FIRENZE – Il restauro “show” della Pietà Bandini di Michelangelo prende il via. Si tratta di un intervento commissionato dall’Opera di Santa Maria del Fiore, finanziato dalla Fondazione Friends of Florence sotto la tutela della Soprintendenza ABAP per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato. Il restauro è stato affidato a Paola Rosa, coadiuvata da un’equipe di professionisti e sarà possibile seguirlo grazie a un cantiere “aperto”al pubblico.
Il Presidente dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Luca Bagnoli, ha affermato: “L’Opera ha deciso di avviare anche questo delicato intervento, con il supporto della Fondazione Friends of Florence, per migliorare la lettura del gruppo scultoreo e così permettere alle migliaia di visitatori, che ogni anno scelgono i nostri monumenti, di poter godere al meglio anche di questo straordinario capolavoro”.
“Da quando con Friends of Florence abbiamo iniziato il percorso per la salvaguardia del patrimonio di Firenze, definito da tutti patrimonio dell’umanità – ha spiegato la Presidente della Fondazione Friends of Florence, Simonetta Brandolini D’Adda – abbiamo sempre avuto una particolare attenzione per il restauro delle opere di Michelangelo: dal David, ai Prigioni, dai disegni dell’artista, al Dio Fluviale fino al riposizionamento del Cristo ligneo di Michelangelo al centro della Sagrestia di Santo Spirito. Stiamo per iniziare adesso un progetto affascinante che ci porta a restaurare, a fianco dell’Opera di Santa Maria del Fiore, la Pietà Bandini, un vero capolavoro che rispecchia l’anima tormentata del grande genio michelangiolesco”.
La tumultuosa storia dell’opera
L’opera venne scolpita da Michelangelo, ormai ottantenne, in un enorme blocco di marmo bianco di Carrara, tra il 1547 e il 1555 circa.
In questo gruppo sculture, a differenza della giovanile Pietà vaticana e la successiva Rondanini, il corpo del Cristo è sorretto non solo da Maria ma anche da Maddalena e dall’anziano Nicodemo, a cui Michelangelo ha dato il proprio volto. La Pietà di Firenze, capolavoro di Michelangelo “è considerata come altre sculture del Buonarroti – afferma Timothy Verdon, direttore del Museo – opera non finita, anche se la dizione che più le competerebbe è quella del XVI secolo quando si diceva ancora opera infinita”.
La Pietà Bandini, non solo non venne terminata, ma sembra addirittura che Michelangelo, in un momento di sconforto tentò di distruggerla.
L’opera danneggiata venne donata dall’artista al suo servitore Antonio da Casteldurante che, dopo averla fatta restaurare da Tiberio Calcagni, la vendette al banchiere Francesco Bandini per 200 scudi, il quale la collocò nel giardino della sua villa romana a Montecavallo. Nel 1649, gli eredi Bandini la vendettero al cardinale Luigi Capponi che la portò nel suo palazzo a Montecitorio a Roma e quattro anni dopo nel Palazzo Rusticucci Accoramboni. Il 25 luglio 1671, il pronipote del cardinale Capponi, Piero, la vendette a Cosimo III de Medici, Granduca di Toscana, su mediazione di Paolo Falconieri, gentiluomo alla corte fiorentina. Dopo tre anni di ulteriore permanenza a Roma, per le difficoltà incontrate nel trasportarla, nel 1674 la Pietà venne imbarcata a Civitavecchia, raggiunge Livorno, e da lì, lungo l’Arno, arriva a Firenze dove venne posta nei sotterranei della Basilica di San Lorenzo. Vi rimase fino al 1722, quando Cosimo III la fece sistemare sul retro dell’altare maggiore della Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Nel 1933, il gruppo scultoreo venne spostato nella Cappella di Sant’Andrea per renderla più visibile. Dal 1942 al 1945, per proteggerla dalla guerra, la Pietà fu messa al riparo in rifugi appositamente allestiti in Duomo. Nel 1949, l’opera ritornò nella Cappella di Sant’Andrea in Cattedrale, dove rimase fino al 1981, quando fu spostata nel Museo dell’Opera del Duomo. La decisione di trasferirla al Museo venne motivata dalla necessità di non arrecare disturbo al culto per la grande affluenza di turisti e per ragioni di sicurezza (nel 1972 era stata vandalizzata la Pietà vaticana). Dalla fine del 2015, nel nuovo Museo dell’Opera del Duomo, la Pietà è stata posta al centro della sala intitolata Tribuna di Michelangelo, su un basamento che rievoca l’altare a cui era probabilmente destinata
Il restauro
L’intervento di restauro sarà rispettoso della visione oramai consolidata di una superficie visibilmente “ambrata” della Pietà e rispettoso delle patine che nel tempo con il loro naturale processo d’invecchiamento hanno trasformato la cromia originaria del marmo. La fase iniziale riguarderà un’ampia campagna diagnostica, con lo scopo di migliorare la lettura dell’opera che risulta mortificata dalla presenza di depositi e sostanze estranee alle superfici marmoree del gruppo scultoreo. Nell’arco di oltre 470 anni di vita, durante i numerosi passaggi di proprietà e le traumatiche vicende storiche, è presumibile che la Pietà sia stata sottoposta a vari interventi di manutenzione che però non risultano documentati perché considerati semplici operazioni di routine.
L’attuale intervento si avvarrà anche dei risultati delle indagini diagnostiche e gammagrafiche, eseguite rispettivamente dall’Opificio delle Pietre Dure e dall’ENEA nella campagna di studio svolta alla fine degli anni ‘90 e pubblicate nel 2006 nel volume “La Pietà di Michelangelo a Firenze” a cura di Jack Wasserman.