ROMA – Sabato 24 febbraio, la Galleria Carlo Lucidi di Monterotondo (Roma) ha inaugurato la mostra di gioielleria artistica Nexus: connessioni di materia e messaggi nel gioiello contemporaneo, a cura di Carlo Lucidi.
Protagonisti otto artisti internazionali, provenienti da Israele, Bielorussia, Libano, Svezia, Stati Uniti, Cina e Italia, con opere che esplorano il tema della diversità e del dialogo interculturale attraverso la bellezza e l’originalità dei loro gioielli.
Ne abbiamo parlato con Carlo Lucidi. L’intervista è stata l’occasione per conoscere la sua visione creativa e approfondire la genesi e il significato dell’esposizione che resterà aperta al pubblico fino all’11 maggio 2024.
Vorrei che raccontassi un po’ di te, del tuo percorso formativo e professionale. Come e perché nasce la Galleria Carlo Lucidi?
Il mio percorso professionale e formativo è stato da sempre volto alla varietà. Ho sempre guardato all’arte con occhi pieni di rispetto e l’ho inseguita, in modi molto diversi nelle varie fasi della mia vita. Spero che questa sia un’attitudine che riuscirò a conservare anche negli anni a venire. Credo che un importante aspetto del contemporaneo sia proprio la sua vastità, il suo purilinguismo simultaneo e da vero esploratore quale mi considero, ho approcciato il mio corso di studi con grande curiosità. Sono stati importantissimi per queste consapevolezze, gli anni di studio presso l’Accademia di Belle Arti di Roma, e l’incontro con dei docenti (Francesco Zito, Paola Lo Sciuto e Manuela Traini) che hanno saputo lasciarmi capire che l’espressione è un percorso interno e non un binario esterno da poter conquistare per tappe preconcette.
Durante gli anni di accademia, presso cui mi sono diplomato in Scenografia, ho iniziato a lavorare nel campo del costume per teatro, cinema, tv e pubblicità, iniziando a sperimentare di come il corpo possa essere il luogo dove avviene un discorso artistico.
Questo è stato anche argomento della mia tesi triennale, che è diventata un libro (Composte terre in strutturali complessioni. Corpo e Costume nell’Arte Contemporanea), e soprattutto un approccio, che ho spostato nel mio lavoro, iniziando ad esprimermi in prima persona, fuori dal “tema proposto” che potevano essere le produzioni cine-teatrali.
Sono arrivato al gioiello attraverso dei bellissimi errori che aprono ad altrettante belle casualità: ho sbagliato aula e mi sono ritrovato in quella di fonderia!
In quel periodo collaboravo con numerosi fotografi, ambientando le loro foto con abiti creati al momento interagendo con l’ambiente, attraverso veli, tessuti e stoffe varie, e giocando con le forme sempre diverse dei corpi delle modelle e dei modelli. Ho iniziato così a far indossare i miei pezzi ai soggetti delle foto e, piano piano, è nata la magia.
Sono stato contattato da curatori che volevano i miei pezzi per le loro mostre, ho iniziato a girare il mondo proprio attraverso questi piccoli e forti lavori. Nel 2018 e 2019 ho partecipato a più di 20 mostre fra collettive e personali, dal Brasile all’Australia e, sempre, tutte le persone che avevo attorno mi chiedevano dove poter trovare le opere che vedevano attraverso i social.
Così mi sono accorto di un grosso ma risolvibile problema: non c’era un posto dove poter organizzare una mostra curata in cui poter presentare lavori artistici con un certo valore concettuale, con abbastanza silenzio intorno per la loro fruizione e che fosse facilmente raggiungibile e fruibile.Mi sono reso conto che questo era un pezzo del grande problema del collezionismo e che colpiva molto brutalmente proprio gli artisti emergenti.
Nel gennaio 2020 ho aperto con una mostra di ispirazione botanica, Herbaria,-ae, con l’idea di raccontare le meraviglie del vegetale non semplicemente attraverso le sue forme, ma anche attraverso le possibilità che la natura delle piante offre sia materialmente che come spunto di riflessione. La mostra era temporanea e devo dire che la sua chiusura, coincidendo con il lockdown, è stata un grosso macigno.
All’inizio del 2023, ho ripreso in mano con forza il progetto della Galleria e, ad oggi, con risultati che mi stupiscono sempre molto piacevolmente.
Ci sono artisti o correnti artistiche che hanno avuto una particolare influenza sulla tua visione creativa?
