ROMA – Apre al pubblico, dall’11 dicembre 2019, presso gli spazi berniniani del Braccio di Carlo Magno, la mostra “I segni del sacro – le impronte del reale. La Grafica del Novecento nella Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani”. Un’esposizione che intende condurre il visitatore in un viaggio alla scoperta della sorprendente bellezza di un “tesoro nascosto” e poco conosciuto, anche in ragione della sua fragilità e delicatezza.
Il percorso espositivo, a cura di Francesca Boschetti, specialista per la grafica della Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani, presenta un corpus di circa 150 opere grafiche, talvolta affiancate a dipinti e sculture, scelte tra le oltre 4000 mila che compongono l’intera raccolta di stampe, incisioni, disegni, dei secoli XIX e XX, delle Collezioni papali.
Come evidenziato da Barbara Jatta, Direttore dei Musei Vaticani: “Un tipo di espressione artistica del genere non poteva mancare nelle collezioni papali perché è costituita proprio da quei ‘segni del sacro’ che sono stati generati dalla sensibilità spirituale di tanti artisti nel corso del XX secolo. La grafica è un’arte intima, meno scenografica e dirompente rispetto alla pittura e alla scultura ma che arriva in modo più diretto al cuore delle persone, alla loro anima”.
A raccontare la mostra ad ArteMagazine è la sua curatrice.
“I segni del sacro – le impronte del reale”. Un titolo interessante che sembra apparentemente contenere dei termini antitetici, quasi in opposizione tra loro, come “sacro” e “reale”. Dottoressa Boschetti, partendo proprio da questo, può spiegare come nasce il progetto e raccontare il disegno curatoriale dell’esposizione?
Il titolo ha dentro un po’ tutti gli elementi fondamentali della mostra. Si tratta innanzi tutto di un’esposizione che presenta una ricca selezione di opere di grafica, un nucleo quasi del tutto inedito della Collezione di Arte Contemporanea dei Musei Vaticani. Una collezione, questa, giovane, anomala, senza una coesione interna, perché di fatto “senza un collezionista” che abbia raccolto le opere secondo un progetto e un preciso criterio. Dunque una collezione realizzata nel tempo in maniera del tutto naturale e spontanea, come conseguenza del desiderio di Paolo VI di riannodare quel legame tra il mondo dell’arte e la Chiesa, un valore storicamente fondante, che però col tempo si era interrotto. Artisti, eredi, enti e mecenati donarono un primo cospicuo nucleo di opere, circa 900, di cui 160 di grafica e disegni, tra cui capolavori di Munch, Klee, Morandi, solo per citarne alcuni. Alle prime donazioni ne seguirono altre, tra cartelle e singole grafiche, spesso anche con dediche personali a Papa Montini. Il Pontefice decise a sua volta di donarle ai Musei Vaticani, andando così ad arricchire e ampliare ulteriormente la Collezione.
Nell’immaginare questa mostra, dunque, a fronte di tutto questo materiale così eterogeneo, abbiamo pensato di realizzare una selezione tematica. Per cui il “sacro” e il “reale” rappresentano due macro aree, due sezioni intorno a cui si articola la prima e la seconda parte della mostra. Il sacro è una sezione estremamente ricca, grazie alle opere di moltissimi artisti che, in ragione del luogo di destinazione, hanno scelto tematiche religiose. Questa sezione, a sua volta articolata in sottosezioni, riunisce soggetti ispirati alle Sacre Scritture, con interpretazioni tratte dai passi della Genesi della Bibbia ed episodi salienti della vita di Cristo. Un’ampia selezione di opere è dedicata anche ai soggetti sacri, dominanti anche nei periodi dei due grandi conflitti mondiali, attraverso i quali moltissimi artisti hanno scelto di raccontare alcune atrocità della Storia. Il termine “reale” potrebbe quindi sembrare antitetico a “sacro” ma non lo è. Infatti anche nelle “impronte del reale”, che sono nature morte, paesaggi, alberi trattati come fossero personaggi o semplici ritratti di persone, scene di lavoro, c’è un senso di stupore e di trascendenza che spesso accomuna le due visioni. Le altre parole chiave presenti nel titolo sono “segno” e “impronta”. Parole chiave anche per la grafica. Suggeriscono infatti la prima “traccia” che l’artista intaglia sulla matrice, dalla quale poi, attraverso l’atto dell’imprimere, verrà realizzata la stampa da cui nasce l’opera grafica.
