In occasione della riapertura del Museo del Genio, Roma accoglie “Vivian Maier. The Exhibition” grande retrospettiva dedicata alla fotografa americana che avrebbe compiuto cent’anni il prossimo 1° febbraio 2026. Fino al 15 febbraio 2026, oltre duecento immagini, tra scatti in bianco e nero e fotografie a colori, insieme a filmati Super 8, registrazioni audio, documenti inediti e oggetti personali, compongono un percorso immersivo nel mondo di un’artista che ha trasformato il gesto quotidiano del guardare in una forma di poesia visiva.
La “tata-fotografa” scoperta per caso
Vivian Maier (1926–2009) è una figura che continua ad affascinare per il mistero che avvolge la sua vita. Tata di professione, fotografa per vocazione, trascorse decenni dietro una Rolleiflex, catturando con discrezione e sensibilità la vita americana tra Chicago e New York. Il suo sguardo, acuto e ironico, si posava con naturalezza su bambini, anziani, donne, uomini ai margini del sogno americano, restituendo immagini di profonda umanità. Nessuno, però, conobbe la portata della sua opera fino alla sua morte, quando nel 2007 un archivio di migliaia di rullini fu ritrovato per caso in un magazzino. Quel tesoro nascosto avrebbe rivelato al mondo una delle più grandi fotografe del Novecento. Fu nell’aprile del 2009, quando Vivian morì, che la maggior parte di questi materiali fu acquisita in un’asta da un giovane artista di Chicago, John Maloof, che scoprì casualmente che la Meier era stata una tata di Chicago.

Florida, FL, April 7, 1960
Gelatin silver print, 2014, 40×50 cm
©Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof
Collection and Howard Greenberg Gallery, NY

Self-Portrait, New York, NY, 1953
Gelatin silver print, 2012, 40×50 cm
©Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof
Collection and Howard Greenberg Gallery, NY
La mostra romana, curata da Anne Morin, massima esperta dell’artista, accompagna i visitatori in un viaggio tematico attraverso le molte anime di Maier. Le prime sale raccontano l’America del dopoguerra, dove dietro la facciata del sogno americano emergono volti e corpi di chi quel sogno non l’ha mai toccato. Le sue immagini, spesso scattate di nascosto, restituiscono un’umanità fragile e autentica, lontana da ogni costruzione estetica. Negli anni Sessanta la fotografa sperimenta anche il linguaggio del cinema con la sua Super 8: i filmati in mostra, alternati alle fotografie, raccontano una realtà filmata frontalmente, senza artifici, come un diario visivo di una società in costante movimento.
Le immagini a colori
Un’intera sezione è dedicata al colore, elemento meno noto ma altrettanto potente nel lavoro di Maier. Le fotografie scattate nei quartieri operai di Chicago con una Leica 35 mm rivelano un’inedita vitalità cromatica, in cui il blu delle strade e il rosso dei mattoni diventano metafore di una vita pulsante. Il colore, per Maier, è un linguaggio emotivo: aggiunge ritmo e profondità alla quotidianità, rendendo tangibile la musica urbana che accompagna i suoi soggetti. Il percorso prosegue con un approfondimento sul lato più astratto della sua produzione. Qui la realtà si dissolve in dettagli minimi, riflessi, giochi di luce, superfici che si trasformano in forme poetiche. È la Maier più intima, quella che osserva il mondo da vicino fino a sfiorarne l’invisibile, capace di cogliere la bellezza anche nelle pieghe più ordinarie delle cose.


Gli autoritratti (e gli specchi)
Tra le sezioni più suggestive c’è Vivian sono io, dedicata agli autoritratti che l’hanno resa celebre e che l’allestimento della mostra racconta attraverso la vivace presenza di specchi, in un continuo rimando all’uso quasi autobiografico che ne fece l’artista. Oltre alle sue immagini specchiate, nelle vetrine dei negozi, negli specchietti retrovisori delle automobili, nei riflessi dei palazzi, anche le immagini che raccontano le sua ombra proiettata sull’asfalto o la sua sagoma dietro i vetri: ogni immagine diventa una dichiarazione di presenza, un “esserci” discreto ma potente. È un dialogo silenzioso tra la fotografa e il suo tempo, un gioco di identità che anticipa di decenni la cultura contemporanea del selfie, ma con una consapevolezza artistica e umana ineguagliabile.

Chicago, IL, 1962
Gelatin silver print, 2020, 40×50 cm
©Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof
Collection and Howard Greenberg Gallery, NY

Untilted, September 1961
Gelatin silver print, 2020, 40×50 cm
©Estate of Vivian Maier, Courtesy of Maloof
Collection and Howard Greenberg Gallery, NY
Tra New York e Chicago
Il racconto continua tra le strade di New York e Chicago, dove Maier camminava per ore, mescolandosi alla folla e osservando senza mai farsi notare. Le sue fotografie restituiscono il volto autentico di un’epoca: il dopoguerra americano, i contrasti sociali, le donne che si affacciano a una nuova modernità. Il suo sguardo, pur essendo empatico, non sembra mai essere retorico: Maier osserva, comprende e restituisce, come se ogni scatto fosse una forma di ascolto visivo. “Quando scatta le sue foto in questo tessuto urbano, nel cuore del grande trambusto del mondo, Maier privilegia gli istanti residuali della vita sociale cui nessuno presta attenzione – spiega nel catalogo la curatrice della mostra Anne Morin. – Fotografa il disotto, l’accanto, “quello che di solito non si nota, quello che non si osserva, quello che non ha importanza: indefinitiva, quello che accade quando non accade nulla, se non lo scorrere del tempo, delle persone, delle auto e delle nuvole”. La mostra si chiude con una sezione dedicata ai bambini, tema centrale nella sua produzione. Per quasi quarant’anni Vivian Maier lavorò come tata, e nei volti dei piccoli che accudiva trovò una fonte inesauribile di ispirazione. I suoi scatti sull’infanzia raccontano la leggerezza e la malinconia del crescere, le risate e le lacrime di un’età sospesa, colta con un’intensità emotiva rara. In quelle immagini, forse più che in ogni altra, emerge la sua capacità di empatia, la sua partecipazione silenziosa alla vita degli altri.


Prodotta e organizzata da Arthemisia in collaborazione con Vertigo Syndrome e diChroma Photography, “Vivian Maier. The Exhibition” è accompagnata da un catalogo realizzato da Moebius insieme alla Réunion des Musées Nationaux – Grand Palais e al Musée du Luxembourg di Parigi.







