ROMA – Ancora grane per il ministro della Cultura, Dario Franceschini. Dopo la bocciatura del Tar relativa alle nomine di alcuni direttori di musei, ecco che un’altra tegola si abbatte sul ministero. Stavolta il Tar del Lazio ha infatti accolto il ricorso con il quale il Comune di Roma contestava il decreto che formalizzava l’istituzione del Parco archeologico del Colosseo. Il decreto prevedeva un Parco Archeologico con l’autonomia di cui godono gli altri parchi archeologici e con competenze su Colosseo, Foro Romano, Palatino e Domus Aurea.
“Stesso Tar, stessa sezione della sentenza sui direttori stranieri” ha commentato Franceschini.
Due le sentenze di accoglimento pubblicate, la seconda riguarda il ricorso che sullo stesso argomento è stato proposto dal sindacato Uilpa-Bact.
Il Tar sostiene essenzialmente che nel decreto del ministero ci sia uno “straripamento di potere”, dando in questo modo ragione alla sindaca di Roma Virginia Raggi e al vicesindaco Luca Bergamo, per i quali l’istituzione del Parco Archeologico del Colosseo era “lesiva degli interessi di Roma Capitale”. Raggi al momento della proposta di decreto disse: “E’ inaccettabile che a Roma ci siano aree di serie A e aree di serie B, in pratica sembra che il governo voglia gestire in totale autonomia e senza alcuna concertazione il patrimonio culturale dell’amministrazione stessa”, sottolineò anche che “i ricavi della bigliettazione del Colosseo e dei Fori portano nelle casse del nuovo ente circa 40 milioni di euro che prima andavano per l’80% alla Soprintendenza speciale, oggi invece saranno tutti del Parco e solo il 30% andrà alla Soprintendenza”.
Secondo i giudici le disposizioni di legge “non hanno attribuito al ministro alcun potere di creare un nuovo ufficio dirigenziale generale, come quello istituito per il Parco archeologico del Colosseo”, inoltre le norme in materia non attribuiscono “alcun potere generale di riorganizzazione anche degli uffici dirigenziali generali al ministro, ma un potere organizzativo limitato a consentire la soppressione, la fusione o l’accorpamento di uffici, in funzione di particolari esigenze tra le quali anche quella di garantire il buon andamento dell’amministrazione di tutela del patrimonio culturale”.
Sempre secondo il Tar dunque con il decreto si sarebbe violato il “principio della leale collaborazione tra enti”, ritenendo fondate le critiche mosse da Roma Capitale.
Scrivono i giudici: “La nuova configurazione avrebbe comportato la perdita per la città di Roma di gran parte dei proventi del Colosseo e inoltre, avrebbe sancito la eliminazione della rilevanza unitaria dell’area all’interno delle Mura Aureliane, oggetto della tutela Unesco”. E poi ancora: “alla città di Roma è stato attribuito un particolare ruolo nell’attività di valorizzazione dei beni culturali romani. Lo Stato, pur mantenendo le proprie funzioni in materia di organizzazione dei propri uffici, non può incidere unilateralmente, trattandosi appunto di aspetti relativi alla valorizzazione dei beni culturali, le cui funzioni amministrative sono state attribuite alla competenza concorrente di Roma capitale”.
Alfredo D’Attorre, deputato Mdp, ha così commentato: “La sentenza del Tar sul Parco del Colosseo conferma l’inadeguatezza delle scelte in materia di Beni culturali operate dal Governo Renzi. Un settore cosi’ importante avrebbe richiesto una riforma organica. Negli anni scorsi si è scelta invece la strada di una serie di interventi ad hoc, affidati a emendamenti inseriti surrettiziamente nelle leggi di bilancio, approvati peraltro senza una vera discussione parlamentare per effetto del ricorso al voto di fiducia”. “La sentenza del Tar – prosegue D’Attorre – è un monito importante per i governanti nazionali di oggi e di domani su come intervenire sul patrimonio archeologico e culturale della Capitale. Per Roma è una notizia positiva: la gestione dei suoi Beni culturali è stata frammentata in maniera insensata, portando da tre a dieci il numero delle direzioni e producendo una vera e propria balcanizzazione burocratica. Con la sentenza del Tar si riapre finalmente la strada per una gestione più razionale”.
Soddisfazione anche da parte del Vicesindaco Luca Bergamo che afferma: “La sentenza del Tar è positiva e importante ancor più alla luce delle motivazioni che riconoscono la fondatezza e la solidità delle argomentazioni che erano state avanzate dal Comune di Roma e che riguardano da una parte la destinzione dei fondi, diversamente da quanto aveva rassicurato pubblicamente il ministro, e il fondamentale diritto della città di decidere in concerto con il governo sul destino del proprio patramonto culturale e che dunque queste decisioni non possono essere un atto unilaterale. Invece il decreto così come costruito dal ministro non solo viola gli accordi firmati dal ministro stesso e la città, ma anche il mandato stesso che la legge gli ha dato di riorganizzazione”. Bergamo poi ha proseguito: “È una sentenza molto solida, al netto di questa, però, noi lo abbiamo detto da subito, ancor prima che il ministro facesse il suo decreto, gli abbiamo proposto di seguire un approccio diverso: l’estensione dell’accordo di valorizzazione che prevedeva un unico governo del patrimonio nell’area centrale della città a tutta la città perché Roma ha bisogno di un istituzione di questo genere”. Per questo, ha concluso il vicesindaco: “Noi oggi alla luce della sentenza che rinforza le motivazioni nuovamente lo proponiamo al ministro: quello è il terreno su cui bisogna andare”.