MILANO – Matteo Procaccioli da dieci anni lavora sul paesaggio urbano e non. Tra il 2012 e il 2014 ha realizzato Structures, un lavoro volto a mettere in risalto l’imponenza architettonica degli involucri di cemento rispetto all’esiguità dell’uomo, fotografando le strutture dal basso verso l’alto. Urban Landscape è invece stato realizzato tra il 2013 e il 2014, ed è dedicato agli agglomerati urbani a 360°. Microcities è il ciclo più recente. E’ infatti un lavoro nato tra il 2014 e il 2015. Filo conduttore di queste serie è il desiderio dell’artista di cogliere il “tra” ovvero il complesso momento di passaggio fra tradizione, storia e contemporaneità. L’uomo non è protagonista di questi lavori, anzi è assente, la testimonianza del suo passaggio si percepisce solo nei vuoti sconfinati dei paesaggi silenziosi che li contraddistinguono.
Microcities, come spiega il curatore, è un progetto ambizioso, seriale: “Un atlante aereo, il primo a muoversi come un moderno global trotter, dalla Pianura Padana al Cairo, dalle campagne francesi a Casablanca, da Shenzhen a Dubai, passando per Roma, Hong Kong e la periferia di Madrid”. Protagonista “il vuoto di micropaesaggi dove il segno dell’uomo svanisce: le case, le architetture, i fiumi, gli argini o i monti, non c’è natura o urbanizzazione, non c’è tecnologia e progresso.
Per Procaccioli questo è anche il lavoro più completo, realizzato durante un viaggio di ritorno dalla Cina in Italia. “La macchina fotografica è stata utilizzata dal finestrino dell’aereo come un filtro tra il mio occhio e quanto stava sotto il velivolo”, ha raccontato l’artista alla storica d’arte Angela Madesani. “I viaggi in aereo sono come dei sogni. Nei miei ricordi sono ovattati: quando si pensa a un sogno, a un ricordo i contorni non sono mai nitidi, precisi, è come se sopra ci fosse un velo. Ho cercato di riprodurre quelle sensazioni, quelle emozioni”.
Gillo Dorfles e Vittorio Sgarbi hanno a loro volta così commentato il lavoro di Matteo Procaccioli:
“Credo che uno dei meriti di Procaccioli sia appunto quello di saper ritrarre la realtà nel modo più coerente e figurativamente responsabile ma allo stesso tempo trasformare queste realtà esistenziali in un tipo di esperienza inventiva e fantastica, in un certo senso, lontana da quella che è la semplice raffigurazione fotografica”. Gillo Dorfles
Le fotografie di Matteo Procaccioli non documentano, non riproducono, non riflettono né realtà né stati d’animo. Perlustrano luoghi aridi e impraticabili, rendendoli accostabili soltanto alle vedute a cavaliere consentite da una distanza che ritaglia porzioni di un mondo più inconoscibile che sconosciuto. Non è il primo e non è il solo ma è certamente il più distaccato, come se il suo occhio coincidesse con l’obiettivo che scatta immagini prescindendo dalla volontà dell’uomo.
C’è dunque una umanità delle cose, una emotività della macchina che vede, pensa e sente per chi la usa prescindendo dalla propria sensibilità.
(…) Le ho guardate e riguardate e benché sia fra gli uomini uno di quelli che ha più visto, non ho riconosciuto un solo luogo, un solo continente, un solo estuario, una sola collina. E dove sembra di conoscere, una luce nebbiosa scende sulle cose come per dissolverle, così Procaccioli si porta dietro il suo segreto con tanta convinzione da nascondere il mondo anche a se’ stesso. Vittorio Sgarbi
Vademecum
Microcities di Matteo Procaccioli
5 -18 febbraio 2016
Museo della Permanente – via Turati 34 Milano