati a parlare anche di arte contemporanea e delle questioni più rilevanti del momento“. E l’apertura è stata festeggiata con due giornate di approfondimento a cura di Elena Pontiggia e Fausto Lorenzi, nel Centro Studi che ospita anche il suo Archivio con i taccuini inediti, gli scritti e la biblioteca privata.

Il convegno ha visto la partecipazione dei familiari, amici della scultrice, di numerosi studiosi, storici dell arte italiani e anche di esperti internazionali tra cui Ara Merjian, storico dell’arte, New York University; William Klien, storico dell’arte, New York University; Micol Forti, direttrice della Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani; il filosofo e scrittore Alessandro Carrera, University of Houston; Marco Meneguzzo, storico dell’arte, Accademia di Brera; Elena Pontiggia, storica dell’arte, Politecnico di Milano; Cecilia De Carli, storica dell’arte, Università Cattolica, Milano, e Arianna Baldoni. E Franca Ghitti avrebbe apprezzato amava lo studio e l’approfondimento, del suo lavoro diceva: “non ho mai avuto un’idea romantica dell’arte come emozione, sensazione, cosa privata, ma ho sempre cercato una sorta di documentazione, informazione, archiviazione”.