Progetti presenti e futuri della Fondazione Roma raccontati dal suo Presidente, a ridosso dell’inaugurazione della mostra Picasso lo Straniero
Non ci interessano i grandi numeri, ma l’apprezzamento si, quello ci interessa molto». Franco Parasassi, dal 2018 Presidente della Fondazione Roma, ci saluta così, dopo due ore di intensa chiacchierata sul presente, passato e futuro di una delle istituzioni romane più profondamente legate alla vita della capitale. Un legame profondo, che intreccia economia e assistenza, e che si snoda per circa cinquecento anni, a partire dal 1539 con la nascita del Monte di Pietà incorporato nel 1937 dalla Cassa di Risparmio di Roma da cui la Fondazione nasce nei primi anni ’90 ereditandone le finalità di utilità sociale. Parasassi ci ha accolto nel suo ufficio nel cuore di Palazzo Sciarra Colonna, perla del Seicento romano ristrutturato nel ‘700 dall’architetto Vanvitelli, il giorno successivo all’inaugurazione della mostra Picasso lo straniero, in programma fino al 29 giugno a Palazzo Cipolla che, da ottobre 2024 si è trasformato, in abbinamento con Palazzo Sciarra Colonna, nel Museo del Corso – Polo museale. Un binomio, Palazzo Cipolla e Palazzo Sciarra Colonna, ambizioso nella sua volontà di offrire al panorama romano, sempre più frizzante di proposte culturali, un ulteriore valore aggiunto.

Cominciamo quindi proprio da qui, dall’irrompere del Nuovo Museo del Corso – Polo museale sulla scena romana e del suo rapporto con la città.
Il nostro – spiega Parasassi riferendosi a Palazzo Sciarra Colonna – è unPalazzo di gran pregio all’interno del quale è custodita una collezione di arte importante, che va dal ‘400 ai giorni nostri. In più, abbiamo un medagliere papale che non è secondo neanche a quello del Vaticano e i due archivi storici del Monte di Pietà e della Cassa Risparmio di Roma. All’interno del Palazzo sono custoditi degli ambienti favolosi, come la Biblioteca del Cardinale e il Gabinetto degli Specchi, che abbiamo preferito non climatizzare per non intaccare l’originalità delle due stanze. È stato quindi del tutto naturale che queste bellezze che appartengono a Roma fossero messe a disposizione gratuitamente dei visitatori.
Come vi siete preparati all’apertura?
Per saggiare quest’intenzione il 12 e il 13 ottobre abbiamo aperto il Palazzo per le Giornate d’Autunno del Fai. Sono entrate 4000 persone ed è stato il Palazzo più visitato e il terzo sito in assoluto. Abbiamo visto file immense di persone aspettare all’entrata. Forti di quest’esperienza ci siamo detti: perché non facciamo una politica di apertura di Palazzo Sciarra Colonna al pubblico? Praticamente le Giornate del Fai hanno fatto da test e dopo un mese circa abbiamo cominciato ad aprire la sede nel weekend: a dicembre avevamo già prenotazioni fino ad aprile. Aperture, come detto, gratuite. Inoltre, abbiamo aperto alle scuole riscontrando un grande interesse nei ragazzi.


Come si collega l’apertura di Palazzo Sciarra Colonna con le mostre temporanee che si tengono a Palazzo Cipolla – Museo del Corso?
La nostra idea vincente è proprio questa. Aprire un palazzo storico a Roma non è una novità. Molti palazzi lo fanno. Quindi avremmo fatto cosa molto importante, ma non originale. La nostra idea era di poter far vedere non solo il Palazzo con la sua esposizione permanente nella sua articolazione completa, collezione, medagliere, archivio e i due straordinari ambienti settecenteschi, ma di affiancargli un secondo sito con mostre temporanee. Così nasce il concetto di Polo. La novità sta nel fatto che ad un Palazzo con una collezione permanente abbiamo affiancato uno spazio espositivo con mostre temporanee per un’offerta più variegata.
A Palazzo Cipolla le mostre si organizzavano già prima della nascita del Polo museale; invece, Palazzo Sciarra Colonna non era ancora mai stato fruibile dai visitatori?
Esatto, non era aperto al pubblico e la collezione era visitabile solo su invito. Tra i vari complimenti che ci hanno fatto durante le giornate del Fai è che qui non ci sono barriere architettoniche, quindi, è realmente possibile l’accesso a tutti. Dove c’erano problemi abbiamo costruito delle rampe per permettere a tutti di entrare.
Garantire un accesso realmente possibile a tutti è un’evoluzione dell’offerta?