Una mostra impegnativa dunque, sia per come è strutturata, sia perché incentrata sulla grafica, un ambito che spesso assume un ruolo di secondo piano rispetto ad altri linguaggi espressivi, quasi fosse un settore “ostico”, di nicchia e riservato a studiosi e specialisti…
La grafica, per una serie di motivazioni, è spesso considerata un settore più tecnico, un ambito, appunto, per specialisti, di cui sfuggono invece molti aspetti importanti. Ciò che vorremmo che passasse attraverso questa mostra è che la grafica – in particolar modo nel Novecento – rappresenta un campo di grandissima sperimentazione tecnica, compositiva e stilistica, di rivisitazione di iconografie tradizionali. Molti artisti del Novecento, che non sono grafici nel senso stretto del termine, raccontano nei loro scritti di aver trovato in questa pratica molti stimoli per riuscire ad oltrepassare dei limiti. La grafica è inoltre qualcosa in cui la materia diventa “viva”. Si tratta di un’attività lenta e lunga, di un sapere artigianale che necessita di un rapporto con la materia, di gesti che l’artista deve ripetere tantissime volte per acquisirne la totale padronanza. Proprio questo rapporto con la materia e questa lentezza sono aspetti che possono essere percepiti anche dal pubblico, che se curioso di scoprire ciò che sta osservando, riesce ad individuare delle chiavi di accesso e comprenderne il senso. La grafica in fondo è presente anche nei libri, in particolare quelli di pregio sono spesso illustrati con litografie, acqueforti, acquetinte. Moltissimi artisti creano apposite cartelle grafiche proprio da poter distribuire al grande pubblico.
La grafica insomma può facilitare la lettura di un’opera finita, è un po’ come il “dietro le quinte” di una creazione?
In realtà è spesso un ponte di avvicinamento tra le persone e le opere. Non a caso in mostra abbiamo volutamente inserito a confronto con opere grafiche, in particolare nelle ultime due sezioni della mostra, dei dipinti, delle sculture, che rendono esplicita questa “osmosi” tra i vari linguaggi. Nella linea tematica dedicata alla “Genesi di un’idea” vengono proposti diversi accostamenti tra grafiche e sculture. Per fare un esempio concreto: di Pericle Fazzini, autore della grande scultura della Resurrezione che si trova nell’aula Paolo VI, è in mostra un bellissimo bozzetto in bronzo, ma anche un primo disegno che documenta la genesi dell’idea, che condurrà poi all’opera finita. È presente anche un passe-partout che mostra come sarebbe stata l’architettura. Sul medesimo tema ci sono delle acqueforti, delle litografie e delle cartelle, realizzate qualche anno dopo, da distribuire al grande pubblico, che svelano le tappe dell’evoluzione dell’opera. In esposizione è presente anche un bellissimo disegno di Umberto Boccioni che ritrae il profilo di un persona cara, e una puntasecca, sempre degli stessi anni, in cui l’artista rifà più volte gli stessi volti. Questo dimostra come si posssaragionare in modi diversi su uno stesso soggetto. Si tratta di vari livelli di elaborazione del medesimo pensiero artistico.
Non sempre quindi la grafica è solo a monte della realizzazione di un’opera, può rappresentare anche una fase di studio successiva?
Assolutamente. Può essere cose diverse a seconda dell’artista. Nel caso di Hans Hartung, ad esempio – che è in mostra con un dipinto degli anni Sessanta – la grafica rappresenta un vero e proprio laboratorio. Hartung scrive, infatti, che la grafica è stata per lui un “luogo” nel quale è riuscito a sentirsi maggiormente a proprio agio con i materiali e con gli strumenti. Una pratica che gli ha offerto infinite possibilità compositive e immaginative, che gli hanno consentito poi di realizzare in pittura cose che, senza quel tipo di percorso grafico, non avrebbe mai potuto fare.
Considerata la vastità e la disomogeneità della Collezione è stato difficile scegliere le opere e gli artisti da proporre in mostra?
Difficile sicuramente, perché ogni scelta ha comportato inevitabilmente anche delle rinunce. Centocinquanta opere sono tante, ma sono anche poche rispetto alle oltre quattromila che conta la raccolta di grafica. Allo stesso tempo, nel momento in cui sono state definite le linee guida delle quattro grandi sezioni che compongono la mostra, in qualche modo, la selezione delle opere si è distillata quasi da sé. Per fare altri nomi in più rispetto a quelli già citati, in mostra troviamo Mirò, che è diventato anche il simbolo dell’esposizione, in quanto è stato scelto per la copertina del catalogo. Ci sono inoltreMunch, Nolde, Klee e molti altri ancora. Tra gli italiani c’è Giorgio Morandi, Luigi Bartolini, Sigfrido Bartolini, Carlo Mattioli. E’ veramente una panoramica molto internazionale, che parte dagli ultimi anni dell’Ottocento – con pochissime opere – e arriva al 2009, con lo scultore Alberto Almagno, presente con una scultura entrata in collezione dopo una recente donazione. Quindi parliamo davvero di una rassegna ampia, considerando che copre tutto il Novecento fino ad arrivare al ventunesimo secolo.
Quanto tempo avete impiegato per la realizzazione? Ha comportato un lungo e approfondito periodo di studio?
