Su certi argomenti è arduo stabilire chi o cosa sia mercuriale e chi o cosa sia saturnino. L’evidenza a volte porta in un’unica direzione. Ma noi che all’”universo” (l’unicum versum) preferiamo la molteplicità lasciamo comunque aperta la domanda a voi lettori. Rispondeteci su twitter #natisottomercurio (@mercuriomaga).
Lo spunto per l’articolo della settimana lo dà la notizia dell’imminente uscita in Germania della quarta parte dei Quaderni neri di Martin Heidegger (note dal 1942 al 1948), compreso il quaderno che si riteneva perduto, quello del 1945-46, dove la figura del già discusso filosofo risulta ancor più spettrale di quanto già non fosse. Ci riserviamo la sospensione di giudizio, anche se dalle anticipazioni di Donatella Di Cesare, ben poche possibilità di redenzione sembra si possano concedere, a meno che non lo si delimiti nel perimetro della scrittura come diletto e non certo come azione. In poche parole: non lo vorremmo come professore, ma ne ammiriamo le indiscutibili capacità letterarie.
È indubitabile che il popolo tedesco nel corso della storia sia stato e lo sia ancora per certi versi, un popolo controverso. Amore e morte, bellezza e orrore, grandezza e delirio hanno segnato la sua evoluzione sociale ed artistica. La Germania è il luogo dove si sono espresse alcune delle voci più alte del pensiero pittorico, musicale, filosofico occidentale, e al tempo stesso dove sono state soffocate, o almeno si è tentato di farlo, le voci più emblematiche della cultura, reputandole “degenerate”, manifestazioni di “malati di mente”: è il 1937 quando la Camera della Cultura del Reich decide cosa sia arte e cosa invece un male da guardar bene per starne alla larga. È l’anno della mostra a Monaco dell’Arte degenerata, che marchia a fuoco le più alte espressioni artistiche d’avanguardia. In margine un commento: l’ostracismo nei confronti di artisti come Klee, Mondrian, Otto Dix (ma la lista è lunghissima) è indice anche della consapevolezza del loro potere eversivo da parte degli uomini del Reich.
Anche in questo nostro particolare periodo storico se parlate con un greco, e io lo faccio spesso essendolo per metà ed avendo metà dei familiari e degli amici lì, di certo l’immagine del tedesco corrisponde all’idea di un popolo che non è in grado di provare compassione per il più debole, il quale può anche soccombere se questo serve alla realizzazione di un’Idea, di un fine superiore!
Ma chi sono davvero gli Uomini tedeschi? Nel 1929 il fotografo AUGUST SANDER (Herdof 1876-Colonia 1964) pubblica la serie di fotografie Antlitz der Zeit. Menschen des 20. Jahrhunderts (Volti dell’Epoca, Uomini del XX secolo), un catalogo della società tedesca durante la Repubblica di Weimar. Si tratta di una raccolta di ritratti della società tedesca, suddivisi in sette sezioni: contadini-commercianti-donne-classi professionali-artisti-città-gli Ultimi. Tutto sotto il nome di Das Antlitz des Deutschen Menschen (I volti degli uomini tedeschi). Inserire la categoria degli “Ultimi” (con fotografie di anziani, poveri, malati di mente) in una panoramica di uomini tedeschi non è una mossa felice; nel 1936 il catalogo viene sequestrato dai nazisti, le lastre distrutte.
Eppure l’operazione di Sander rispondeva appieno alla tormentata domanda Wer sind die Deutschen menschen, Chi sono gli uomini tedeschi, che tutti gli intellettuali germanici, dal nazismo in poi, si sono posti come obbligo morale per se stessi e per la cultura.