L’aspetto sociale di questa operazione è proprio questa: apriamo il Palazzo, con visite gratuite e senza barriere architettoniche, e le mostre temporanee non sono mostre commerciali, fatte per incassare. Sono sempre al servizio di un progetto sociale, non sono mai fine a sé stesse. Anche per Chagall (il riferimento è alla Crocifissione bianca di Marc Chagall, che è stata in mostra al Museo del Corso fino al 27 gennaio, ndr) era stata realizzata una riproduzione dell’opera con esperienze tattili per i non vedenti. Anche per la mostra di Picasso stiamo valutando alcune iniziative sociali.
Anche per il costo dei biglietti di ingresso avete una politica sociale?
Si. La socialità dei nostri interventi sta anche nella biglietteria. E’ giusto che le mostre siano a pagamento ma abbiamo una politica tariffaria contenuta. I nostri biglietti sono più bassi di altri musei privati, forse anche di quelli dei musei pubblici. Inoltre, vogliamo proporre anche altre iniziative sociali, per esempio conferenze gratuite oppure aprire gratuitamente il museo a persone fragili. Il Polo musale è strumento a servizio del sociale. Con offerta diversificata: statica e dinamica.
Le istituzioni come vi hanno aiutato?
Disponiamo di mezzi adeguati per le nostre produzioni, e le istituzioni sono state importanti poiché ci hanno assecondato e hanno apprezzato molto i risultati, perché si tratta un’offerta culturale in più per Roma.

Mibac o Comune?
Soprattutto Comune. Abbiamo un ottimo rapporto con Gualtieri anche al di là delle mostre. Per esempio, abbiamo contributo con un milione di euro al bando del Comune per un sostegno alle famiglie con un basso indice ISEE in modo che possano ridurre il carico dell’affitto per le abitazioni. E stiamo realizzando una pista ciclabile con un contributo pari ad 1,3 milioni. Iniziativa importante che collega arte emobilità. La banchina del Tevere è ciclabile ma solo in pochi punti è collegata direttamente con il Lungotevere. In uno di questi, ed esattamente all’altezza del Lungotevere degli Artigiani verrà realizzatauna pista ciclabile di ultima generazione che attraversando Ponte Testaccio consentirà di entrare dalla ciclabile del Tevere direttamente negli spazi espositivi dell’ex Mattatoio. Vorremmo che questa opera si trasformasse in un bene comune, così che gli abitanti possano considerarla propria e prendersene cura. Abbiamo già tutte le autorizzazioni, la Conferenza dei Servizi si è già espressa positivamente e contiamo di ultimare l’opera entro un anno, ma spero anche prima. E si tratta del primo esempio a Roma dell’applicazione del Codice dei contrattipubblici che consente la realizzazione di un’opera pubblica a spese del privato senza alcun corrispettivo diretto o indiretto per la Fondazione. Quindi la costruiremo noi e dopo la consegneremo al Comune. Si tratta di una iniziativa di mobilità sostenibile che può trasformarsi in un progetto di rigenerazione urbana finalizzato alla fruibilità di servizi socio-culturali.
Per la grande mostra su Picasso, appena inaugurata, e per quella su Dalì, che avete annunciato ad ottobre 2024, avete lavorato con istituzioni culturali estere. Come vi state orientando per i vostri rapporti internazionali? Priorità? Preferenze?
Noi ci proponiamo come operatori culturali a tutto tondo nella produzione di mostre. Il nostro obiettivo è realizzare mostre non solo nei nostri spazi, ma anche su richiesta in spazi altrui. Avendo esperienza e una struttura molto professionale ci proporremo come produttori di mostre per altri spazi espositivi non solo a Roma ma in tutta Italia. Abbiamo una tale esperienza nella produzione di mostre che credo sia possibile metterla sul mercato.
I periodi storici che vi interesserebbe di più portare in mostra?
La nostra chiave di lettura, parola d’ordine nell’ambito delle mostre, non riguarda un’epoca o artista particolare, ma osare e stupire. Perché nella realizzazione di una mostra si può osare e si deve stupire. Una mostra, nel suo contesto scientifico assolutamente alto, deve stupire. Deve lasciare le persone a bocca aperta come accade nella mostra di Picasso, dove si rimane stupiti dalla bellezza delle opere esposte, oltre che dalla narrazione delle vicende personali del pittore più importante del ‘900.
Osare e stupire vale anche per gli allestimenti, che si sono evoluti e differenziati moltissimo negli ultimi anni?
Assolutamente, anche con l’uso delle nuove tecnologie. Sono tre le chiavi di lettura delle nostre mostre: rigore scientifico, stupore e allestimento contestualizzato che deve essere quasi una mostra nella mostra. Deve arricchire l’opera anche didatticamente. Per Chagall, infatti, era così: un’opera da ammirare ma anche da capire. In un’altra sala avevamo riprodotto la stessa opera con dei pannelli numerati che raccontavano i dettagli dell’opera. Tutti si fermavano a leggere gli approfondimenti e poi tornavano a vedere il crocifisso.

