NAPOLI – Il restauro dell’Ercole Farnese, capolavoro simbolo del Mann, il Museo archeologico nazionale di Napoli, sta facendo emergere nuoveevidenze cromatiche, grazie ad analisi approfondite (macroscopia, Vil, Uv e prelievi), in particolare sugli occhi e sulla pelle della scultura, tenendo in dovuto conto delle operazioni di reintegro, che hanno compensato le parti di colore che si erano perdute, e quelle di ricostruzione in quelle che si credevano aree cromatiche.
Di non semplice interpretazione è la questione della pelle: sebbene vi siano ampie evidenze che l’Ercole ancora conservi le tracce della policromia originale, in special modo sulle braccia e sul petto, al momento è tuttavia prematuro pensare di fornire un’esatta colorazione dell’epidermide.
Le prime analisi – spiega una nota – “evidenziano la presenza di ematite su tutti i campioni raccolti, sia sul petto che sulle braccia: le prime ipotesi portano a pensare che questo pigmento non fosse quello definitivo, ma probabilmente venisse usato come fondo per accogliere un’ulteriore tonalità, che potesse dare così la cromia desiderata, tendente ad un colore bruno chiaro”.
“In attesa delle indagini che diano un riscontro definitivo, si confermano anche gli studi sulla criniera del leone” – sottolinea Andrea Rossi, che ha condotto le indagini sull’Ercole Farnese. – “Qui il pigmento è a base di ematite, ocra rossa o gialla, da confermare con successive analisi chimiche; tali colori si ritrovano ampiamente anche sulla base di roccia dove l’eroe si appoggia”.
Nella scultura la cromia doveva trovare un’armonica distribuzione: “La barba si presentava di un colore bruno-rossiccio: nelle parti originali sono stati individuati residui di pigmento con le stesse caratteristiche di quelli individuati sulla Leontè e sulla roccia” – commenta Cristiana Barandoni, responsabile scientifico di Mann in Colours.