NAPOLI – Il buio ed il fresco quasi improvviso della Sala delle Carceri del Castel dell’Ovo finiscono con il caricare di senso la qualità esperienziale delle luci e dei suoni che arrivano dalle tre installazioni proposte in mostra dall’artista.
A Lina Fucà, diplomata in pittura all’Accademia delle belle arti di Torino, per attraversare il fluire del tempo ed il ripetersi dei gesti, la pratica della figurazione pittorica non basta o, almeno per il momento, non basta più. Dopo il lavoro su costumi e scenografie per alcune produzioni teatrali e cinematografiche indipendenti l’artista torinese di origine siciliana ha eletto la pratica del video e la macchina da presa a propri personalissimi strumenti di espressione e di indagine.
Nel video che dà il titolo alla mostra – Vedonelvelononvedo – si susseguono, anche nei toni, in maniera oppositiva i frame di una giovane donna egiziana – un’allieva della scuola dove Lina insegna – a quelli che invece ritraggono l’artista. Il velo ed il volto della studentessa musulmana appaiono sospesi in una zona di quiete mentre la meccanica della ripresa non nasconde il grado di fascinazione dell’artista per quei gesti di antichissima e potente intimità. Se a rompere il silenzio sono le mani, i capelli e lo scrosciare dell’acqua; la sistemazione del velo, per Fucà, non è solo l’analisi di una specifica diversità. È qui che le azioni dell’artista si presentano come l’occasione della più autentica rivelazione del proprio sé all’altro.
Ancora il tema dell’incontro è alla base di Unopertreugualesette. La videoinstallazione si compone di cinque schermi, ciascuno con tre video che, uno sull’altro, formano altrettante sequenze narrative. L’artista viene vestita e truccata da donne di età e nazionalità diversa. Il volto ed il corpo di Lina Fucà diventano terreno di relazione tra l’artista e le donne coinvolte nel procedimento. Se alla vestizione dell’artista corrisponde la progressiva messa a nudo dei soggetti; sarà solo il gioco rivelato nella meccanica installativa a ri-consegnare alle donne che con l’artista si sono poste in relazione, un’intimità non sottratta dalla macchina da presa ma, al contrario, rigenerata nella sua moltiplicazione.
Il terzo intervento, Nonbastanounmilionedipassi, è l’ultima installazione presente in mostra. Parte di un progetto più ampio sostenuto nel 2016 dalla Fondazione Merz che ha portato Lina Fucà e Daniele Gaglianone, insieme ai loro due figli, a Cuba. Un milione di passi sono quelli registrati dai quattro segnapassi indossati dal momento dell’arrivo sull’isola. L’installazione di Castel dell’Ovo si compone di venti lightbox con altrettanti scatti fotografici provenienti da diverse macchine fotografiche usa e getta affidate per empatia e con libertà di uso a diverse persone conosciute durante la residenza artistica cubana. Ad accompagnare questi scatti, un video che riprende mani che lavorano all’uncinetto il punto catenella – un giro di ferri per ogni passo segnato – per dieci chilometri di filo ricavato dagli stessi sacchi di juta che a Cuba usano per la raccolta del caffè. Un filo che idealmente attraversa la ricerca di Lina Fucà e consente di tenere legata in maniera intima l’artista al suo spazio di relazione.
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