SANSEPOLCRO (AREZZO) – Sono su tutti i notiziari, quasi ogni giorno. Sono tante, sono diverse, eppure tutte si ricollegano a un unico, complesso fenomeno sociale. Sono le storie di donne importunate, percosse, abusate, seviziate, malmenate, talvolta – e sempre più spesso – morte ammazzate. Uccise dalla forza bruta di un partner in apparenza amorevole, da un conoscente pressoché insospettabile, da un ex marito irrimediabilmente convinto del tradimento inflitto dalla controparte. Sono oramai centinaia le tragedie consumate, i casi di donne assassinate in quanto donne, per la loro rinnovata emancipazione o per la tanto agognata conquista di un briciolo d’autodeterminazione.
PRIVATA s’inserisce proprio in questo contesto e dispiega il tema della violenza a danno della donna, declinandolo in una miriade di sfaccettature differenti a seconda del sentire del singolo artista e della specificità del suo linguaggio visivo.
Nonostante vada delineando un orizzonte di senso sviluppato a più mani, la mostra non vuole contestare l’operato delle autorità né tantomeno polemizzare contro ciò che è stato fatto o ciò che si sarebbe potuto fare. L’intento è un altro, di gran lunga più nobile e corale: chiama a raccolta tutti, grandi e piccini, e lo fa con un tatto e una delicatezza senza eguali. Perché PRIVATA evoca, indaga, sviscera e scava nella sfera più intima dell’individuo, toccando corde emozionali dinanzi a cui l’indifferenza non è contemplata.
Nata dall’accorta intuizione dell’artista Federica Amichetti, la mostra è tutto fuorché un mero trionfo d’estetica. Difatti, servendosi di strumenti ad hoc, PRIVATA si propone sin da subito come un progetto multidimensionale, in cui l’arte riscopre la propria funzione sociale, si fa politica, trasmigra nell’etica e diviene pratica didattica. Una pedagogia d’intenzioni, in cui le opere si trasformano in epifanie capaci di rilanciare all’osservatore la palla della riflessione circa le ragioni antropologiche di una fra le emergenze sociali più gravi di sempre.
Nulla di più originale per un’équipe artistica riunitasi per l’occasione sotto l’ombrello di un obiettivo comune: risvegliare le coscienze attraverso video, fotografie, installazioni e video-performance in grado di riportare al centro del discorso la donna nella sua totalità. Non più come oggetto passivo da ritrarre, ma come essere umano da rispettare, vittima di una gerarchia relazionale che – all’alba del III millennio – pare sempre più insostenibile. Sempre più inaccettabile.
Un compito estremamente arduo, beninteso, specialmente in una società notoriamente dominata da anacronistici patriarcalismi e dal falso mito del “sesso debole”. Ed è proprio in questo habitat ostile che PRIVATA suggerisce la propria progettualità: dalle cartoline di Federica Amichetti, intrappolate in una ragnatela rosso sangue, all’abito di stigmate verbali, ingiuriose e dissacranti, di Attinia; dalla poetica visionaria di Alessandra Baldoni al racconto famigliare di Mandra Cerrone; dalle drammatiche suggestioni sul filo dell’allusivo di Angelo Colangelo alla “gabbia di lana” nel video firmato da Annaclara Di Biase; dalle ferite ricamate di Ilaria Margutti al processo di spoliazione identitaria nell’installazione di Giancarlo Marcali; dalla provocatoria conta ordita da Rita Soccio al lugubre “m’ama non m’ama” di Nikla Cingolani con la partecipazione della giornalista Tamara Ferrari.
Una sfida intergenerazionale, senz’ombra di dubbio, che mira a sensibilizzare la comunità a ogni livello, organizzando in tal senso anche incontri dedicati con cittadini, studenti, genitori e insegnanti.
Ma come sfidare un male tanto radicato quanto capillare? PRIVATA ce lo spiega e, nel farlo, imprime un segno profondo, che non lesina sulla brutalità della morte né sull’insensibilità dei più.
Il fine? La decostruzione di un paradigma comportamentale malato e la contestuale costruzione di un immaginario collettivo votato alla non violenza, alla comprensione reciproca, a una dimensione dialogica universale, a una socializzazione che non faccia più distinguo. Detto altrimenti, volto a un’effettiva condizione di pari opportunità. Un proposito tale da rendere iniziative come PRIVATA una conditio sine qua non affinché si riaccenda il dibattito su quella piaga morale che è la violenza di genere.
PRIVATA ce lo ricorda e si ribella al comune sentire, a partire dal suo stesso nome. Infatti, non è più – ammesso che lo sia mai stata – una mera questione riservata, da risolversi vis-à-vis. A dover essere coinvolta è l’intera società, oggi più che mai.
Pertanto, traslando il tema da una dimensione eminentemente personale a una più spiccatamente pubblica, PRIVATA compie un salto nel vuoto, seppur in modo radicalmente opposto a quello utilizzato dai tradizionali mezzi di informazione. Lontana da asettiche statistiche cifrate e dall’invadente morbosità dei talk show noir, l’arte pare giungere in soccorso di chi, assuefatto dal bombardamento mediatico, stenta a distinguere fra “caso isolato” e “emergenza culturale”.
Le installazioni, d’altro canto, infondono una sconcertante consapevolezza: non dialogano con mezze misure né lasciano spazio a fraintendimenti. Tacitano il giusto e manifestano palesemente una realtà crudele, che non conosce frontiere. Proprio per questo, le opere regalano un impatto emotivo dirompente, in cui la parola non ha bisogno di esplicitazione. Il messaggio, infatti, si racchiude fra le pieghe di una mano, fra i segni del tempo sui volti incavati, fra ciocche di capelli perfettamente lavorati e intrecciati.
L’arte, dunque, si fa materica e tattile, donando allo spettatore un’esperienza quasi catartica, terapeutica e liberatoria al contempo, che trascende i confini della sterile retorica sfoggiata stucchevolmente ad ogni tragico epilogo di cronaca.
Forte dell’indubbia qualità di riflessione suscitata, PRIVATA dimostra come al giorno d’oggi i tempi siano maturi per una presa di coscienza a 360°.
In quanto mostra concettualmente inclusiva, oltreché progetto collettivo prima ancora che artistico, PRIVATA è quell’evento tanto atteso in grado di far vacillare l’“umano” disinteresse verso il prossimo. Questo grazie alla curatela di Antonio Zimarino e al potente messaggio di cui si fa portavoce: occorre apprendere il rispetto per l’alterità, per poter elaborare una risposta compiuta alla problematica in atto.
A conti fatti, è una questione di cultura, di educazione, di tolleranza, di apertura: in breve, di civiltà. E ci riguarda tutti, indistintamente.
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Vademecum
PRIVATA prorogata fino al 28 marzo
A cura di Antonio Zimarino
Col sostegno e la collaborazione dell’Associazione Donne e Giustizia onlus di Ancona, del Comitato Marche “Se non ora quando” e del Comune di Sansepolcro
Museo Civico di Sansepolcro
Via Niccolò Aggiunti 65, Sansepolcro (Arezzo)
Orari: dal lunedì alla domenica 10-13 /14.30-18
Ingresso libero
Informazioni Museo: museocivico@comune.sansepolcro.ar.it / tel.– Fax: +39 0575 732218
Informazioni PRIVATA: progettoprivata@gmail.com / tel.: 339.2715635
Libro-catalogo: PRIVATA, AA.VV., Edizioni Comunication Project (2014)