1936: nello stesso anno in cui le lastre di Sander venivano distrutte, WALTER BENJAMIN (Berlino 1892-Portbou 1940), mandava alle stampe Deutschen Menschen. Eine Folge von Briefen (Uomini tedeschi. Una serie di lettere), antologia commentata di lettere dei più nobili tedeschi (da Goethe a Hörderlin, W. Grimm, ma anche ignoti). Non è questa la sede per analizzare la tecnica filosofica utilizzata in questo saggio, una sorta di filosofia che si “monta da sé” attraverso i frammenti di verità (in questo caso la corrispondenza degli artisti) e dove l’intervento del filosofo è limitato alla sapiente selezione del materiale. A noi interessa lo sforzo di Benjamin nel farsi testimone di una linea di civiltà, di un costume di vita tipicamente, fortemente, tedeschi dall’Illuminismo al Romanticismo, per poi passare al Biedermeier e poi sprofondare nell’epoca di Bismark.
L’altra faccia della medaglia, quella oscura, era il dèmone hitleriano, anch’esso però tipicamente, fortemente, tedesco. Con questa consapevolezza parte Benjamin dalla Germania per la Francia e poi la Spagna, dove muore suicida a Portbou nel 1940.
Giorgio de ChiChi sono gli uomini tedeschi 1/2
Riflessioni alla notizia dell’imminente uscita in Germania della quarta parte dei Quaderni neri di Martin Heidegger
Wolfgang Willrich, Ritratto di tedesco, dalla raccolta Das Deutsche Antlitz, Il volto tedesco, 1938; Paul Klee, Senecio, Il Vecchio, 1922
Su certi argomenti è arduo stabilire chi o cosa sia mercuriale e chi o cosa sia saturnino. L’evidenza a volte porta in un’unica direzione. Ma noi che all’”universo” (l’unicum versum) preferiamo la molteplicità lasciamo comunque aperta la domanda a voi lettori. Rispondeteci su twitter #natisottomercurio (@mercuriomaga).
Lo spunto per l’articolo della settimana lo dà la notizia dell’imminente uscita in Germania della quarta parte dei Quaderni neri di Martin Heidegger (note dal 1942 al 1948), compreso il quaderno che si riteneva perduto, quello del 1945-46, dove la figura del già discusso filosofo risulta ancor più spettrale di quanto già non fosse. Ci riserviamo la sospensione di giudizio, anche se dalle anticipazioni di Donatella Di Cesare, ben poche possibilità di redenzione sembra si possano concedere, a meno che non lo si delimiti nel perimetro della scrittura come diletto e non certo come azione. In poche parole: non lo vorremmo come professore, ma ne ammiriamo le indiscutibili capacità letterarie.
A. Sander, Circensi, 1929
È indubitabile che il popolo tedesco nel corso della storia sia stato e lo sia ancora per certi versi, un popolo controverso. Amore e morte, bellezza e orrore, grandezza e delirio hanno segnato la sua evoluzione sociale ed artistica. La Germania è il luogo dove si sono espresse alcune delle voci più alte del pensiero pittorico, musicale, filosofico occidentale, e al tempo stesso dove sono state soffocate, o almeno si è tentato di farlo, le voci più emblematiche della cultura, reputandole “degenerate”, manifestazioni di “malati di mente”: è il 1937 quando la Camera della Cultura del Reich decide cosa sia arte e cosa invece un male da guardar bene per starne alla larga. È l’anno della mostra a Monaco dell’Arte degenerata, che marchia a fuoco le più alte espressioni artistiche d’avanguardia. In margine un commento: l’ostracismo nei confronti di artisti come Klee, Mondrian, Otto Dix (ma la lista è lunghissima) è indice anche della consapevolezza del loro potere eversivo da parte degli uomini del Reich.
Anche in questo nostro particolare periodo storico se parlate con un greco, e io lo faccio spesso essendolo per metà ed avendo metà dei familiari e degli amici lì, di certo l’immagine del tedesco corrisponde all’idea di un popolo che non è in grado di provare compassione per il più debole, il quale può anche soccombere se questo serve alla realizzazione di un’Idea, di un fine superiore!