L’idea e il primo approccio di studio risale a circa quattro anni fa e ha comportato un lungo lavoro di ricognizione. Naturalmente tutte le opere della raccolta sono inventariate e conosciute, ma è stato necessario aprire cartella per cartella, studiare le singole carte, approfondire e verificare le tecniche esecutive che, soprattutto nelNovecento, rappresentano un aspetto molto specialistico, in quanto spesso gli artisti fondono, miscelano, rielaboranole tecniche tradizionali. Per cui, per riuscire ad aver un’idea chiara di quello che ogni singolo artista ha elaborato per raggiungere un determinato esito, si è resa necessaria una fase di lavoro molto complessa, ma interessantissima. Inoltre, come Edizioni Musei Vaticani abbiamo anche realizzato un ricco catalogo, coinvolgendo altri professionisti, tra cui Giorgio Marini, esperto di grafica internazionale, Giuseppe Trassari Filippetto che, lavorando per l’Istituto Centrale per la Grafica, per tutta la vita si è occupato in particolare di tecniche grafiche. In catalogo sono inoltre presenti: un testo della nostra Direttrice, Barbara Jatta, che da sempre si occupa di grafica, e della responsabile della Collezione di Arte Contemporanea, Micol Forti, che ha seguito il progetto passo dopo passo. Insomma, è stato un lavoro lungo, articolato, ma anche estremamente coinvolgente.
Possiamo affermare che questa mostra si rivolge ed è accessibile a tutti e non solo agli appassionati del settore?
Direi proprio di si. E come curatrice mi preme sottolineare che l’obiettivo primario è quello di riuscire a contagiare il pubblico attraverso lo stupore. Vorrei dimostrare che l’ambito grafico, ritenuto specialistico, offre invece diversi spunti di lettura e coinvolgimento, ed è in realtà, paradossalmente, molto più a portata di mano di opere ritenute, in qualche modo, più “alte”. È importante dunque riuscire a far comprendere che si tratta di un settore molto fertile, ricco di “segni e di impronte”,anche per le persone che non sempre ritengono sia accessibile.
La mostra è stata quindi pensata e costruita per accompagnare il visitatore in un viaggio, in un percorso che non richiede affatto una conoscenza pregressa. Vorremmo che in questa narrazione, che va dalla creazione del mondo, attraverso la rilettura delle Sacre Scritture, fino alla creazione dell’opera d’arte, le persone riuscissero a cogliere degli stimoli, dei “semi”, nei vari passaggi proposti, e uscendo dalla mostra non si sentissero più estranee rispetto a questo ambito.
Proprio in virtù della vastità della collezione, pensa ci possa essere uno sviluppo ulteriore di questo progetto, una sorta di “secondo capitolo” della mostra?
Un “secondo capitolo” mi piace come definizione. Sicuramente, questa mostra e, soprattutto, questo primo approccio così approfondito con la raccolta è anche un incipit rispetto a un catalogo ragionato di tutta la collezione di grafica, un’operazione che un museo ha sempre come progetto finale. Ma può essere anche l’inizio di un ulteriore approfondimento relativo a nuclei specifici, sia per noi che per studiosi esterni. L’interesse nei confronti del materiale che viene presentato può aprire poi a ipotetiche richieste di prestito su mostre future, a studi e saggi su piccoli nuclei. Certamente è qualcosa che apre a ulteriori sviluppi. Riguardo a un “altro capitolo” della mostra… perché no. Ci vorrà tuttavia un po’ di tempo.
Un’ultima curiosità. Come nasce la sua passione per la grafica?
Nasce moltissimi anni fa, prendendo parte a un lavoro di catalogazione di stampe per l’Istituto Nazionale per la Grafica. Un progetto dal titolo “I giacimenti culturali” che consisteva nel catalogare e informatizzare i materiali del nostro patrimonio culturale. C’erano numerosi progetti in essere su territorio nazionale e questo era relativo al territorio romano. Un gruppo di persone, composto da storici dell’arte, fotografi, laureandi – io stessa all’epoca non ero ancora laureata – si occupava appunto di catalogare, schedare e fotografare i materiali. Già nel periodo di formazione all’Istituto per la Grafica, ricordo quel senso di stupore nel ritrovarsi di fronte a qualcosa che racchiude in sé la magia dell’arte, ma anche dell’alchimia, che ha a che fare con la chimica e con tecniche che richiedono un sapere antico e una disciplina rigorosa. È affascinante anche rapportarsi con un materiale così delicato e fragile come la carta, che odia la luce, che ha bisogno di condizioni climatiche particolari e di cure speciali. Motivo per cui solo pochissime opere grafiche sono esposte nel nostro Museo, come d’altra parte in tutti gli altri Musei internazionali. È dunque un settore con molteplici sfaccettature che ha lasciato in me un “segno” – per tornare alla parola del titolo. Non è diventato da subito il mio ambito specifico, ma tutte le volte che ho potuto, dalla mia tesi di laurea a una serie di saggi che ho scritto, è sempre stato qualcosa che mi ha interessato particolarmente, su cui ho fatto studi approfonditi, fino ad arrivare poi anche a questa mostra.
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Vademecum
“I segni del sacro – le impronte del reale. La Grafica del Novecento nella Collezione d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani”
Città del Vaticano, Braccio di Carlo Magno (Piazza San Pietro)
11 dicembre 2019 – 29 febbraio 2020
Orari di apertura
Tutti i giorni dalle ore 10.00 alle 18.00
Mercoledì dalle 13.30 alle 18.00
Domenica e festivi chiuso
Ingresso gratuito
Info: www.museivaticani.va