Per Dalì cosa dobbiamo aspettarci?
Stupore. Un’altra mostra che stupirà per la bellezza.
Quando arriverà?
Il 14 ottobre
Chi sono i prestatori?
I prestatori principali sono la Fundació Gala-Salvador Dalì di Figueres, che è la fondazione ufficiale creata proprio dall’artista, nonché il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia di Madrid, mentre per il 2026 e 2027 stiamo studiando mostre molto importanti con altre istituzioni internazionali.
L’obiettivo più ambizioso?
Sono ormai in fondazione da quasi 30 anni, ed ho organizzato moltissime mostre. Ora il mio più grande obiettivo è quello di fare una mostra con un’opera unica, ma deve essere un’opera unica straordinaria. Un po’ come tanti anni fa fu fatto con La Dama dell’Ermellino. Mi piacerebbe anche mettere a confronto due autentici capolavori non presenti in Italia, ad esempio di Leonardo e di Michelangelo, ed organizzare attorno ad essi una narrazione storica e culturale. Questa operazione rappresenterebbe anche l’occasione per riportare in Italia capolavori di artisti italiani che attualmente sono all’estero, a beneficio soprattutto per chi non ha la possibilità di viaggiare.
Il suo rapporto con l’arte come è cambiato nel corso degli anni?
Lavoro in Fondazione dal ’97, direttore generale per 18 anni e ormai presidente sette. E ho avuto il privilegio di organizzare decine e decine di mostre, ed ho quindi avuto modo di apprezzare l’arte in tutte le sue configurazioni, rimanendo attrattosoprattutto da quella contemporanea, che per capirla bisogna conoscere anche bene la vita dell’artista mentre nell’arte rinascimentale non è necessariamente così.
I suoi preferiti?
Pollock. Ma le esperienze più ipnotiche le ho avute davanti agli Impressionisti. Al museo d’Orsay, al Puskin di Mosca e al Van Gogh Museum di Amsterdam. Quando si sta di fronte a certe opere, o quando si ascolta una sinfonia, non ci si chiede chi è l’artista, ma si rimane davvero folgorati e ogni confine nazionale o classe sociale viene meno. Di fronte alle opere d’arte le distanze vengono annullate, perché si gode della bellezza e si annulla tutto il resto.
Il grande sogno?
Il grande sogno c’è già stato: l’arrivo del Santo Padre a Palazzo Sciarra Colonna. Tanta è stata l’emozione che nei primi tre giorni successivi non ricordavo nulla. Poi, a poco a poco, sono riuscito ad elaborare. Il Santo Padre è rimasto una quarantina di minuti. Ha benedetto la cappella, lo abbiamo ricevuto nella mia stanza con i Consiglieri e poi nella Sala Assemblea con le famiglie, Papa Francesco ci ha fortemente coinvolto nelle sue riflessioni sul valore della cultura e della gratuità. Noi facciamo molto per la Chiesa, per i poveri e per molti enti che sono emanazione della Chiesa, come Caritas, Sant’Egidio e Circolo San Pietro. La nostra è un’istituzione fortemente radicata nella Roma dei Papi.
Avete un rapporto privilegiato?
Assolutamente, noi ci riconosciamo nella Chiesa. Sono tantissimi gli interventi che facciamo nel nome della Chiesa.
Alla fine della nostra chiacchierata Franco Parasassi ci accompagna a mostrarci quei gioielli di incomparabile bellezza che sono rappresentati dalla Biblioteca del Cardinale e dal Gabinetto degli Specchi, a cui si accede direttamente dal suo ufficio. Un tripudio di pitture su specchio che circonda il visitatore e lo sovrasta dal soffitto, così come lo volle il Vanvitelli. E poi, scendendo nei piani sottostanti, fra le opere della collezione nata da un nucleo originario proveniente dalle raccolte del Monte di Pietà e della Cassa di Risparmio di Roma e arricchita grazie ad una campagna di acquisti avviata a partire dagli anni 2000. Tra Pietro da Cortona, Caspar van Wittel, Giacomo Balla, Gerardo Dottori, Tano Festa, Mario Schifano, Franco Angeli e Lucio Fontana, l’ultima domanda. Questa è la sua casa?
La mia casa è poco fuori Roma dove mi aspettano mia moglie, le mie tre figlie e tre cani. La Fondazione è la casa dove si lavora per il bene degli altri; quindi, è un lavoro impegnativo a cui noi tutti, dai componenti degli organi al personale, ci applichiamo con convinzione. So che per farlo noi tutti trascuriamo i nostri affetti, ma so anche che lo facciamo perché il nostro lavoro è al servizio degli altri.