MILANO – Quarantasei grandi artisti interpretano il nostro futuro. Stiamo parlando della mostra “2050” dal 23 marzo al 29 maggio a Palazzo Reale di Milano. Ispirata al saggio “Breve storia del futuro” di Jacques Attali (pubblicato nel 2006 e rieditato nel 2016 da Fazi Editore, aggiornato ai nuovi scenari globali), l’esposizione, attraverso 50 opere d’arte contemporanea, tra dipinti, sculture, foto, video, installazioni, osserva il presente per condurre una riflessione sul futuro, sul complesso panorama dei prossimi decenni sempre più caratterizzato da conflitti globali, mutazioni genetiche, diseguaglianze sociali ed economiche, sfruttamento delle risorse naturali.
Gli artisti di “2050” interpretano queste tematiche complesse e invitano a ri-pensare il tempo che verrà con visioni anche costruttive e talvolta ironiche. Il percorso espositivo si compone di 8 sezioni e si articola intorno a diversi nuclei ispirati agli interrogativi sviluppati nel saggio di Attali.
Una esposizione di grande attualità dunque, “che interpreta inquietudini e timori e al tempo stesso svela soluzioni”, come sottolineato dall’Assessore alla Cultura, Filippo Del Corno.
La mostra ha un esordio “catastrofico” per poi evolvere in una visione più costuttiva. Si parte dagli anni Ottanta a Los Angeles (evocata nei lavori di Chris Burden, Edward Burtynsky, Edward Ruscha, Tracey Snelling), la città natale del microprocessore che, in arte, ha ispirato le sperimentazioni con il computer di Charles Csuri e Masao Kohmura. Al fermento della modernità della Silicon Valley, al consumismo e al capitalismo segue poi il declino dell’Impero americano, identificato in mostra con gli attentati dell’11 settembre 2001 nelle immagini di Wolfgang Staehle e Hiroshi Sugimoto; la tragica vicenda segna uno sconvolgimento politico su scala planetaria di cui ci parlano i lavori di Mark Napier, Alighiero Boetti, Mona Hatoum. Jacques Attali descrive in questa fase storica l’avvento di un “iperimpero” nel quale le diseguaglianze economiche diventano la norma, una tematica testimoniata nelle opere in mostra di AES+F, Andres Serrano, Aaron Koblin o Gavin Turk. L’iperimpero, nel quale anche il tempo diventa merce (con le opere di Gustavo Romano, Roman Opalka, On Kawara) e dove il corpo umano si trasforma per incontrare la macchina (i lavori di Stelarc, Hans Op de Beeck), si deve confrontare con molteplici calamità: sovraconsumo (John Isaacs), sovrapopolazione (Michael Wolf, Yang Yongliang) e sovrasfruttamento delle risorse naturali e inquinamento (Olga Kisseleva, Robert Mundt). Quando le tensioni nate da tali disequilibri diventano insostenibili, sopraggiunge l'”iperconflitto”, sempre nel pensiero di Attali, agevolato da un crescente accesso alle armi di distruzione di massa (Gregory Green) e sostenuto da ideologie religiose distorte (Al Farrow).
A fianco di questa visione catastrofica, l’esposizione propone anche opere che fanno eco alla “iperdemocrazia” definita da Jacques Attali, la quinta ondata del futuro che potrebbe sfociare in un mondo migliore, così come lo evocano i lavori di Bodys Isek Kingelez, Mark Titchner, Goncalo Mabunda, Jean Katembayi Mukendi o il progetto Little Sun.
La mostra è promossa e prodotta dal Comune di Milano, Palazzo Reale e la casa editrice Electa, in collaborazione con i Musees Royaux des Beaux-Arts de Belgique a Bruxelles dove il progetto ha preso vita con una doppia esposizione.