MILANO – 150 immagini e documenti originali, un percorso espositivo che indaga non solo la carriera professionale, ma anche il percorso umano di Inge Morath. Si tratta della mostra “Inge Morath. La vita. La fotografia”, a cura di Brigitte Blüml – Kaindl, Kurt Kaindl, e Marco Minuz, ospitata al Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano dal 19 giugno.
Prima donna a essere accolta nell’agenzia Magnum Photos, la Morath esordisce al fianco di Ernst Haas ed Henri Cartier-Bresson fino alla collaborazione con prestigiose riviste quali Picture Post, Life, Paris Match, Saturday Evening Post e Vogue.
La mostra presenta alcuni dei suoi reportage più famosi, come quello realizzato a Venezia nel 1953, con immagini colte in luoghi meno frequentati e nei quartieri popolari della città lagunare, che sposano la tradizione fotografica dell’agenzia Magnum di ritrarre persone nella loro quotidianità. Alcune ambientazioni surreali e alcune composizioni fortemente grafiche sono un esplicito riferimento al lavoro del suo primo mentore Henri Cartier-Bresson.
Le immagini di Inge Morath riflettono le sue più intime necessità, ma al contempo sono come pagine del suo diario di vita, come lei stessa ha scritto: “La fotografia è essenzialmente una questione personale: la ricerca di una verità interiore”.
“Nelle fotografie di Inge Morath – spiega il curatore Marco Minuz – emerge sempre una componente di vicinanza, non solamente fisica, ma soprattutto emotiva. Il suo è un lavoro diretto, privo di zone d’incertezza o di mistero. Il suo lavoro è, come il buon giornalismo, schietto, privo di compassione e ambiguità. Le sue immagini hanno sempre la capacità di non semplificare mai ciò che è complesso, e mai complicare quello che è semplice; sono fortemente descrittive e al contempo fanno trasparire una rara capacità di analisi del contesto con il quale si confrontava. Un approccio sistematico che la spingeva, prima di ogni lavoro, a studiare e approfondire le culture con cui si sarebbe rapportata, per arrivare così a conoscere sette lingue. Ma in definitiva, in piena condivisione con uno dei dogmi dell’agenzia Magnum, la vera priorità per Inge Morath è sempre stato l’essere umano”.
Una particolare sezione dell’esposizione è dedicata a Parigi, uno dei suoi ‘luoghi del cuore’, anche se il suo sogno fu sempre quello di visitare la Russia. Si avvicinò a questo paese studiandone la cultura e imparandone la lingua prima del suo primo viaggio, avvenuto nel 1965, in compagnia di suo marito, Arthur Miller.
Il viaggio prosegue in Iran, dove la fotografa riuscì ad approfondire la conoscenza di quella regione, muovendosi all’interno della dimensione femminile e cogliendo il rapporto fra le vecchie tradizioni e le trasformazioni innescate dalla moderna società industriale in una nazione fortemente patriarcale e si chiude idealmente a New York dove nel 1957 realizza un reportage per conto della Magnum.
Ampio spazio in mostra è dato anche al ritratto un tema che l’ha accompagnata per tutta la sua carriera. Da un lato Morath era attratta da personaggi celebri, quali Igor Stravinsky, Alberto Giacometti, Pablo Picasso, Jean Arp, Alexander Calder, Audrey Hepburn, dall’altro dalle persone semplici incontrate durante i suoi reportage.
A questi si aggiungono anche una serie di curiosi ritratti ‘mascherati’ nati dalla collaborazione con il disegnatore Saul Steinberg che risalgono al suo primo viaggio a New York durante il quale conobbe la produzione artistica del disegnatore statunitense, rimanendone entusiasta.
La mostra, visibile fino al 1 novembre 2020, è accompagnata da una monografia pubblicata da Silvana Editoriale.