ROMA – Interno 14, spazio dell’Associazione Italiana Architetti e Critica, ospita a Roma, fino al 30 maggio 2016, “La mostra di disegni di Saleh Kazemi”, artista iraniano, classe ’92, che sta terminando i suoi studi presso l’Accademia di Belle Arti di Roma.
Parlando con Kazemi, ho avuto modo di conoscere alcune delle storie che hanno dato vita a queste opere, momenti che lui ha voluto condividere in quest’intervista, raccontandosi con ironia.
Nei tuoi lavori affronti il concetto di “attesa”. Puoi spiegare come nascono questi disegni?
Ho iniziato questo tipo di lavoro circa tre anni fa, quando avevo un impiego in Germania e viaggiavo molto, spostandomi spesso in Svizzera e Austria, inoltre studiavo a Roma ed essendo di Teheran, a volte, tornavo in Iran. All’inizio passavo il tempo leggendo, ma finiti i miei libri in persiano, ho deciso di iniziare a disegnare questi momenti di attesa. […] Una serie di disegni è stata realizzata durante le attese del treno alla stazione Roma Valle Aurelia. Per due mesi ho vissuto in quella zona, viaggiando ogni giorno per raggiungere l’Accademia di Belle Arti.
Tutti i disegni quindi sono realizzati sul posto?
Si e sul retro di ogni disegno è riportata la data in cui è stato fatto e una didascalia.
Che tecnica hai usato?
Sono lavori a china, realizzati su dei quaderni che porto sempre con me, in modo da poter disegnare appena ne ho l’occasione. Questi ad esempio sono altri schizzi realizzati durante le esercitazioni alla Libera Scuola del Nudo.
Ora stai terminando i tuoi studi presso l’Accademia di Belle Arti, qui a Roma, ma come sei arrivato alla grafica?
Si, adesso sto frequentando il Corso di Laurea Magistrale in Grafica e ho frequentato qui anche il triennio. In Iran invece ho studiato matematica. ((ride)).
È stato un passaggio un po’ drastico?
Si, ma in realtà ricordo di aver sempre disegnato, fin da piccolo. Ho lavorato per diverso tempo con la fotografia. Cinque anni fa la mia prima professione è stata quella di fotografo documentarista e cercavo sempre di catturare e memorizzare momenti particolari.
E questo è un aspetto che hai “portato” nei tuoi lavori di grafica?
Si, nel tempo ho cercato di trovare un linguaggio più personale, più particolare e divertente, così sono passato al disegno, a tutte queste situazioni. […] Questi ad esempio sono luoghi per me importanti, che fanno parte della storia della mia vita. In questo disegno [fa riferimento alla riproduzione di una porzione di camera, dove spicca una valigia] ho voluto riprendere una stanza che affittai a Roma, dopo un periodo di assenza dalla città, e questa è la prima sera lì. Qui mi trovavo in Germania [riferendosi ad un’altra opera] lavoravo per una fabbrica di carta. Era inverno e dovevo fare delle foto documentaristiche, ma potevo lavorare solo di mattina presto per via della luce, così decisi dormire nell’ufficio e questo è un particolare di quel luogo, ho fatto questo disegno verso le due del mattino.
Si tratta di una documentazione della tua vita?
Si, sono disegni documentaristici. ((ride)).
C’è un qualcosa di poetico che ti lega alla carta e alla china, materiali del tuo lavoro?
La carta per me è il quaderno, che posso sempre portare con me, questo è un elemento importante. […] La punta per la china deve essere molto fine perché mi aiuta nei dettagli, sicuramente prende più tempo e capita che in alcuni momenti sia costretto a lasciare il disegno incompiuto […] Come in questo caso [si riferisce ad un paesaggio non finito] dopo tante volte che passavo in treno davanti a questo villaggio, un giorno ho deciso di scendere e disegnare, dopo diverso tempo che disegnavo, iniziò a piovere e fui costretto a smettere. ((ride)).
Cosa c’è della tua cultura d’origine nei lavori che fai?
Forse il fatto che i disegni riempiano pian piano la superficie fino a diventare textures, potrebbe avere un collegamento, anche se non voluto, con l’arte persiana dei tappeti, ma è qualcosa d’inconscio a cui non ho mai pensato razionalmente, però all’interno del mio lavoro c’è un collegamento molto forte con la fotografia che facevo prima, anche in quel caso le foto erano piene di cose e, usando l’analogico, ho sempre lavorato molto sul contrasto, realizzando immagini in bianco e nero.
L’uso del bianco e nero è quindi parte essenziale del tuo linguaggio?
Si, è un elemento davvero importante.
Ci sono altri lavori, qui in mostra, ai quali tieni particolarmente?
I disegni dedicati alle caffetterie, anche questi sono collegati al concetto di attesa. […] Le caffetterie sono luoghi molto importanti per me, ci vado per appuntamenti di lavoro, per stare con gli amici o anche solo per passare il tempo. Lì posso sempre conoscere qualcuno, c’è una bella atmosfera e si può incontrare gente interessante. Sono luoghi davvero stimolanti. […] C’è ancora un’altra serie di lavori esposti qui, che hanno uno stile diverso dagli altri, ma sono sempre legati al concetto di attesa e alla voglia di documentare il momento [si riferisce a una serie di disegni realizzati a Berlino, durante delle esercitazioni con la modella in posa]. Disegnavamo seduti su una scala, davanti a un muro bianco, lì c’era la modella, che doveva cambiare posa ogni due minuti. Ho deciso di iniziare da un punto e ogni volta che la modella cambiava posizione, continuavo a disegnare da un altro punto, senza mai smettere e senza pensare a nulla. Disegnavo per passare il tempo e basta.
Il risultato sembra essere un’intersezione continua di particolari di un corpo in movimento, si potrebbe dire così?
Si, in realtà non pensavo potesse venire fuori qualcosa d’interessante, lì per lì era solo un gioco, poi rivendendo i disegni, mi sono reso conto di queste forme.
C’è un messaggio particolare che vuoi trasmettere con il tuo lavoro?
No, più che un messaggio in senso concettuale, posso dire che, per me, la cosa importante è salvare il momento, i particolari che ho potuto cogliere dal mio punto di vista.
Intendi documentare il momento per poterlo rivivere?
Poterlo rivivere e far sentire ad altri questi momenti, come per esempio l’opera “Tetti di Roma”, che riprende l’atmosfera dei tetti di Trastevere con le antenne e tutti i particolari. Chiunque abbia avuto modo di vedere quel quartiere, credo possa riconoscerlo e riviverlo davanti al disegno.
Il tempo dell’intervista è terminato, Saleh Kazemi torna a sorridere agli altri ospiti della galleria, curiosi e forse ignari del viaggio che stanno per intraprendere, in un mondo in cui carta e inchiostro diventano un unico elemento , un universo di dettagli, dove le attese attendono di essere vissute, il mondo di Kazemi, che documenta il nostro mondo, rendendoci parte del suo.
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