ORVIETO – Il concerto d’inaugurazione dei nuovi talenti italiani della Berklee Summer School dell’Umbria Jazz Clinics, il carisma di Kurt Elling nel concerto di apertura con il suo tris fatto a voce sola, la raffinatezza del progetto Duke di Fabrizio Bosso e il coinvolgente Paolo Fresu con la colonna sonora del film Vinodentro sono solo alcuni dei momenti che hanno fatto il successo di questa edizione insieme a tanti altri grandi interpreti del jazz italiano e internazionale.
Sicuramente il clima mite ha aiutato, così come i numerosi ponti che hanno facilitato la gestione di un’accoglienza turistica su più festivi e weekend, ma di certo l’edizione 23 di Umbria Jazz Winter è stata memorabile. Un’edizione record se guardiamo il numero dei biglietti venduti rispetto agli scorsi anni.
Quello che qui vogliamo mettere in risalto è, più che altro, il valore di un festival come questo per le città d’arte come Orvieto.
Il merito della Fondazione Umbria Jazz è stato, certamente, quello di riuscire a fare della natura bipartisan del consiglio di amministrazione (La Regione e il Comune di Orvieto di centrosinistra e Perugia a guida centrodestra) un punto di forza invece che una criticità.
A Orvieto ha funzionato, soprattutto, l’organizzazione generale curata dalla Società Tema. E questo aspetto meriterebbe un’analisi ulteriore sul futuro delle società o associazioni partecipate minacciate oggi dal Governo Renzi. Non sempre sono inutili poltronifici.
Ma vediamo nel particolare UJW23. L’aumento del numero di biglietti si deve certamente anche alla scelta di aumentare i concerti al Teatro Mancinelli, valorizzandolo rispetto alla Sala ‘400 del Palazzo del Popolo, come a quella di emettere biglietto direttamente a favore dell’organizzazione anche a Palazzo dei Sette – altra sede storica del festival- cosa che, inspiegabilmente, non avveniva gli scorsi anni. È stato inoltre recuperato come palcoscenico e bigliettazione anche il Museo Greco. Insomma, si è percepita una gestione più imprenditoriale rispetto a quella degli anni passati che giustifica il successo di questa edizione.
Umbria Jazz Winter, in tempi di crisi, dimostra ciò che Arte Magazine e, trasversalmente, molti politici e addetti ai lavori vanno sostenendo da anni: il turismo e la cultura sono il futuro anche economico per le città d’arte e che per Orvieto in particolare – in predissesto di bilancio – dovrebbe essere un indirizzo chiaro da seguire e accentuare.
Fin qui le luci di una grande edizione del festival. Se proprio dobbiamo indicare qualche ombra, non possiamo non ricordare alcuni gravi errori dei service, che nel concerto d’inaugurazione di Kurt Elling dimenticano di attaccare l’alimentazione dei monitor, o, nel bel mezzo dello spettacolo di Fresu, l’irruzione in scena dei tecnici con i microfoni per la voce mentre gli interpreti si preparavano a un duetto strumentale, tra l’ilarità generale del pubblico. Errori grossolani che in un festival internazionale non possono verificarsi .
Infine, la gestione del social – probabilmente per problemi di budget – è risultata amatoriale e “rarefatta”, non certo all’altezza di un Festival che essendo musicale ben si presterebbe ad operazioni di live twitting, o meglio live Instagram, come anche a partnership con operatori web o gestori telefonici che potenzierebbero fortemente il riverbero sulla rete – di portata quindi mondiale – di UJ in generale e magari attraendo nuovi sponsor sul sito per il numero di contatti raggiunti.
Questa edizione sarà ricordata anche per il commosso addio a Natalie Cole, mito jazz che proprio nel 2014 era stata ad UJ in un memorabile concerto. Un’uscita di scena davvero unforgettable.
Quale futuro, quindi, per UJW a Orvieto? Sicuramente positivo sarà proseguire sulla strada intrapresa di maggiore efficienza organizzativa e di massima valorizzazione degli spazi culturali cittadini, magari, aprendo a palinsesti integrati con grandi mostre che certamente mancano da un bel po’ di tempo.