ROMA – Soltanto nel 2015 ha movimentato 14 mila opere d’arte. Tutte quelle che secondo il Ministero per i Beni Culturali potevano lasciare le sedi espositive che abitualmente le ospitano per nobilitare con la loro presenza mostre, esposizioni ed eventi in Italia e all’estero. Il Servizio Mostre della Direzione Generale Belle Arti e Paesaggio, diretto da Marica Mercalli da un ufficio al secondo piano dello splendido complesso monumentale di San Michele a Ripa, è il deus ex machina di tutti coloro che in Italia organizzano eventi espositivi.
Vuoi che la Cleopatra di Michelangelo lasci momentaneamente Firenze e il bunker protetto che la custodisce a Casa Buonarroti per essere esposta a New York, a Milano o a Shanghai in una delle molte mostre che ogni anno celebrano il genio italiano in giro per il mondo? Oppure l’obiettivo è quello di portare la Madonna dei Palafrenieri, capolavoro assoluto di Caravaggio custodito alla Galleria Borghese a Roma, in una nuova esposizione che faccia il punto sul maestro lombardo e i suoi proseliti? Lo snodo attraverso il quale chiunque deve passare è sempre lo stesso: il Servizio II Tutela, Patrimonio Storico Artistico Demo-Etno-Antropologico e Architettonico del Mibact; in particolare il suo Servizio Mostre coordinato da Daniela Cecchini con la supervisione, appunto, della dirigente Marica Mercalli.
«Il settore più impegnativo – spiega quest’ultima, storica dell’arte esperta di Quattrocento e Cinquecento che, partita nell”84 da Castel Sant’Angelo, da marzo 2015 è approdata alla attuale dirigenza dopo un passaggio nel Veneto che l’ha vista Soprintendente per i beni storico artistici ed etnoantropologi per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso tra il 2012 e il 2014 – un settore che negli ultimi 25 anni è cresciuto in maniera esponenziale. Anche nel triennio 2013 – 2015 è stata registrata una crescita e il numero totale delle mostre è passato da 632 a 690 ». E per tutte le opere di proprietà pubblica o sotto la tutela del ministero che sono state esposte in queste mostre, è stata necessaria l’autorizzazione dell’ufficio competente. Si parla ogni anno di migliaia e migliaia di opere: solo nel 2015, appunto, sono state 14.488.
Ma come si valuta l’opportunità che un’opera “esca”, anche se solo momentaneamente, dal museo o dall’istituzione culturale che la custodisce, per essere esposta in una mostra temporanea? «I criteri di valutazione sono ancora quelli che furono sottoscritti nel 2008 (Ministro firmatario del decreto del 29 gennaio 2008 Francesco Rutelli) – spiega Mercalli – le regole auree per prestare le opere sonoche il loro spostamento e la loro esposizione in primo luogo non arrechino danno alla loro conservazione; che il prestito di un’opera contribuisca a un’esposizione importante; che arricchisca la conoscenza di un particolare oggetto e lo renda disponibile per un progetto educativo interessante. È opportuno prestarle anche per riunire temporaneamente parti di un oggetto che il tempo ha separato (è il caso di molte Pale d’altare costituite da più elementi che nei secoli si sono disperse in diverse sedi espositive e che vengono eccezionalmente accorpate di nuovo in vista di un evento espositivo), oppure per rendere accessibili anche opere che di rado o mai lasciano i depositi. Infine si valuta anche positivamente la possibilità che un’esposizione offra l’occasione di restaurare un oggetto e, chiaramente, anche di ripagare attraverso un prestito la generosità di altri musei».
Sono altrettanto chiare le linee guida che impongono un “no” a spostamenti, seppur temporanei, considerati non sufficientemente necessari. «Ovviamente la valutazione sulla non opportunità del prestito può basarsi sulla qualità della mostra stessa: ad esempio se è considerata troppo commerciale, oppure se il suo progetto scientifico non è chiaro. O ancora se viene valutata come insufficiente la necessità di portare in mostra proprio quell’opera o se l’opera richiesta in prestito costituisca un bene strettamente legato alle collezioni del museo prestatore: pensiamo alla Paolina della Galleria Borghese o a qualsiasi opera ‘simbolo’ di una collezione museale». Alcune parametri di divieto di spostamento riguardano invece proprio la natura stessa dell’oggetto richiesto: «La sua fragilità, ad esempio, o il fatto che in tempi recenti abbia viaggiato troppo e per la sua conservazione siano necessari ‘tempi’ di riposo. La sua non disponibilità perché nel frattempo già esposto in un’altra mostra, oppure le fatiche e i costi richiesti per un restauro che si considera necessario prima di essere spostato. Il valore che quell’opera rappresenta per la comunità, tale da renderla prestabile solo in condizioni eccezionali o al di fuori della stagione turistica». Infine entrano in gioco anche le caratteristiche della sede espositiva destinata ad accogliere l’opera. «Se il museo richiedente non è all’altezza degli standard richiesti di sicurezza, antincendio, controllo climatico, condizioni espositive, l’autorizzazione viene negata». Può sembrare assurdo ma potrebbe trattarsi anche di un “no” dovuto ai tempi: «accade quando la richiesta arriva troppo a ridosso per mettere in atto tutte le procedure di prestito in un modo responsabile. Non è poi così raro: secondo il Codice dei i Beni Culturali e del Paesaggio (articolo 48) le richieste dovrebbero arrivare minimo quattro mesi prima dell’inaugurazione della mostra. Ma non succede quasi mai. «A volte – racconta la dottoressa Mercalli – sono arrivate anche una settimana prima». E in questo caso chi è più ligio al dovere? Gli organizzatori italiani o quelli stranieri? «Diciamo che quelli stranieri sono più precisi con i tempi». Infine c’è un caso per cui è previsto il rifiuto del prestito ed è quanto mai attuale: quando la situazione politica è instabile, oppure ci sono minacce di terrorismo. «Rispetto a prima viene verificato con grandissima attenzione che le assicurazioni che coprono il prestito coprano anche i danni derivati da questo genere di rischi. Proprio alcuni giorni fa un’opera richiesta per una mostra a New York è stata bloccata fino a quando l’assicurazione non ha inserito una clausola riguardante proprio il terrorismo».
