Ha fatto bene Antonello Viola a scegliere per la sua nuova personale il titolo Anche Bach mi ha salvato, Perché, nella lunga e fruttuosa trasformazione che ha avuto il suo lavoro nel corso degli anni, mai come oggi la sua pittura sa di musica.
Pittura che, come incastonata in uno spartito che lui legge a memoria, ripropone le mille e mille possibilità di combinazioni tra colore e forma, lasciando tutte le tonalità utilizzate, azzurri, rossi, blu, ori, arancioni e verdeacqua, fluire armonicamente come fossero note musicali, appunto. Il risultato è, rispetto all’ultimo Aperto con fine che avevamo visitato nel 2013 alla Galleria Francesca Antonini Arte Contemporanea di Roma che ancora si chiamava “Il Segno”, sorprendentemente nuovo, pur rimanendo ancorato alla tradizione personale dell’artista (romano classe ’66, nel 2020 ha preso parte alla collettiva Real Utopias, nella marsigliese Manifesta 13, e ha partecipato a numerose mostre collettive istituzionali, tra cui Looking for utopia, a cura di Biance Cerrina Feroni e Melania Rossi, Novecento, Venezia (2019) e The artist / knight, a cura di Joanna De Vos, Gaasbeek Castel in Flemish Brabant, Belgio nel 2017).
Viola si è salvato grazie a Bach (un privato che emerge silenziosamente tra le tele e racconta di una dimensione dolorosa e giustamente silenziata) e Bach gli ha restituito un musicale equilibrio di forme e colori che continuano il percorso iniziato anni ormai molti anni fa. Quello che oggi ci troviamo di fronte è ancora una volta il consueto scontro tra Titani a cui ormai Viola ci ha abituati. Quello tra Colore e Colore, che abbiamo visto evolversi in tanti anni di pennellate forti e sempre più concrete che si sono trasformate da sottili e trasparenti sovrapposizioni che quasi sfumavano una nell’altra, in energiche e decise monocromie che lasciavano emergere piccole anime di colori contrastanti in grado però di illuminare ogni cosa.
Questo scontro oggi sembra approdare ad una nuova battaglia, quella tra Colore e Forma. Forme improvvise che emergono nei graffi, nelle incisioni, nelle piccole e volute imperfezioni che vanno a perforare quello strato di foglia d’oro che Viola utilizza per sigillare il prezioso confronto fra i colori sottostanti che riescono così ad emergere, quasi ad affiorare, come da un lago apparentemente piatto ed silenzioso.
Bene spiega Davide Ferri nel testo che accompagna e analizza i lavori dell’artista. “Vi è poi un ultimo passaggio, un atto apparentemente conclusivo che è anche l’elemento emblematico dei lavori …… l’approdo a un ultimo strato di foglia d’oro, o di oro bianco o rame, che dona a ogni lavoro l’aspetto di un “quasi monocromo”. Uno strato che chiude, sigilla e custodisce (che mi fa pensare alla riza metallica che ricopre le icone) e al contempo costituisce un nuovo inizio: solo dopo averlo applicato, l’artista inizia un meticoloso processo di scavo (uno scavo lieve, che asseconda le accidentalità della superficie), un nuovo disegno dell’opera, che si realizza retroattivamente e per via di raschiature e delicate asportazioni, e che lascia emergere, in piccole aree e lungo i margini, gli strati sottostanti, la vita materiale del dipinto”.
E sembra quasi di vederlo al lavoro, l’artista, arrivare a quello che, con felice intuizione, Ferri definisce un “quasi monocromo”. Quella perfetta e armoniosa sintesi tra forma e colore che emerge in quegli impercettibili geroglifici a testimonianza della fragilità dell’idea e, forse, dell’artista stesso, e che riporta, appunto, alla musicalità evocata dal Bach del titolo della mostra.
Dieci opere, in cui ormai lo spessore e la materia della carta giapponese e degli oli si mescolano in un unicum corporeo e irripetibile in una densità non più lieve e impalpabile ma fisica concreta, che si affiancano in galleria a Ricordi Isola di Palmarola. Un’opera dalla lunghissima gestazione (2010-2015) che l’artista realizza su quattro lastre di vetro dipinte a olio su entrambi i lati, applicate su una mensola a parete e disposte una accanto all’altra con i bordi sovrapposti. Un grande dipinto ancora una volta su vetro, che si conferma così un altro dei supporti usati felicemente da Viola da circa dieci anni a questa parte. E che conclude il viaggio con un paesaggio marino e sognante, inaugurando l’attesa verso la prossima tappa del percorso dell’artista.
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Info
Anche Bach mi ha salvato
Antonello Viola
Francesca Antonini Arte Contemporanea
Via di Capo le Case, 4 00187 ROMA
Tel. +39 06 67 91 387
info@francescaantonini.it
www.francescaantonini.it
Martedì – Venerdì 12.00 – 19.00