ROMA – Il restauro della Madonna con il Bambino di Santa Maria del Popolo, realizzato dai tecnici della Soprintendenza speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma, ha permesso di cambiare l’attribuzione della celebre icona, conosciuta anche come Madonna di San Luca.
Sarebbe infatti Filippo Rusuti l’autore dell’opera che risulta datata entro il 1297. Il restauro ha portato alla luce un’iscrizione nascosta sotto una spessa vernice nera, che può essere riconosciuta proprio come la firma di Rusuti.
L’opera restaurata sarà esposta, dal 19 ottobre al 18 novembre 2018, nel Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo di Roma, nella mostra “Filippo Rusuti e la Madonna di San Luca in Santa Maria del Popolo. Il restauro e la nuova attribuzione di un capolavoro medievale romano”.
L’esposizione rientra nel progetto ArtCity Estate 2018, in collaborazione con il Fondo Edificio di Culto (Fec), cui il dipinto appartiene, e con la Soprintendenza speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma, diretta da Francesco Prosperetti che ha curato il restauro.
La scoperta della nuova attribuzione è stata illustrata dalla direttrice del Polo Museale del Lazio Edith Gabrielli. “Le opere medievali firmate sono pochissime. – Ha sottolineato Gabrielli – In questo caso, invece, troviamo la firma di uno dei grandi artisti che calcarono la scena di Roma a cavallo tra il Duecento e Trecento su un’opera famosissima”.
Il soprintendente Francesco Prosperetti ha spiegato: “Il lavoro che ha consentito il restauro ha degli aspetti ‘miracolosi’. Primo tra tutti quello di portare l’opera fuori dalla chiesa in cui è conservata. Il restauro ristabilisce la verità storica con un colpo di fortuna che non capita di frequente e ci consente oggi di aggiornare la storiografia dell’opera con sicura certezza”.
L’intervento di restauro è stato diretto da Simonetta Antellini, della Soprintendenza speciale di Roma, che ha anche curato la mostra insieme ad Alessandro Tomei, ordinario di storia dell’arte medievale all’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti.
Tomei ha evidenziato come questa scoperta imponga una riflessione più ampia su tutta la storia della pittura a Roma nella seconda parte del Duecento. La città – ha spiegato lo studioso – “è sempre stata un po’ sottovalutata rispetto alla scuola fiorentina ed era considerata una sorta di provincia bizantina dell’Italia Centrale”. Tomei ha quindi sottolineato invece il ruolo di punta di Roma in quel periodo e ha concluso: “Credo che, anche nella formazione di Giotto, Roma sia stata molto più importante di quanto sia stato l’ambiente fiorentino”.