“Conversation Piece ǀ Part III” è il terzo appuntamento con il ciclo di mostre, curate da Marcello Smarelli e organizzate dalla Fondazione Memmo di Roma, nell’intento di monitorare e far conoscere al pubblico il panorama artistico romano, avendo cura di far emergere le relazioni che vengono a crearsi tra la città e gli artisti ospiti nelle diverse residenze a loro dedicate.
In questa esposizione, Jonathan Baldock, Piero Golia, Magali Reus e Claudia Wieser, raccontano il proprio rapporto con la città di Roma, attraverso opere che sono anche testimonianza di una eterna relazione tra l’arte e la città.
In occasione della mostra, come per l’intero ciclo, ogni artista è stato chiamato a riflettere sul principio di defamiliarizzazione dell’oggetto. Ognuno, infatti, ha lavorato su un particolare oggetto d’uso decontestualizzandolo per poi ricontestualizzarlo attraverso le opere.
Gli artisti, come lascia intendere il titolo che rimanda al film di Visconti, instaurano con Roma una conversazione che è sempre incontro tra passato e futuro, antico e contemporaneo. Una conversazione intima, che diventa quasi domestica e familiare, nella percezione quotidiana di una città che, per qualche tempo, si trasforma in una nuova casa. Conversation Piece, d’altronde è anche quel genere pittorico, diffuso nei Paesi Bassi tra XVII e XVIII sec., in cui gruppi di persone venivano ritratti in conversazione tra loro o comunque in contesti di vita familiare.
Nei lavori di Jonathan Baldock, la familiarità dell’artista con la città Roma, si traduce nell’interazione tra alcuni elementi del corpo umano e alcuni tratti caratteristici del luogo. In particolare egli prende in considerazione gli occhi, la bocca e le viscere, relazionandoli a vasi, mascheroni e antichi impianti fognari.
Le sculture e i grandi arazzi, che accolgono i visitatori nella prima sala espositiva, creano un paesaggio onirico con rami che nascono da grossi bulbi oculari allestiti sul pavimento, in dialogo con un tavolo-occhio, in cui il cristallino è costituito da una vera e propria sfera di cristallo che rotola su un iride di sabbia, proveniente dall’Inghilterra, patria dell’artista. Le sculture “discutono” ironicamente con gli altrettanto ironici arazzi caratterizzati, uno da antiche maschere greche e dal forte rimando alla bocca della verità, l’altro da intestini-salsicce, srotolati nel percorso della cloaca massima.
Opere dal contenuto forse ancora più personale, sono le sculture della serie “Leaves” dell’olandese Magali Reus, che conduce i visitatori in una sorta di intimo caveau, custode di momenti privati. L’oggetto scelto, in questo caso, è il lucchetto. Lavorando sul meccanismo, la forma e il concetto di protezione che c’è dietro la funzione dell’oggetto, l’artista crea una galleria di sculture-calendario con riferimenti specifici a date rappresentative di momenti più o meno importanti della sua quotidianità. Tuttavia i numeri mantengono una loro insondabilità, quasi ad essere codici di una serratura che nessuno, oltre l’artista, potrà mai aprire.
Un altro approccio alla città e a un ulteriore oggetto d’uso come la ceramica, si ritrova in “All That Is” istallazione concepita da Claudia Wieser che, nell’architettura della grande sala con le quattro campate, allestisce una scenografia incentrata sull’illusione fotografica, la magia degli specchi e la bellezza, sempre attuale, della ceramica appunto. Linguaggi diversi, quali collage, fotografia, scultura e la stessa ceramica, nel lavoro dell’artista sono accomunati da una ricerca sulle geometrie, la luce e il colore, che porta Wieser a comporre uno spazio in cui classicità e contemporaneo si fondono. Di particolare impatto sono le carte da parati con cui l’artista ricopre alcune zone. In esse, le immagini delle sue mattonelle, convivono con fotografie risalenti ai primi anni del ‘900 o con altre che hanno per soggetto antichi vasi greci, con quelle dell’Auriga di Delfi o ancora con gli scatti a un’effige in stile bizantino. In tutta l’istallazione, la tipica forma quadrata delle mattonelle, viene analizzata, destrutturata e ricomposta in una diversità di geometrie e sfumature che trasportano i visitatori in un complesso e avvincente dialogo.
L’ultima “conversazione” presente in mostra, è quella tra la città e Piero Golia, che chiude il percorso espositivo con l’opera “The Painter”. L’artista italiano, trasferitosi ormai da molto tempo a Los Angeles, concepisce un pittore meccanico che possa dipingere al suo posto. L’irriverenza dell’idea, si traduce nell’utilizzo di un robot, creato per il cinema, normalmente dotato di cinepresa che qui viene sostituita da un pennello. Il grande braccio meccanico assume le movenze di un artista intento nella creazione pittorica. Davanti alla tela, il robot indugia, riflette, prende il colore e infine compone il suo segno. Nonostante l’uso di una macchina, Golia riesce a trasmettere tutto il calore di un gesto umano, dando vita a un’opera fortemente poetica che esprime l’identità di una città.
Roma è arte, è cinema, è pittura, è una città dipinta, realizzata dalle mani e dai gesti dei tanti artisti che l’hanno vissuta e che nel rapporto con lei hanno indugiato, riflettuto e poi, su di lei, agito, lasciando le tracce del proprio passaggio.
La mostra sarà fruibile fino al 2 aprile 2017.
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Vademecum
JONATHAN BALDOCK, PIERO GOLIA, MAGALI REUS, CLAUDIA WIESER
“Conversation Piece ǀ Part III”
17 dicembre 2016 – 2 aprile 2017
Fondazione Memmo
Via della Fontanella Borghese, 56b – Roma
Orari: lun. 11.00 – 18.00; merc. – dom. 11.00 – 18.00