ROMA – “La notte” è una statua che Michelangelo scolpì per uno dei sepolcri della famiglia Medici, Giovanni di Carlo Strozzi se ne innamorò e le dedicò dei versi nei quali la definiva viva, tanto che sarebbe bastato svegliarla per scoprirlo. Michelangelo rispose allo Strozzi mettendo in bocca alla scultura queste rime: “Caro m’è ‘l sonno, e più l’esser di sasso,/mentre che ‘l danno e la vergogna dura;/ non veder, non sentir m’è gran ventura;/ però non mi destar,deh, parla basso”. Alla luce dei disordini che imperversavano a Firenze durante il governo di Cosimo I de’ Medici, il Buonarroti sentiva il sonno come benedizione. Andrei Konchalovsky racconta: “Quando ho letto per la prima volta il verso di Michelangelo, la celebre risposta allo Strozzi, ho trovato molto interessante l’invocazione al silenzio come antidoto al dolore e alla vergogna. Non avrei mai pensato che Michelangelo potesse avere questa visione della vita e ho avuto voglia di conoscerlo meglio per saperne di più”. E’ cominciato così il viaggio del regista che dopo otto anni è giunto alla realizzazione de “Il peccato – Il furore di Michelangelo”.
Un Michelangelo Buonarroti anticonvenzionale quello che ci offre, nella sua visione, Andrei Konchalovsky. Il titolo riecheggia rime michelangiolesche – “Vivo al peccato, a me morendo vivo;/vita già mia non son, ma del peccato” – che danno l’idea dell’uomo carico di difetti, realtà anche nel genio più inarrivabile, con le sue contraddizioni, i suoi conflitti, i tormenti di un carattere pieno di quel “furore” energetico che è il suo limite e la sua forza creativa. L’occhio immaginifico di Koncialovsky vuole ritrarre il vero e non le mitizzazioni. Vita effettiva, fatta di abiti logori e polverosi, sudiciume e brutture, persino i colori sobri della pellicola ci riportano alla quotidiana fatica di un’umanità in un’epoca crudele e turbolenta. Una delle scene più impressionanti, quella che dà la grandezza e il prezzo del genio unito al concorso creativo della collettività, è lo spostamento a valle di un mastodontico e informe blocco di marmo, con la sola forza dell’ingegno e delle braccia, attraverso un complesso meccanismo di funi, carrucole e binari: operazione durante la quale alcuni troveranno la morte.
Interpreta Michelangelo Alberto Testone, il quale riesce nel non facile compito di dare anima a un personaggio ricco di credenze religiose e pregiudizi, in contrasto con i potenti dai cui conflitti preferirebbe svicolare – non veder, non sentir m’è gran ventura – ma in fondo non può e si barcamena come fanno i più. Andrei Konchalovsky dice di aver scelto Testone per una somiglianza anche fisica con il Buonarroti, ma forse più ancora per una interiore, giacché – ha aggiunto – lo avrebbe scelto anche se non fosse stato attore. Dopo due ore di sudore, gioie e dissidi – in cui Alberto Testone e l’intero bravo cast ci regalano una full immersion in un rinascimento più primitivo ma non troppo dissimile da noi – sullo schermo appaiono le statue più famose di Michelangelo Buonarroti e, ripensando alle cave da cui fu sgravato il ruvido marmo, il cuore si riempie di estatica meraviglia. Sentimento analogo suscitato da un altro grandissimo film sulla vita di un pittore, che Konchalovski sceneggiò: “Andrej Rublev”, sul mistero e la necessità della creazione artistica nonostante i limiti dell’uomo.
Foto Andrea De Fusco
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Andrei Konchalovsky Studios, Jean Vigo Italia e Rai Cinema
un film di Andrei Konchalovsky
produttore generale Alisher Usmanov
con
Alberto Testone
Jakob Diehl
Francesco Gaudiello
Orso Maria Guerrini
Massimo De Francovich
Data di uscita: 28 novembre 2019