LECCE – Le recenti scoperte nella “Pompei d’Oriente”, ovvero il sito di Shahr-i Sokhta in Iran, sono state illustrate nei giorni scorsi a Lecce alla presenza del rettore UniSalento, Fabio Pollice, dell’ambasciatore italiano nella Repubblica Islamica dell’Iran, Giuseppe Perrone, dell’Ambasciatore della Repubblica Islamica dell’Iran in Italia, Hamid Bayat, del direttore dell’Iranian Cultural Institute Taghi Amini, del direttore della Scuola di specializzazione in Beni archeologici “Dinu Adamesteanu” dell’Università del Salento Gianluca Tagliamonte, e del direttore del Dipartimento di Beni culturali UniSalento, Raffaele Casciaro.
Nel 2016 il Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento ha avviato il progetto multidisciplinare Maips – Multidisciplinary Archaeological Italian Project at Shahr-i Soktha per lo studio del sito e dei materiali in corso di scavo da parte della missione archeologica a Shahr-i Soktha. Finanziato dal Dipartimento di Beni Culturali dell’Università del Salento, dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e da enti e istituzioni private, il progetto Maips è coordinato dal professor Giuseppe Ceraudo e, nei prossimi anni, mirerà principalmente a restituire un quadro più completo sulle organizzazioni proto-statali dell’altopiano iranico del III millennio a.C.
Il sito di Shahr-i Sokhta, che sorge tra l’inospitale deserto del Lut e le alture del Baluchistan, rappresenta uno dei centri più ambiti per l’indagine archeologica, sia per essere perfettamente conservato a causa di concrezioni saline presenti su tutta la superficie che hanno sigillato reperti e strutture del sottosuolo, sia per essere stato spesso associato, dalla letteratura archeologica, alla mitologica Aratta che, localizzata dai testi mesopotamici “dove sorge il sole”, rivaleggiò con i sovrani della I Dinastia di Uruk (tra cui si ricorda Gilgamesh), padroni del Sumer e depositari della regalità dopo il Diluvio.
In particolare, Aratta, citata nei maggiori poemi sumerici, è presentata come un posto lontano e difficile da raggiungere, favolosamente ricco, pieno di oro, argento, lapislazzuli e numerosi altri materiali preziosi.
In attesa di trovare conferme sull’identificazione del sito, i rinvenimenti effettuati negli ultimi 23 anni nella cosiddetta “Pompei d’Oriente” hanno confermato l’eccezionalità di Shahr-i Sokhta.
Gli archeologi hanno spiegato che sei mila anni fa il sito era un punto di incontro di diverse società. Significative evidenze fanno pensare che il sito si comportasse come un centro nel quale gruppi clanici di origini tribali dissimili convissero in uno stato di equilibrio sociale, in cui gli aspetti gerarchici furono destinati solo all’interno di ogni singolo gruppo, in un regime di equilibrio economico dettato verosimilmente dalla prosperità che il centro dovette avere durante la prima metà del III millennio a.C.
Questa eterogeneità impedì la centralizzazione delle risorse dell’insediamento e con esse il sorgere di una classe dominante sul sito e nella sua regione; un passaggio mancato che non produsse una centralizzazione amministrativa e la standardizzazione degli strumenti generalmente usati per il controllo delle realtà economiche su larga scala.
Le recenti e straordinarie scoperte di centinaia di proto-tavolette in argilla (ora da decifrare), usate per la registrazione contabile all’interno di singoli edifici, vanno considerate forme di contabilità amministrativa di matrice famigliare, destinate al calcolo e alla gestione del surplus economico prodotto.
Verso la fine del III millennio a.C. Shahr-i Sokhta cesserà la propria esistenza colpita da una crisi che la ricerca archeologica tende a spiegare, non senza incertezza, con un radicale e repentino cambiamento climatico che avrebbe colpito quei centri la cui sussistenza risiedeva principalmente nelle risorse idriche della regione.
I risultati delle ricerche sono raccolti nel volume “Scavi e ricerche a Shahr-i Sokhta (Studies and publications Institute, Pishin Pajouh, Tehran)”, curato dal direttore del progetto Maips, Enrico Ascalone dell’Università di Göttingen e da Seyyed Mansur Seyyed Sajjadi dell’Iranian Center for Archaeological Research, direttore del progetto archeologico di Shahr-i Sokhta e Dahan-ye Qolaman dal 1997.