L’anno in corso oltre a collocarci a cento anni dalla sua nascita, ci pone a cinquant’anni dalla sua prima mostra italiana, La Rivoluzione siamo noi, segnando – ancora a conferma del rapporto con il gallerista napoletano Lucio Amelio – i quarant’anni dall’ideazione del suo contributo per Terrae motus, anticipato di qualche giorno solo dalla performance tenuta durante il convegno Arte e dimensione metropolitana nell’aprile del 1981.
Arte, uomo, creatività, scienza, storia, libertà, individuo, isolamento e comunicazione. Sono solo alcuni dei riferimenti che spesso Beuys inscrive nei suoi diagrammi su carta o che traccia a gesso sull’ardesia di grandi lavagne buone a sorreggere, per ore, il filo della discussione durante le sue performance.
Beuys è gentile ma solenne, magnetico. Ministro di una mistica ancestrale, scultore sociale, conosce il potere di evocare le energie, la sua Soziale plastik prende vita nelle azioni e negli happening.
Per importanza, l’elaborazione del Tedesco può solo essere messa in relazione all’influenza prodotta dal lavoro di Andy Warhol. I due, rappresentando radicalmente l’alfa e l’omega nelle tensioni e nei linguaggi che attraversano l’arte contemporanea, ci aiutano a comprendere i differenti approcci tra le due sponde dell’Atlantico. Tra l’acritico ottimismo celebrato dalla lamina pop e la problematizzazione che ideologicamente si alligna nella ricerca europea, ben oltre una comoda e schematica opposizione, si presenta l’opportunità dell’esplorazione di un’affaticante complementarietà. È questo il passaggio che, stretto, si apre tra superfice ed Utopia.
La biografia di Beuys, nato in ambiente cattolico, a Krefeld, nella Renania Settentrionale il 12 maggio del 1921, iscritto alla Hitlerjugend nel 1936 ed arruolato volontario nella Luftwaffe nel 1941, potrebbe già terminare in terra di Crimea, con lo schianto al suolo dello Junkers Stuka su cui vola come mitragliere. In un certo senso, questo è quello che accade.
Insieme al pilota che muore nell’impatto, finisce anche la prima vita di Beuys. Le carte dei tedeschi non parlano di un abbattimento in missione ma di una violenta ed imprevista tempesta di neve che causa la caduta del velivolo in una porzione di territorio ancora sotto il loro controllo militare. Il mitragliere Beuys ferito, secondo i verbali, sarà trovato dai soccorsi il giorno seguente.
I ricordi del Tedesco, sono differenti. Moribondo e semi congelato, dopo lunghe ore di incoscienza, viene recuperato da un gruppo di nomadi tartari che lo porta via nella neve, adagiandolo su di una slitta.
Saranno i tartari a prendersi cura di lui. Lo avvolgeranno nel feltro dopo aver cosparso il suo corpo di grasso. Scongiurato il congelamento, dopo una decina di giorni Beuys sarà trasportato presso un ospedale militare dove potrà superare i traumi delle fratture riportate. Si tratta, in maniera cristologica, di una resurrezione a nuova vita.
La slitta, il grasso, il panno di feltro, la simbologia della sanità bellica ed i continui rimandi alla natura ed all’antropologia costituiranno i punti fermi della poetica e dell’azione di Beuys.
Iconograficamente, Beuys sceglierà di essere sempre riconoscibile. Il cappello di feltro, il gilet da pescatore, gli stivali ed il bastone, sono particolari che in un tempo relativamente breve finiranno con l’ancorarlo definitivamente all’immaginario collettivo. È così, con lo sguardo rivolto verso l’orizzonte, attraversando gli occhi di chi guarda, che Beuys, nel novembre del 1971, ci viene incontro nel grande manifesto che presenta La Rivoluzione siamo noi. L’immagine è colta nel viale d’ingresso di Villa Orlandi ad Anacapri. Lo scatto di Beuys, eseguito da Giancarlo Pancaldi, finirà col rendere il manifesto della Modern Art Agency di Lucio Amelio, tra i più iconici dell’arte degli anni settanta.
Per la sinistra fu un colpo allo stomaco. In Beuys, l’idea ha sempre la necessità di tramutarsi in azione e se il Movimento, nel suo schematismo, non riuscirà a comprendere l’uso della parola “rivoluzione” in associazione all’immagine di un uomo che avanza in solitudine sulla sponda del Pci, Beuys riuscirà ad irritare anche Guttuso a Roma, pochi mesi dopo, durante gli Incontri Internazionali d’Arte. Sarà solo con l’imprevedibile colpo di teatro di un bacio che, durante la conferenza dinanzi alle sue lavagne, riuscirà a bloccare l’ira del pittore italiano.
Negli anni, la ricerca di riferimenti iconografici per l’immagine di Pancaldi ha prodotto le più diverse suggestioni. Tra queste anche un confronto sghembo con la grande tela de Il Quarto stato. Se nel dipinto di Giuseppe Pellizza la moltitudine in pacato avanzamento rappresenta l’ingresso del proletariato sul proscenio della Storia, l’immagine di Beuys, invece, può rappresentare solo la fraintesa generosità di un artista che individua il suo scopo rivoluzionario in un’arte che non vuole essere forma o immagine ma innesco di un processo liberatorio.
