ROMA – Una preziosa selezione di oltre 660 marmi policromi di età imperiale provenienti dalla collezione capitolina e dalla Fondazione Dino ed Ernesta Santarelli è ospitata, dal 12 aprile 2022, in due sale di Palazzo Clementino ai Musei Capitolini, accanto al Medagliere, nella mostra I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini, a cura di Vittoria Bonifati.
L’esposizione intende raccontare la stretta connessione tra la presenza di materiali non-autoctoni alla città di Roma e l’espansione politica, economica e geografica dell’antico Impero Romano, tracciando territori e reti geografiche attraverso la storia e la memoria.
“A Roma – spiega la curatrice – ancora non c’è un museo dedicato al marmo e la visione del passato tiene conto prevalentemente della tipologia ‘bianca’ di questo materiale. La mostra I Colori Dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini cerca di porre l’attenzione su un tema fondamentale per la storia di Roma. L’esposizione ha una durata straordinaria di dieci anni, rendendo questo progetto più simile a un riallestimento museale che a una mostra temporanea vera e propria. Per questo motivo si è pensato a un allestimento che potesse durare nel tempo e interpretare nello spazio il messaggio curatoriale della mostra“.
L’allestimento si sviluppa in due sale. Nella prima sono esposti 82 frammenti policromi provenienti dalla Fondazione Santarelli; l’altra ospita due coppie di campionari, una del primo ’800 con 422 pezzi, sempre della Fondazione, l’altra pertinente alla collezione Capitolina, iniziata nella seconda metà dell’800 dalla famiglia Gui e costituita da 288 formelle. Nella stessa sala è presente anche una testa di Dioniso montata su busto non pertinente femminile (composta da otto tipologie marmoree diverse e una selezione di strumenti per la lavorazione del marmo provenienti dalla bottega Fiorentini).
In loop viene proiettato un documentario, a cura di Adriano Aymonino e Silvia Davoli, che ripercorre la storia di queste materie giunte a Roma in relazione alla politica di espansione dell’impero.L’uso dei marmi colorati nei diversi periodi della storia
L’uso di alcuni marmi colorati risale al Neolitico o alla tarda età del bronzo, come il duro serpentino verde. In Egitto i faraoni sfruttarono qualità diverse e l’ultima loro dinastia, i Tolomei (305 – 30 a.C.), ampliò il repertorio con porfidi e alabastri, che saranno in seguito apprezzati a Roma, dove però a lungo prevalse il rifiuto del lusso, preferendo idee e materie tratte dalla tradizione. L’introduzione di alcuni marmi colorati risale al periodo repubblicano, mentre la loro diffusione è da collegarsi all’imperatore Augusto, mentre il maggior assortimento di marmi colorati risale ai Flavi (69-96 d.C). Molte cave divennero imperiali con gli Antonini, che accrebbero quelle extra italiche. Le tinte erano ravvivate da levigature, grassi o cere e dovevano correlarsi a dipinti e decorazioni, andati quasi tutti perduti.
È possibile che Augusto e i successori abbiano voluto finanziare attività come estrazione e lavorazione dei marmi, volendo coinvolgere economicamente i popoli conquistati. I costi furono comparabili a quelli di campagne militari e devono aver avuto motivazioni adeguate, anche se non del tutto chiare, ma riconducibili a un desiderio di lusso.
La progressiva dissoluzione militare, politica, amministrativa ed economica occidentale, che corrisponde all’Alto Medioevo, vide chiudere la maggioranza delle cave e successivamente la forte tendenza al riuso di materiali antichi.
Nel Rinascimento si nota invece un dato contraddittorio e trascurato: le vive tinte di Roma furono sbiadite o reinventate. Un cambiamento si deve alla maturità di Raffaello, nelle Stanze vaticane, a partire da quella dell’Incendio (1514-1517), dove sono congruamente dipinte diverse pietre colorate. A metà Cinquecento a Firenze si sviluppò la tarsìa marmorea (dal 1588 con l’Opificio delle Pietre Dure), che sembra riflettersi nello stile del Bronzino.
I vivi colori di Roma innescarono presto un luogo comune: sarebbero stati eccessivi, corrompendo la misurata semplicità greca. È un’idea che riemerge nella storia dell’arte, nei giudizi su Manierismo e Barocco quali degenerazioni dell’equilibrio rinascimentale. Nel primo Rinascimento, quei colori dovevano vedersi meglio di ora, specialmente nei marmi, che non avevano subito secoli di spoglio, né l’azione dell’inquinamento. Eppure tante immagini della città li mostrano sbiaditi, fino al Neoclassicismo e ancora oltre. Può darsi che quel “filtro” servisse a rendere credibili le immagini riferite al passato, poiché qualcosa di simile si vede nel flashback cinematografico, spesso in bianco e nero o con colori alterati. Tali modifiche possono aver aiutato ad usare l’immagine artistica come macchina del tempo.
L’allestimento de I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini è promosso da Roma Culture, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e dalla Fondazione Santarelli. Curatore scientifico Andrea G. De Marchi. Progetto di allestimento Cookies (Alice Grégoire, Clément Périssé, Federico Martelli). Servizi museali di Zètema Progetto Cultura. Catalogo edito da Treccani.
Vademecum
I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini
Musei Capitolini – Palazzo Clementino
Piazza del Campidoglio, 1
Orari tutti i giorni 9.30 – 19.30 (la biglietteria chiude un’ora prima).
Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00)