FIRENZE – Le Cappelle Medicee di Firenze, capolavoro fiorentino di Michelangelo, lo scorso autunno sono state sottoposte a un intervento di restauro nel quale sono state sperimentate nuove tecniche di pulitura. In particolare, gli scienziati e i restauratori hanno utilizzato sui marmi dei batteri mangiatori di sporcizia con l’obiettivo di rimuovere le macchie ostinate. “L’esperimento è riuscito” – ha spiegato Paola D’Agostino, direttrice dei Musei del Bargello. I marmi bianchi sono, infatti, tornati a splendere con un restauro completamente biologico e nient’affatto aggressivo.
La notizia è stata riportata dal “New York Times” che ha intervistato alcuni dei restauratori, ma i risultati della sperimentazione verranno illustrati l’8 giugno a Firenze durante una conferenza stampa convocata dalla stessa D’Agostino e che vedrà la presenza di Monica Bietti, ex responsabile del Cappelle Medicee e direttrice dei lavori di restauro, e del team tutto al femminile di ricercatori dell’Enea e del Cnr e dei restauratori. Nell’occasione saranno illustrati tutti i risultati degli interventi di restauro realizzati dal 2013 ad oggi.
La progettazione del restauro, avviato otto anni fa, è stata preceduta da una campagna fotografica a luce visibile e da indagini fotografiche a fluorescenza indotta da luce ultravioletta e con luci infrarosse: queste operazioni hanno accertato lo stato conservativo delle sculture e hanno guidato le scelte metodologiche dell’intervento di pulitura.
Aree significative sono state pulite con solventi blandi e acqua demineralizzata, rispettando anche il restauro precedente, infine è stata avviata la campagna di biopulitura con batteri specifici – grazie anche alle nuove metodiche messe a punto dall’Enea con la ricercatrice Anna Rosa Sprocati – per le singole sostanze da rimuovere. Le sostanze mineralizzate insolubili ed i residui di malta cementizia sono state invece rimosse con apparecchiatura laser.
Per ciascuna delle sculture michelangiolesca sono stati utilizzati diversi tipi di batteri: per ‘mangiare’ lo sporco sedimentato sui capolavori allegorici del Giorno e della Notte che svettano sul sarcofafo con i resti di Giuliano de’ Medici duca di Nemours sono stati impiegati i microbi Pseudomonas stutzeri Conc11, ricavato dai rifiuti di una conceria vicino a Napoli, sia lo Rhodococcus sp. Zcont, prodotto dai terreni contaminati da gasolio a Caserta. Infine per rimuovere lo sporco dalla statua del duca Giuliano de’ Medici il team di scienziate e restauratrici è ricorso ad una specie di maschera facciale realizzata con micro-gel di gomma xantana, uno stabilizzatore spesso presente nei dentifrici e nei cosmetici derivato dal batterio Xanthomonas campestris.
La parola alle ricercatrici
“Il progetto di restauro conservativo e di manutenzione permette ora di ammirare i capolavori fiorentini di Michelangelo con una nuova consapevolezza della fase delicatissima di scelta e lavorazione dei marmi”. Ha detto Paola D’Agostino, direttrice dei Musei del Bargello, durante la conferenza stampa dell’8 giugno per la presentazione della conclusione del restauro della Sagrestia Nuova di Michelangelo, presso il Museo delle Cappelle Medicee a Firenze.
“La Sagrestia – ha spiegato Monica Bietti, storica dell’arte ed ex responsabile del Museo delle Cappelle Medicee – è un luogo dove all’apparenza tutto sembra perfetto: e invece le vicende di questo spazio narrano di un susseguirsi di difficoltà e abbandoni, di oblio e rinascita. Una storia vissuta come se quei marmi non fossero pietre, ma cose vive. Il restauro di uno dei luoghi simbolo dell’arte presuppone conoscenza, esperienza, metodo e scienza unite a doti di sensibilità, intelligenza e apertura al confronto. Per questo il lavoro fin dall’inizio è stato testato e poi sottoposto a costanti verifiche ottiche, metodologiche e scientifiche”.
“Il lavoro di restauro delle pareti – ha aggiunto Bietti – ha permesso di approfondire le conoscenze tecniche sul modo di costruire o meglio sovrapporre le lastre marmoree e sulla maniera di eseguire le decorazioni figurative, vegetali e modulari, un vero e proprio esercizio che permette di distinguere le mani dei collaboratori di Michelangelo, documentati in questa impresa. Così come si comprende molto bene che dal blocco in marmo scelto da Michelangelo per ciascuna figura, egli con il metodo del ‘levare’, partendo da un modello in terra a grandezza naturale, trova la forma, arrivando alla finitura tramite l’uso di diversi tipi di attrezzi. Lo stato di finitura delle sculture varia a seconda dei personaggi e anche in relazione alla loro collocazione e al rapporto con la fonte di luce. E questa è una novità e una scoperta resa possibile dal restauro”.
“A conclusione dell’intervento di restauro delle sculture e dei paramenti lapidei possiamo affermare che all’interno della Sagrestia nuova si è conservata, nei secoli, l’integrità materica di queste opere patrimonio dell’umanità – ha commentato la restauratrice Marina Vincenti – Dopo la pulitura possiamo nuovamente godere dell’eccezionale uso della tecnica scultorea da parte di Michelangelo: espressione del suo intimo rapporto con il marmo e della sua capacità di trasformarlo in luce. Il cambio costante della tessitura dei segni lasciati dagli strumenti di lavorazione utilizzati rende vivo e palpitante il contenuto simbolico e spirituale dell’uomo chiamato a dare forma al trascorrere del tempo”.
“La Sagrestia Nuova è un vero scrigno dove architettura e scultura unificano le emozioni – ha proseguito la restauratrice Daniela Manna – I lunghi restauri, svolti nel corso di sette anni, hanno seguito una metodologia lenta, rispettosa, a volte sofferta per le condizioni ambientali del luogo, ma partendo dalle pareti hanno preparato la giusta scenografia per affrontare i restauri delle sculture del grande Michelangelo. Concreta aspirazione sarebbe quella di completare i restauri di tutti gli elementi architettonici del secondo livello per monitorare e unificare la visione d’insieme”.
Silvia Vettori, ricercatrice di Ispc-Cnr, ha spiegato “il progetto diagnostico ha previsto l’impiego congiunto di metodologie non-invasive, applicate in situ, e micro-invasive, in laboratorio. Le indagini hanno permesso di caratterizzare i materiali di deposito e le macchie presenti sulle superfici lapidee, come fosfati, ossalati e materiale proteico, comprendendo le problematiche legate allo stato di conservazione, e di valutare l’effetto generale delle operazioni di pulitura che si sono rivelate efficaci ma pur sempre prudenti e rispettose”.
Infine Anna Rosa Sprocati, ricercatrice di Enea, ha sottolineato: “La selettività, la gradualità e il rispetto della materia sono qualità necessarie per una pulitura corretta. La biopulitura eseguita nel restauro delle opere di Michelangelo ha risposto a queste necessità. I batteri utilizzati sono spontanei e innocui e sono stati scelti tra un’ampia collezione di laboratorio per essere in grado di metabolizzare selettivamente i depositi coerenti identificati in precedenza dalle indagini chimiche, senza spingere oltre la loro azione. Proponiamo l’esperienza armonica condotta nella Sagrestia Nuova di Michelangelo come modello di restauro innovativo e sostenibile, che fonde storia dell’arte, restauro e scienza”.