Se per Joseph Beuys l’arte diviene rivoluzionaria quando concettualmente si libera dal suo tradizionale significato tecnico, con La Rivoluzione siamo noi, l’uomo col cappello hegelianamente muove verso la fine dell’arte per come sin qui l’abbiamo conosciuta. Insieme ad Hegel, Beuys ci conduce lungo la linea di limes che intercorre tra forma sensibile e contenuto spirituale; lì dove cominciano a discutere i filosofi.
Beuys è dunque l’ultimo erede di una grande tradizione tedesca che, dopo la Seconda guerra mondiale, ritorna in Italia, sensibile alla ricerca di quella energia che solo il Mezzogiorno avrebbe potuto tributare alla creazione di una nuova società umana.
Beuys nel 1943, come giovane soldato, aveva già conosciuto Napoli e la Puglia e l’occasione offertagli da Amelio costituirà un ritorno e, per tutti gli anni a venire, un punto fermo nella sua straordinaria elaborazione.
Joseph Beuys è per l’abbattimento di ogni delega. Celebre nel 1972, il suo contributo a Documenta V, dove per cento giorni, a Kassel, apre un ufficio denominato “Organizzazione per la democrazia diretta tramite referendum”.
Nella parabola di quegli anni l’artista tedesco, nel suo sostegno alle organizzazioni politiche alternative, incrocia anche la vicenda di Lotta Continua. Beuys, pur distante dal marxismo, apprezza la critica di sistema che quel giornale muove e che lo porterà ad essere tra i fondatori dei Grünen, i Verdi tedeschi.
Quando Beuys sceglie, dopo la catastrofe del 23 novembre del 1980 in Irpinia, di confrontarsi con il tema del terremoto, non stupirà l’opinione maturata nei confronti dei politici italiani colpevoli d’aver costantemente fallito nella creazione di condizioni di vita accettabili per il Mezzogiorno. Beuys, nel febbraio del 1981, accompagnato da Amelio, sarà presente nell’area del sisma per raccogliere alcune testimonianze dirette e per cercare alcuni oggetti da poter inglobare nell’opera – Terremoto in palazzo – con cui l’artista intende rispondere, tra i primi, alla chiamata del gallerista napoletano per Terrae motus.
Beuys crede fermamente che l’energia della natura possa trasformarsi in forza creativa. Su vecchi tavoli da lavoro dispone alcuni oggetti in equilibrio precario. A terra, in frantumi, i resti di una serie di vasi di vetro impilati e crollati in pochi minuti. Come simbolo di nuova creazione, in contrasto con l’immagine di distruzione, un uovo.
L’artista tedesco realizzerà, durante quei giorni, anche una serie di azioni, alcune delle quali in incognito. Non tutto riesce. Beuys scriverà un testo per Il Mattino – Alcune richieste e domande sul Palazzo nella testa umana – che il quotidiano napoletano rifiuterà per la natura radicale dei contenuti. Come ultima azione – Diagramma terremoto – Beuys si nasconde sotto il tavolo più grande della sua installazione e registra, come un sismografo umano, su trentaquattro metri di nastro da elettrocardiogramma, una scossa sismica. Le fasi di quel movimento tellurico immaginato, per Beuys, rappresenteranno in maniera definitiva l’esplosiva situazione sociale di quei giorni.
Le azioni napoletane di Terremoto in palazzo, sono anticipate, invitato da Lotta Continua, dalla performance Terremoto tenuta il 7 aprile del 1981 a Palazzo Braschi a Roma.
Beuys realizza Terremoto, in memoria delle vittime del sisma del 1980 in Irpinia. L’artista, come in un duello, inizia a camminare in cerchio attorno ad una macchina da scrivere linotype. È in questo momento che Beuys lancia sulla tastiera numerosi cilindri di burro. Dopo l’interruzione di alcune domande del pubblico, l’artista chiede di poter continuare a lavorare in solitudine. L’unico a cui è concesso di assistere è il fotografo Tano D’amico del quale, per tutta la durata del convegno di Palazzo Braschi, Beuys aveva tenuto bene in vista un opuscolo con le fotografie dai luoghi del sisma.
L’installazione, oltre la macchina da scrivere linotype dismessa da Lotta Continua, comprende a testimoniare una domanda di alternativa politica al capitalismo ed al socialismo totalitario, alcuni manifesti dell’organizzazione. Una bandiera italiana è arrotolata in un feltro e la sostanza grassa è lasciata sciogliere sopra la tastiera. Alla base della linotype è sistemato un secchio con altro grasso e del piombo. Intorno, disposte ad angolo, alcune lavagne dove Beuys rappresenta, come in un rituale alchemico, le relazioni cosmiche tra Giove e Saturno mentre, in altre, il dolore umano è tratteggiato a gesso in una moltitudine di volti e di espressioni.
Beuys in Terremoto, prova a coniugare, in un equilibrio instabile, l’umana sofferenza e le reliquie della civiltà meccanica. I temi dello scontro politico, le alchimie della natura e le influenze astrali. L’opera è determinata dalla relazione tra tutti i singoli elementi e non ultima dalla discussione, in un misto di italiano e tedesco, con la folla rimasta in attesa e fatta rientrare.
La natura del lavoro di Beuys è quasi mai fissa e compiuta. In gran parte delle sue opere evolvono e degradano diversi processi, reazioni chimiche, fermentazioni, cambiamenti di colore, usura ed essicazione. È un terreno alchemicamente in continuo stato di mutazione dove l’artista diviene il catalizzatore della creatività degli individui.
È qui che in Joseph Beuys il concetto d’arte si allarga e la sua scultura sociale si realizza.
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