Circoscrivo a 4 le mie citazioni: Giuseppe Penone, ha per me significato comprendere la sinestesia; Orlan, che meglio di chiunque è riuscita a farmi riflettere sul rapporto fra arte e corpo; come artisti del passato (recente) citerei Frida Kahlo (tema di una mostra che aprirà a Novembre, per celebrare i 70 anni dalla sua scomparsa) che ha nella sua opera tantissimi elementi e simboli con cui sono perfettamente in sintonia e Yves Klein, che ha aperto un ponte nel mio lavoro con la dimensione del sacro. Con questi artisti ho in effetti una strana sintonia fatta di sangue, pancia e un sacco di cose che sento ogni volta che mi occupo in qualche modo di arte, che sia producendola, osservandola o comunicandola.
Qual è stata la motivazione principale per cui hai organizzato la mostra “Nexus: connessioni di materia e messaggi nel gioiello contemporaneo”?
Nexus è nata sin da subito come un appuntamento fisso annuale, un modo per poter unire realtà diverse accomunate dagli stessi tratti che accomunano ogni opera artistica: un messaggio plasmato attraverso la materia e una materia plasmata attraverso un messaggio. Questi due elementi per me sono quelli fondativi di ogni opera artistica.
L’occasione è nata durante la Milano Jewelry Week. L’istituzione mi ha chiesto di assegnare un premio ad alcuni degli artisti ospiti e, fra le svariate centinaia di proposte, ho scelto quelli il cui discorso mi è sembrato più forte, nuovo e vibrante.
Come hai selezionato gli artisti internazionali che hanno preso parte alla mostra, quali sono stati i criteri?
Ho cercato di portare otto linguaggi completamente diversi l’uno dall’altro, andando a cercare queste voci all’interno di un clima teso quanto quello attuale internazionale, valorizzando però il linguaggio del singolo individuo anziché la rispondenza di questo in linea con un valore politico delle proprie nazioni.
Non mi interessa e non mi interessava aprire un tavolo di trattativa, chiaramente, parliamo di piani completamente diversi, ma volevo che realtà e culture diverse avessero la possibilità di essere in qualche modo rappresentate attraverso le sensibilità di uno dei loro cittadini.
Questo per me era fondamentale e anche garanzia di autenticità: nella gioielleria artistica è molto più difficile rispetto alle arti visive andare a rintracciare un filone o una corrente e spesso, quando un lavoro è originale e personale, allora è anche decisamente valido.
Quanto è importante oggi il valore della diversità e del confronto in ambito culturale?
Fondamentale, senza dubbio. Mi sembra davvero difficile ad oggi un vero confronto. Mi sembra che l’attenzione un po’ di tutti sia rivolta a ciò che si vuole dire e molto poco disposta a ricevere le risposte in dialogo. Forse il momento di una mostra, dove il dialogo è fra le opere in coro e lo spettatore, si riesce a fare più attenzione a ciò che viene detto, forse perché si è coinvolti (o forse distratti o forse incuriositi) anche dalle forme e dal mistero dietro alla creazione. Mi sembra una possibile breccia attraverso lo scudo di una fragilità che, ad oggi, non ci consente obiezioni esterne. È così difficile mettersi in discussione?
Puoi condividere qualche dettaglio sul processo curatoriale dietro alla realizzazione di questa mostra e, soprattutto, come hai lavorato con gli artisti per creare un evento così significativo?
Mi ha arricchito e mi arricchisce sempre molto confrontarmi con persone diverse e con coordinate culturali e personali decisamente molto differenti. Ho lasciato spazio ad ogni artista per dire la sua e questo è un modo collaudato e appassionante di lavorare, per me.
Ho sempre studiato molto, nella mia carriera e nella mia vita. In questo caso, dopo aver studiato a fondo il mondo dell’artista attraverso le sue parole e il suo portfolio prima della selezione, concludo con una totale libertà di esprimersi. Il tema, in effetti, era stato immaginato come molto aperto e mi sembra, questo, un buon equilibrio di controllo e fiducia. In questo, sinceramente, la mia esperienza di artista in prima persona mi ha aiutato molto ad empatizzare con le esigenze dall’altra parte.
A proposito del processo di collaborazione con gli artisti, quali sono stati gli elementi chiave che hai cercato di incorporare per coinvolgere maggiormente il pubblico in questa esperienza immersiva?
Anche in questo caso mi sono messo a studiare, comprendendo al meglio i lavori e il linguaggio di ognuno degli autori, ho cercato quegli elementi del discorso che potessero essere più facilmente compresi ed è proprio attraverso quelli, utilizzando esempi, semplificazioni e immagini familiari al pubblico, ho tentato di rendere le opere fruibili al meglio. È un’occasione questa che mi stimola molto intraprendere: è un momento bellissimo quello in cui ti accorgi che hai steso un ponte fra due persone, che non si sono mai incontrate se non attraverso la mediazione di un oggetto.
