LUGANO – Sono 14 gli artisti protagonisti della mostra “Terre”, con cui la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati riapre la stagione espositiva il 27 marzo 2021.
Ventidue le opere esposte, che spaziano dagli anni Venti al presente, tutte accomunate da una dimensione “materica”.
Il percorso espositivo prende le mosse da un gruppo di cinque dipinti del pittore e artista grafico di origini slovene Zoran Mušič (Gorizia, 1909 – Venezia, 2005): Paesaggio senese (1953), Enclos primitif (E3) (1960), Motif végétal (1972), Terre d’istria (1957) e Terre dalmate (1959), attraverso le quali l’artista racconta un universo intimo e personale, in cui riaffiora il ricordo delle terre dell’infanzia e del vissuto dell’artista.
Nella stessa sala dialogano importanti opere di tre maestri del Novecento italiano, Alberto Burri (Città di Castello, 1915 – Nizza, 1995), Leoncillo (Leoncillo Leonardi, Spoleto, 1915 – Roma, 1968) ed Emilio Vedova (Venezia, 1919 – 2006). Protagonisti della stagione informale, ci introducono ad una poetica fondata sul valore intrinseco della materia ridotta al suo stato primordiale.
Di Burri abbiamo un Bianco Nero Cretto del 1972, una composizione che prefigura tutta la drammaticità del Grande Cretto (1984-89) realizzato dall’artista a Gibellina, sulle macerie della città rasa al suolo dal terremoto che, nel 1968, colpì la Valle del Belice, in Sicilia. La scultura Senza titolo (1960) rivela l’originale processo creativo con cui Leoncillo utilizza il gres (materiale ceramico a pasta dura), lasciando trasparire la profonda identificazione dell’autore con la materia stessa (“creta carne mia”, affermava l’artista), mentre nella scultura Per uno spazio – 29 (1987-88) di Emilio Vedova è la carica gestuale della pittura ad imporsi, andando ad inglobare a sé un altro materiale (il legno), fino a connotarlo di una qualità plastico-spaziale.
Nella sezione successiva sono presenti le opere pittoriche di due dei maggiori interpreti dell’arte informale: Marrò (1958) di Antoni Tàpies (Barcellona 1923 – 2012) e Masque de terre (1960) di Jean Dubuffet (Le Havre, 1901 – Parigi, 1985).
La mostra prosegue, al di là di ogni distinzione cronologica, con un omaggio allo scultore italiano Arturo Martini (Treviso, 1889 – Milano, 1947), di cui è presentata una scultura di piccolo formato in terra refrattaria, dal titolo Violoncellista (1931 ca.).
A parete e in dialogo con la scultura di Martini, l’opera in gesso dipinto Deux oiseaux (1926) di Max Ernst (Brühl, Germania, 1891 – Parigi, 1976), eseguita a due anni di distanza dalla fondazione del movimento surrealista a Parigi. Realizzata a quasi un secolo di distanza, la scultura Belle du vent (2003) di Rebecca Horn (Michelstadt, 1944), costituita da una coppia di elementi in pietra vulcanica azionati da un motore, suggerisce un’atmosfera altrettanto onirica e surreale.
Tra gli artisti della contemporaneità, inoltre, il tedesco Markus Lüpertz (Reichenberg, 1941) e il colombiano Gabriel Sierra (San Juan Nepomuceno, 1975).
Il percorso si chiude con un capitolo dedicato ai materiali “cosmici”, attraverso l’opera di Enrico Prampolini, Eliseo Mattiacci e Anselm Kiefer. Di quest’ultimo, in particolare, è esposta la grande opera pittorica Eridanus (2004), di ispirazione cosmico-astronomica, in cui la la sfera celeste solcata dalla geometria della costellazione dalla quale aggetta un sottomarino in piombo, mette in luce la riflessione dell’artista sul rapporto con la storia recente della nazione tedesca.
La mostra resterà aperta fino al 6 giugno 2021.
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