BOLOGNA – Ha preso il via, presso la Biblioteca Universitaria di Bologna, in collaborazione con il Museo di Palazzo Poggi del Sistema Museale di Ateneo, una campagna di analisi sul Codice Cospi, uno dei pochissimi manoscritti divinatori nahua (cioè “azteco”) esistenti al mondo. Sono infatti una dozzina in tutto quelli scampatialle ingiurie del tempo e alla furia distruttrice di conquistatori ed evangelizzatori.
La campagna di indagini non invasiva cercherà di ricostruire la composizione dei vividi colori con cui l’antico testo venne dipinto, tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo.
Spiega Davide Domenici, professore dell’Università di Bologna che coordina l’iniziativa: “Verranno impiegate avanzate tecniche di imaging iperspettrale e fluorescenza per mappare la distribuzione dei materiali utilizzati, sia organici che inorganici, in tutte le pagine del codice. Questo ci permetterà di indagare con un dettaglio fino ad oggi impensabile le pratiche tecnologiche e pittoriche sviluppate dagli artisti precolombiani”.
La nuova campagna di analisi avviene attraverso la piattaforma Molab di E-RIHS.it, il nodo italiano dell’infrastruttura di ricerca europea sull’Heritage Science.
Le analisi sul Codice Cospi saranno realizzate utilizzando un Macro-XRF scanner: uno strumento che attraverso i raggi X permette di investigare la composizione elementare dell’oggetto di indagine. A partire dalla distribuzione degli elementi chimici sarà quindi possibile individuare i pigmenti che li contengono.
Il manoscritto sarà inoltre sottoposto alla camera iperspettrale nel visibile: un metodo di analisi che permette di capire come la luce visibile viene assorbita, riflessa ed emessa. Poiché queste proprietà possono essere specifiche per alcuni composti, attraverso la camera iperspettrale è possibile mapparne la distribuzione. Nel caso specifico, sarà ad esempio possibile mappare l’impiego di coloranti organici come l’indaco, che veniva impiegato, insieme a specifiche argille, nella produzione del celebre Blu Maya.
Queste indagini sono rese possibili grazie a un finanziamento della Fondazione Carisbo (bando Arte e Cultura) concesso al Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna.