ROMA – Una mostra per un artista è sempre un evento importante e delicato. Esporre il proprio lavoro, del resto, è comunque esporre un po’ sé stessi, o quanto meno ciò che si è stati fino a quel momento. È uno svelarsi agli altri e questo, in un certo senso, rende fragili perché appunto esposti, ma anche forti, poiché si fa presente al mondo la propria volontà di affermare, attraverso le opere, il proprio esistere, la percezione che si ha del mondo e l’approccio con le cose esterne.
Ieri, presso la sede della Società Geografica Italiana, immersa nel meraviglioso parco di Villa Celimontana a Roma, è stata inaugurata “Colore”, mia personale di pittura. Oggi racconto ai lettori di ArteMagazine, l’evento e sulla genesi delle opere protagoniste.
“Colore” è un progetto sensibile all’insieme dei miei studi e interessi, nato per questo dalla sinergia tra geografia paesaggistica e pittura.
Ogni tela di “Colore” ha su di sé i segni del mio rapporto con il paesaggio, relazione sia privata che sociale, dal momento che lo stesso paesaggio è una costruzione culturale, così come lo è in parte la percezione che se ne ha.
Quest’ultima, infine, è fortemente legata al colore quale elemento disvelatore del paesaggio stesso.
Entrare con questi lavori nella Biblioteca della Società Geografica, esporre e inaugurare qui, è qualcosa che sento particolarmente coerente con l’intero progetto e con il percorso che ne è a monte. Percorso che è stato compreso dal curatore della mostra Francesco Gallo Mazzeo e dall’Associazione Culturale MetaMorfosi, che ha patrocinato l’evento.
La mostra, parte del progetto così elaborato, è stata quindi accolta dalla Società Geografica.
L’inaugurazione è stata occasione, per diversi partecipanti, di conoscere per la prima volta la realtà della Società Geografica e dell’immenso sapere di cui è custode la Biblioteca, lo stesso che, insieme a quello artistico, ha dato vita ai lavori esposti.
Opere dove, il Presidente di MetaMorfosi, Pietro Folena, discorrendo durante il vernissage, ha affermato di cogliere la peculiarità del concetto di mappa, unita a una dimensione quasi sacra relativa alle tele, evocative di antichi stendardi.
Ogni tela in effetti è stata pensata come testimonianza di un momento in divenire. Le opere sono intese come supporti di segni, tracce di un passaggio, di un esserci che si muove verso il gesto successivo, portando con sé l’entità di ciò che è appena stato. Così, passo dopo passo, si compone un disegno identitario mai uguale, mutevole ma fedele al proprio essere. Figurazione di identità che è sempre collettiva e che, come tale, porta con sé la complessità del cammino umano, fatto di sogni, speranze e sapere, tanto forte e tanto importante da poter essere esso stesso sacro.
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