Nell’ex Chiesa di Sant’Agnese a Padova, sede della Fondazione , una mostra tra negazione dell’immagine e ossessione del ritratto.
Un sacco di juta trafitto da un pugnale e inchiodato a una trave verticale, al centro dello spazio sacro. È attorno a questa presenza mutilata, Senza titolo (1996) di Jannis Kounellis, che la Fondazione Alberto Peruzzo costruisce Damnatio figurae. Dalla negazione dell’immagine al ritratto (19 giugno – 5 ottobre 2025), mostra a cura di Marco Trevisan, in equilibrio instabile tra sparizione e ostinazione della figura.
L’opera di Kounellis, esposta in permanenza nell’ex altare, diventa detonatore concettuale per una riflessione che si muove su due fronti complementari: da una parte, la sottrazione dell’immagine e la sua potenza residuale; dall’altra, il ritratto come codice insistito, reiterato, quasi compulsivo. La dialettica non è nuova, ma qui viene esplorata con un taglio sorprendentemente non lineare, dove artisti storicizzati e contemporanei sono accostati per tensione e non per coerenza stilistica.
Dissolvenze visive: Demetz, Samorì, Brinkmann, Sardón
Nella Navata, lo sguardo è subito interrotto. Le opere selezionate da Trevisan evitano ogni frontalità: volti velati, materia scorticata, corpi alterati. La figura c’è, ma si ritrae, si difende, si nega.
Aron Demetz lavora con un legno che si consuma e si brucia, spingendo la scultura verso un’identità ferita e interiore. Nicola Samorì, invece, prende in prestito l’iconografia barocca per poi distruggerla: la pittura si squama, la tela si lacera, la carne si decompone. Non c’è nostalgia né rivendicazione, ma un uso chirurgico della storia dell’arte come superficie da incidere.
Più ironico e dada, Thorsten Brinkmann riattiva il ritratto borghese usando materiali di recupero: l’assenza del volto è qui un cortocircuito tra archeologia visiva e cultura del consumo. Infine Mariano Sardón, con le sue elaborazioni digitali legate alla neuroscienza, disinnesca il volto rendendolo dato, segnale, algoritmo. Un’identità misurabile, ma non più riconoscibile.
La tentazione del volto: tra archivio e immaginario
Nel passaggio alla Sacrestia, il tono cambia. La figura torna ad affermarsi, ma è una figura instabile, costantemente contaminata da segni di epoca, ideologia o mercato.
Ci sono i ritratti regali di Andy Warhol, campioni seriali di un potere trasformato in pattern. Ma anche la caricatura sovversiva di Endless, o il tributo deformato di Enzo Fiore allo stesso artista. La figura non è più solo rappresentata: è moltiplicata, distorta, replicata.
Donald Baechler, Felice Casorati, Tom Wesselmann offrono tre strategie opposte per dire la presenza: l’icona infantile e stilizzata, l’austerità pittorica novecentesca, l’edonismo pop. Le loro opere parlano un linguaggio figurativo, ma restano segnate da un’inquietudine che impedisce al volto di coincidere con se stesso.
Anche quando si fa collage – come in Manolo Valdés – o delirio visivo, come in Max Ernst, il ritratto non è più un dispositivo per conoscere l’altro, ma una forma che assorbe e contamina. Zoran Music, Mimmo Paladino, Fernando Botero, Sandro Chia, Julio Larraz chiudono il percorso senza sintesi, ma con una costellazione di variazioni sul tema della presenza come costruzione.


Manolo Valdes Ritratto con fondo verde e tracce beige, 2010 Olio su sacco di tela 188 × 127 cm
Cattelan, o della figura come spettacolo
Nel finale, l’inserimento di Stadium di Maurizio Cattelan funziona da spia concettuale. Un calcio balilla extralarge da 7 metri per 22 giocatori: non un’opera partecipativa, ma un palcoscenico di identità meccaniche. Lì dove il ritratto aspira a un’intimità, Cattelan moltiplica il corpo, lo fa giocare e lo espone. L’identità diventa partita, algoritmo, fiction condivisa.
Damnatio figurae: né contro né per l’immagine
Damnatio figurae è un’indagine sulle forme del guardare quando il soggetto si nasconde o si duplica. Trevisan costruisce un progetto curatoriale sobrio, che evita l’enfasi teorica e si affida piuttosto al contrasto tra le opere, lasciando che siano i materiali, le assenze e le deformazioni a parlare. Il volto, alla fine, resta lì: non come rassicurazione, ma come superficie fragile da cui riemerge, ogni volta, una domanda.
Vademecum
19 giugno – 5 ottobre 2025
PRESS PREVIEW
mercoledì 18 giugno, ore 11.30
Fondazione Alberto Peruzzo
Spazio Sant’Agnese – Padova