ROMA – L’esposizione museale della Centrale Montemartini di Roma si arricchisce con nuovi e straordinari capolavori a partire dal 1 giugno. Opere conservate nei depositi ed esposte al pubblico solo in occasione di mostre temporanee, andranno invece ad accrescere il percorso espositivo.
Le “new entries” saranno visibili al piano terra con la piccola sala dedicata al prezioso corredo funerario di Crepereia Tryphaena, rinvenuto alla fine dell’Ottocento durante i lavori di scavo per realizzare le fondazioni del Palazzo di Giustizia. Il corredo apparteneva a una fanciulla morta prima delle nozze ed è costituito da una serie di raffinati gioielli in oro e pietre preziose e da altri pregevoli oggetti da toeletta. Il reperto più straordinario è certamente la deliziosa bambola di avorio con arti snodabili, vero capolavoro di intaglio di probabile manifattura egiziana, databile intorno alla metà del II secolo d.C.
Si prosegue nella Sala Colonne, con tre magnifici mosaici policromi di età repubblicana di raffinatissima fattura. Il primo, scoperto a Roma nel 1958 presso piazza San Giovanni in Laterano, è datato tra il 100 e l’80 a.C. e raffigura un labirinto circondato da una cinta muraria merlata con torri. La tipologia molto diffusa in ambito ellenistico e romano è quella del labirinto quadripartito di forma rettangolare, ma noto anche in forma circolare. Nell’émblema centrale erano spesso raffigurati Teseo e il Minotauro, quale rievocazione dell’impresa dell’eroe che riuscì a uccidere il mostro e a uscire dal famoso labirinto cretese. Questa scelta iconografica, messa in relazione con il proprietario della domus, ne esalta le virtù morali e la presenza delle mura, simbolo di centralità in un contesto cittadino, sottolinea l’importanza del suo ruolo pubblico e del suo status sociale. Lo schema del labirinto quadripartito, circolare o rettangolare, tendente verso un suo centro, è stato anche messo in rapporto con il modello ideale di città e con i suoi significati simbolici.
Il secondo mosaico, più piccolo, raffigura un leone circondato da amorini e fu scoperto ad Anzio nel 1749. Realizzato con tessere minutissime, costituiva il riquadro centrale (emblema) di un più esteso tappeto musivo pavimentale. In primo piano, lungo le sponde di uno specchio d’acqua, è raffigurato un leone giacente, con le zampe legate da nastri. Intorno al poderoso animale si dispongono tre piccoli eroti, due intenti a blandirlo con il suono della siringa e dei cembali, un terzo che si accinge ad avvolgerlo con un drappo. Disposti sul terreno, un grande kantharos rovesciato e un tirso. Sullo sfondo, tra due costruzioni, è rappresentata una figura maschile con la conocchia e il fuso; accanto, una clava e un timpano. Dal confronto con esemplari di soggetto analogo, si evince che la scena doveva in origine rappresentare un santuario campestre, nel quale i tre amorini, dinnanzi a un simulacro di Dioniso, ammansivano la ferocia del leone con le loro arti gentili. Un esteso restauro settecentesco ha poi trasformato la figura di Dioniso in un Ercole in vesti femminili, alludendo in tal modo all’episodio mitico dell’asservimento amoroso dell’eroe alla regina di Lidia, Onfale. Il soggetto della scena viene ricondotto ad un originale scultoreo, forse la celebre leonessa legata da un gruppo di amorini menzionata da Plinio, opera tardoellenistica dello scultore greco Arkesilaos appartenuta a Varrone.
Il terzo mosaico raffigura una scena ambientata lungo le sponde del Nilo. Si tratta di un’opera della seconda metà del I sec. a.C. rinvenuta nel 1882, durante la costruzione del Palazzo delle Esposizioni. L’opera rappresenta con grande vivacità una cerimonia sacra ambientata lungo le sponde rigogliose del Nilo. La presenza di alcuni sacerdoti intenti a cibare un coccodrillo incoronato da un serto di rose induce a mettere in relazione la scena con le feste rituali che avevano luogo nella città egiziana di Crocodilopolis, in onore del dio coccodrillo Sobek. Il piccolo emblema, vero capolavoro di virtuosismo miniaturistico, è realizzato con l’impiego di tessere policrome minutissime di marmo e paste vitree e trova confronto, anche per quanto riguarda la tematica, con altri preziosi esemplari di tarda età repubblicana, come il celebre mosaico dell’aula isiaca di Palestrina.
A seguire la Sala Caldaie dove sarà visibile un grande mosaico pavimentale della media età imperiale con la raffigurazione del rapimento di Proserpina da parte di Plutone, dio dell’oltretomba. Su intercessione della madre Cerere, alla fanciulla fu concesso di tornare sulla terra per sei mesi all’anno, alternando in tal modo la sua esistenza tra il mondo dei morti e quello dei vivi. Per questo motivo la raffigurazione ben si adatta al repertorio funerario: il mosaico fu infatti scoperto a Roma in una tomba della via Portuense nel 1885. Rimasto a lungo in deposito, ha finalmente trovato la sua collocazione definitiva alla Centrale Montemartini.
Infine sarà esposta in Sala Macchine, accanto alla statua femminile di “Orante” delle Collezioni Capitoline, una preziosa testa-ritratto in basanite dell’imperatrice Agrippina Minore, moglie di Claudio e madre di Nerone, concessa in prestito temporaneo alla Centrale Montemartini dalla Gliptoteca Ny Carlsberg di Copenaghen fino a gennaio 2017. La pertinenza della testa di Copenaghen al corpo della statua capitolina è stata dimostrata nel corso di complessi studi scientifici condotti negli anni Novanta del Novecento che hanno consentito di individuare un preciso punto di attacco tra le due opere.
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Vademecum
Centrale Montemartini
Via Ostiense 106 – 00154 Roma
Martedì -domenica 9-19; 24 e 31 dicembre 9-14
(la biglietteria chiude mezz’ora prima)
Chiuso: lunedì, 1 gennaio, 1 maggio, 25 dicembre
Biglietti
Intero € 7,50; Ridotto € 6,50
Gratuito per le categorie previste dalla tariffazione vigente
Info
Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9-21)
www.centralemontemartini.org