Ma chi sono davvero gli Uomini tedeschi? Nel 1929 il fotografo AUGUST SANDER (Herdof 1876-Colonia 1964) pubblica la serie di fotografie Antlitz der Zeit. Menschen des 20. Jahrhunderts (Volti dell’Epoca, Uomini del XX secolo), un catalogo della società tedesca durante la Repubblica di Weimar. Si tratta di una raccolta di ritratti della società tedesca, suddivisi in sette sezioni: contadini-commercianti-donne-classi professionali-artisti-città-gli Ultimi. Tutto sotto il nome di Das Antlitz des Deutschen Menschen (I volti degli uomini tedeschi). Inserire la categoria degli “Ultimi” (con fotografie di anziani, poveri, malati di mente) in una panoramica di uomini tedeschi non è una mossa felice; nel 1936 il catalogo viene sequestrato dai nazisti, le lastre distrutte.
Eppure l’operazione di Sander rispondeva appieno alla tormentata domanda Wer sind die Deutschen menschen, Chi sono gli uomini tedeschi, che tutti gli intellettuali germanici, dal nazismo in poi, si sono posti come obbligo morale per se stessi e per la cultura.
1936: nello stesso anno in cui le lastre di Sander venivano distrutte, WALTER BENJAMIN (Berlino 1892-Portbou 1940), mandava alle stampe Deutschen Menschen. Eine Folge von Briefen (Uomini tedeschi. Una serie di lettere), antologia commentata di lettere dei più nobili tedeschi (da Goethe a Hörderlin, W. Grimm, ma anche ignoti). Non è questa la sede per analizzare la tecnica filosofica utilizzata in questo saggio, una sorta di filosofia che si “monta da sé” attraverso i frammenti di verità (in questo caso la corrispondenza degli artisti) e dove l’intervento del filosofo è limitato alla sapiente selezione del materiale. A noi interessa lo sforzo di Benjamin nel farsi testimone di una linea di civiltà, di un costume di vita tipicamente, fortemente, tedeschi dall’Illuminismo al Romanticismo, per poi passare al Biedermeier e poi sprofondare nell’epoca di Bismark.
L’altra faccia della medaglia, quella oscura, era il dèmone hitleriano, anch’esso però tipicamente, fortemente, tedesco. Con questa consapevolezza parte Benjamin dalla Germania per la Francia e poi la Spagna, dove muore suicida a Portbou nel 1940.
Giorgio de Chirico, formatosi sin dai tempi di Atene con la Scuola di Monaco, in un pregevole articolo apparso su “Il Convegno” del novembre 1920 dedicato alla morte dell’artista Max Klinger, argutamente scrive: “Per la Germania il fatto di avere una potente barriera (geografica) tra sé e il mondo mediterraneo e orientale fa sì che i suoi uomini di genio, allorquando vogliono guardare profondamente entro questo mondo, devono sporgersi come prigionieri alle sbarre della finestra alta, affannarsi, affaticarsi a mettere grandemente in moto tutti i complicati ingranaggi del pensiero e della fantasia”.
In altre parole e ricalcando il Nietzsche della Nascita della Tragedia: che fatica essere Tedeschi! Soprattutto perché condannati ad un’innata, ineluttabile aspirazione ad essere Über Alles.
aco, in un pregevole articolo apparso su “Il Convegno” del novembre 1920 dedicato alla morte dell’artista Max Klinger, argutamente scrive: “Per la Germania il fatto di avere una potente barriera (geografica) tra sé e il mondo mediterraneo e orientale fa sì che i suoi uomini di genio, allorquando vogliono guardare profondamente entro questo mondo, devono sporgersi come prigionieri alle sbarre della finestra alta, affannarsi, affaticarsi a mettere grandemente in moto tutti i complicati ingranaggi del pensiero e della fantasia”.
In altre parole e ricalcando il Nietzsche della Nascita della Tragedia: che fatica essere Tedeschi! Soprattutto perché condannati ad un’innata, ineluttabile aspirazione ad essere Über Alles.