Una mostra interamente dedicata alle opere di Ya Babà, nome d’arte scelto da Ali Baba Faye, rende omaggio a una delle figure più originali della scena culturale italo-senegalese. Dal 22 novembre all’8 dicembre, Umbrò accoglie la mostra dal titolo Ya Babà, la prima esposizione dopo la morte dell’artista sindacalista umbro d’adozione che ha fuso pittura e scultura. Artista, poeta, saggista e sociologo, Faye ha costruito nel tempo un percorso creativo fondato su un principio cardine: la “mixité”, intesa come mescolanza, contaminazione, ibridazione. Un concetto che lui stesso definiva “chimica dell’ibrido” e che rappresenta la chiave di lettura più autentica del suo lavoro.



Il termine, mutuato dall’urbanistica, evoca la necessità di contrastare segregazione e gentrificazione attraverso strategie di convivenza e prossimità. Per Ya Babà, però, la mixité era prima di tutto uno stile di vita, un modo di sentire e di amare, oltre che un manifesto estetico. “La mia avventura artistica – scriveva – è una ricerca dell’‘arborescenza del soffio’, che racchiude in nuce il mio pensiero e la percezione vitale”.
Al centro della mostra si trovano le sue celebri “scolpitture”, opere che uniscono pittura e scultura. La parte più originale della produzione consiste nei lavori realizzati su pietre sedimentarie, supporti naturali che offrivano all’artista infinite possibilità espressive, dai graffiti alla pittura. Per Ya Babà, quelle pietre erano veri e propri corpi capaci di custodire uno spirito: bastava “una pittura minima” per far emergere l’anima nascosta, attraverso un dialogo intimo con la materia. L’esposizione raccoglie alcune le opere più significative di Faye, tra cui Occhio, Arborescenza, Il vaso di Pandora, Psiche, Totem, La sposa berbera e Grido d’allarme di Madre Natura. Un viaggio che ripercorre il legame profondo tra arte e impegno civile.


Il suo approccio rimanda idealmente anche alla lezione di Pinuccio Sciola, il grande artista sardo che attribuiva alle pietre una vita propria e ne traeva suoni e armonie. Come Sciola, Faye vedeva nella natura una compagna di ricerca e un interlocutore in grado di suggerire forme, vibrazioni, possibilità creative.
Accanto alle opere su pietra, la mostra presenta una selezione di lavori su carta che mettono in luce l’interesse dell’artista per la contaminazione tra arte africana tradizionale e segni della modernità urbana. Pur non essendo riconducibile a una corrente definita, Ya Babà si è confrontato con le ricerche del Secondo Novecento, dialogando idealmente con l’action painting di Jackson Pollock e con la gestualità di Emilio Vedova. Nei suoi volti – astratti, materici, vibranti – il realismo è bandito: a dare vita alle figure sono il colore, la sostanza, l’energia del tratto.


Figura umanista e militante, Ali Baba Faye ha incarnato come pochi l’incontro tra culture, diventando “il più italiano dei senegalesi e il più senegalese degli italiani”, come lo ricordano in molti. Questa mostra celebra non solo la sua arte, ma anche la sua visione del mondo: aperta, plurale, profondamente umana.
Sabato 22 novembre alle 10 è prevista inoltre la presentazione dell’autobiografia postuma Italia mia, il racconto del mutamento sociale da un protagonista venuto da lontano, in attesa che, dopo la tappa umbra, la mostra venga ospitata a Roma nei primi mesi del 2026, nel solco di una riflessione più ampia sull’eredità umana e creativa di Aly Baba Faye, la cui vita ha intrecciato impegno sindacale, pensiero critico e ricerca estetica.








