Sabato 6 settembre a Roma, presso il Centro Congressi Frentani, si è tenuta una giornata in ricordo di Aly Baba Faye, che ha ricoperto il ruolo di Responsabile politiche dell’immigrazione in CGIL Nazionale dal 1990 al 1996 ma che è stato anche un appassionato di arte e un artista egli stesso. Pietro Folena, compagno e amico di Ali Baba per molti anni, ha presentato le sue opere, eccezionalmente in visione al Centro Congressi romano e che presto verranno esposte in una mostra che il Comune di Roma vuole dedicare all’opera del sindacalista senegalese.



“Sono orgoglioso che la sua splendida famiglia mi abbia chiesto di presentare per la prima volta al pubblico una prima selezione delle sue opere, finora mai viste fuori da casa sua – ha introdotto Folena, continuando poi con un appassionato intervento al termine del quale è stata presentata dal figlio Louis Assane Faye anche l’autobiografia dell’artista “Italia mia“. – Parliamo di Ya Babà, il nome d’artista che Ali si era scelto. Cominciamo da come l’artista si presentava: “Ya Babà, appassionato di arte fin da piccolo, coltiva intimamente la sua idea di arte come etica dell’estetica”.
Se si vuole trovare una chiave che tiene insieme le sue “scolpitture” e le opere su carta, è senza dubbio la mescolanza – ad un tempo promiscuità, ibridazione, contaminazione, prossimità – o, come amava scrivere Ali, la “mixité”, vera e propria chiave della poetica di Ya Babà. Si tratta – è ancora lui che scrive – della “chimica dell’ibrido”, cifra principale del suo approccio artistico. Mixité è un concetto usato in campo urbanistico, e si riferisce alla necessità di una strategia progettuale nelle città contemporanee, contro forme di segregazione e di ghettizzazione, favorite dalla gentrificazione di molti contesti urbani. Mixité è un modo di vivere, di sentire, adi amare. Ya Babà ama l’arte in tutte le sue espressioni, e privilegia l’incrocio tra pittura e scultura. “La mia avventura artistica – scrive – è una ricerca di quell ‘”Arborescenza del Soffio” che racchiude in nuce il mio pensiero e la percezione vitale”. La forma espressiva che meglio lo rappresenta è ciò che egli definisce “scolpittura” ovvero l’incontro tra pittura e scultura.



La produzione più importante e originale è fatta di opere di pittura su pietre sedimentarie. Le pietre sono il supporto che gli consente una varietà di opzione come la pittura e i graffiti, in un incontro tra spirito e materia e in un dialogo personale con la Natura.
L’incontro con le pietre è avvenuto a metà degli ’90 a Ricetto, un piccolo paesino di montagna nella provincia di Rieti. Lui e sua moglie passavano le vacanze su quelle montagne dell’Appennino laziale. E proprio le tavole di pietre sedimentarie che vedeva durante le passeggiate gli parvero appunto delle sculture naturali. Ne raccolse alcune e decise di dipingerle. Un tocco minimo con colori sobri per dare luce all’anime di questi pezzi di pietra. Infatti, il suo percorso creativo, pur partendo dall’istinto, è un tentativo di cogliere l’essenza delle pietre per dare loro esistenza. Una operazione estetica che sul piano filosofico definisce “essenzialismo”.
Il suo processo creativo avviene semplicemente dando risalto e colore a quel che già la natura aveva predisposto. Ya Babà crede che le pietre sedimentarie sono dei corpi (materia) che può raffigurare uno spirito. Perciò basta una pittura minima per dare luce all’anima nascosta in ciascuno di quelle pietre. Un’operazione che diventa possibile attraverso un dialogo intimo con le pietre. Penso a un altro grande artista, scomparso qualche anno fa, Pinuccio Sciola, sardo di cultura pastorale, che affermava che le pietre hanno vita. Passava da ragazzino intere giornate in mezzo alle pietre delle montagne sarde e le sentiva suonare. Poi le scolpiva e le tramutava in strumenti musicali. Ogni pietra di Sciola ha un suono differente.

La idea dell’arte di Ya Babà è il ritorno alle origini “la ricongiunzione con il Creatore – è lui che scrive – per il tramite della creatività”. La meta è il cammino, la destinazione è il punto di partenza, anche nel nuovo viaggio che ha intrapreso. La sua arte si connette con la memoria antica dell’arte di cui abbiamo testimonianza nella storia a partire da Lascaux e dalle pitture rupestri nelle grotte, fino al nuovo graffittismo e all’arte urbana – affermazione di mixité – di queste ultime stagioni. Ecco che l’incontro con le pietre gli ha dato il supporto ideale per avviare il suo cammino artistico. Il suo è un viaggio verso le fonti che trascende da movimenti artistici, scuole filosofiche o tecnicismi accademici e convenzionali delle arti per rifugiarsi in un essenzialità simbolica, che è – scrive Ya Babà – nel soffio vitale dell’uomo e di tutto il creato. Le pietre sedimentarie scolpite dalla Natura sono già di per sè opere d’arti naturali.



Infine, la selezione che abbiamo fatto di alcune opere grafiche, accanto a temi della contaminazione tra antica arte africana e segni metropolitani, vuole raccontare la sensibilità di Ya Babà – pur non essendo egli ascrivibile ad alcune tendenza artistica strutturata – per le ricerche espressive del Secondo Novecento. Ha visto Jackson Pollock e l’action painting, e sicuramente anche Emilio Vedova. Rifugge dal realismo, e anche i suoi volti, bellissimi, sono determinati dalla materia e dal colore che prendono vita. Accanto alla sua produzione poetica, quella artistica racconta di una persona speciale, come in tante e tanti l’abbiamo conosciuto. Lavoreremo per poter far conoscere le opere, in una mostra vera e propria, del più italiano dei senegalesi e del più senegalese degli italiani. Fratelli, tutti”.