Ricapitolando, quindi, chi vuole organizzare una mostra che preveda l’esposizione di opere tutelate o di proprietà dello Stato italiano, come deve muoversi? «Ovviamente il primo passaggio si fa con il museo che conserva l’opera nelle sue collezioni. È proprio il direttore di quel museo, o di quella fondazione o istituzione, che può dare la prima valutazione. In caso positivo, se si tratta del direttore di un museo civico, di un museo diocesano, di una fondazione è lui stesso ad inviare al Soprintendente competente una lettera in cui si ufficializza la richiesta di prestito. Il Soprintendente a sua volta manda un funzionario che valuta lo stato di conservazione dell’opera e indica le condizioni necessarie per il trasporto. Le sue valutazioni sono espresse attraverso la redazione della scheda conservativa cui si accompagna il “facility report” della sede espositiva: cioè le valutazioni sul luogo espositivo che accoglierà l’opera in prestito, e delle Schede conservative, che indicano chiaramente e nei dettagli, lo stato in cui si trova l’opera».
A questo punto interviene direttamente il Mibact con il suo Servizio Mostre. «Una volta a settimana si riunisce il Gruppo tecnico che esprime un parere positivo o negativo sul prestito richiesto. Nel caso in cui ci siano emergenze particolari, l’esame dell’opera e dei documenti pervenuti è particolarmente accurato- spiega la Mercalli – a questo punto se ci sono tutte le condizioni positive, l’autorizzazione viene firmata, il prestito autorizzato e si può inviare la comunicazione all’Ufficio Esportazione e agli Uffici Doganali, quando si tratta di opere che devono andare all’estero».
Ma quali sono le opere che hanno bisogno di particolari valutazioni? «Ovviamente quelle considerate più fragili. E fra queste sicuramente le opere su carta, per le quali è necessario che riposino al buio un numero stabilito di mesi, o di anni a seconda dello stato di conservazione, prima di poter essere esposte di nuovo, i gessi, le sculture in terracotta, quelle di grandi dimensioni, i dipinti su tavola specie se di grande formato». Questo è, molto semplicemente, il motivo per cui non ci si può aspettare di veder girare troppo o troppo spesso, ad esempio, l’Autoritratto di Leonardo da Vinci che, infatti, ha lasciato la Biblioteca Reale di Torino dove è custodito in un bunker sotterraneo al buio e in particolari condizioni climatiche, solo in rarissime occasioni.
E la riforma del Mibact voluta da ministro Dario Franceschini, in qualche modo potrebbe trasformare le competenze che il Servizio Mostre ha avuto fino ad oggi? «Si certo, in parte sta già accadendo. Ad esempio i venti “supermusei”, gestiti autonomamente dai lori direttori hanno autonomia anche sui prestiti, anche se è prevista una prassi di consultazione anche con la nostra Diorezione che si deve sempre esprimere sulla tutela dei beni. L’autorizzazione finale, però, rimane una loro competenza». Un bene o un male, secondo lei? «Ancora presto per dirlo. Meglio aspettare di vedere cosa succederà nei prossimi mesi, quando l’autonomia dei musei sarà effettiva, e in che modo queste trasformazioni influiranno sul lavoro di tutti. Ovviamente già ora si può intravedere una maggiore facilità nei rapporti con i musei di tutto il mondo, soprattutto nel caso in cui, come agli Uffizi, la direzione sia stata assunta da un direttore non italiano che quindi potrà sfruttare al meglio conoscenze e rapporti internazionali che ha creato nelle sue esperienze precedenti. Nello stesso tempo, però, il meccanismo di funzionamento dei nostri musei è diverso rispetto a quello dei musei stranieri e i direttori che vengono dall’estero in questa fase si stanno orientando specie sui processi gestionali. Insomma, vedremo. Ora è troppo presto per giudicare».