Altro elemento che ho trovato utile è l’incontro fisico fra pubblico e artisti. Sia durante l’apertura che durante la mostra ci sono stati e ci saranno pomeriggi dedicati proprio a questo, con artisti in visita che potranno dialogare con il pubblico.
Qual è la tua opinione riguardo al potenziale sociale e politico dell’arte in generale e, più in particolare, nel contesto della gioielleria contemporanea esplorata in mostra?
Ci sono molte possibilità. Non tutte funzioneranno immediatamente, non tutte verranno a pieno esplorate, ma credo che seminare sia uno dei più potenti atti politici che abbiamo a disposizione. Durante una conferenza a cui ho assistito nel corso dei miei studi, ho sentito un concetto che allora mi era sembrato totalmente fuori di testa. Si parlava dell’architettura e dell’architetto, ma di rimando anche dell’artista, come demiurgo, che plasmando il mondo plasma anche le possibilità che hanno le persone di camminare, muoversi e vivere nel mondo.
Quella che in effetti prima trovavo una fesseria autocelebrativa, ora non è così distante dal mio pensiero. Seppur con meno desiderio o tentativo o delirio di onnipotenza, credo che offrire alle persone la possibilità non solo di comprendere e fruire un messaggio, ma anche di farlo proprio, trasformandosi nel piedistallo che porta addosso quel messaggio, che ci dialoga tutto il giorno e che consente all’opera di dialogare con le persone che incontrerà fuori dal museo (o galleria o spazio espositivo) sia un atto fortemente politico, di importante impatto sociale e soprattutto una possibilità di tirar fuori una voce e un tono che a volte non è così facile riuscire ad esternare.
In questa mostra ho collezionato lavori che si propongono come veri e propri strumenti di comunicazione universale (Wenyin Jiang), altri che veicolano nascosti messaggi di denuncia sociale (Lamia Saab), altri ancora che parlano di creature di un mondo che non esiste (Inbar Avneri). Ho alcuni lavori che parlano dell’importanza del valorizzare ciò che la propria terra ha digerito (Daria Lutskevich) e altri che cercano una matrice comune attraverso le casuali forme della natura (PhaniaC). Una degli artisti ha invece cercato nella perfetta geometria del naturale la sua matrice comune (Nana Watanabe), come un artista del rinascimento forse avrebbe fatto, uno che ha fatto della geometria un luogo di riflessione assoluto e straniante (Austin Turley) e un’altra ancora ha nascosto dentro meraviglie calligrafiche le possibilità altrettanto meravigliose di essere ciò che si è (Berna Daou).
Tutto questo mi sembra fantasticamente politico.
Raccontaci la tua reazione al successo dell’esposizione e quali sono le aspettative, i progetti e le sfide per il tuo futuro come gallerista, artista e curatore?
Considero sempre il mio immediato futuro come il mio presente. Problema comune, credo, ma il dinamismo che sento crescere mi dà quelle vibrazioni positive di cui ho sempre bisogno per accendere la miccia delle mie energie. La sfida che sento di cavalcare e che vedo come obiettivo all’interno del settore del gioiello come forma d’arte, è quella di contribuire alla consapevolezza nel pubblico dell’indossare come atto politico forse addirittura prima che estetico.
È tutto estremamente affascinante e con i giusti mezzi e i giusti metodi non mi sembra un obiettivo irrealistico.
Nella mia galleria ho in progetto di continuare ad ospitare mostre curate da altri e a proporre le mie. Per la prossima, di cui accennavo prima, ho già iniziato ad accettare le candidature.
Dipingo fiori per non farli morire. Una mostra su Frida Kahlo e la sua eredità nel gioiello contemporaneo (mi piacciono i titoli lunghi) sarà una mostra internazionale di artist* che si identificano nel genere femminile o non binario, che elaboreranno sole opere inedite, volta a celebrare i 70 anni dalla morte di un’icona potentissima e del suo immaginario. Sarà ed è già una sfida: la mia decisione di non accettare candidature di artisti uomini ha già destato polemiche a 4 giorni dall’apertura delle candidature. Castrante? ça va sans dire.
Credo che un’altra sfida importante per il futuro non solo mio, ma in generale di ogni creativo, sia quella di mantenersi fedeli a se stessi, ma anche in caso di tradimento, sarà divertente interpretare sia la vittima che il carnefice.