Francis Bacon è riconosciuto come uno dei più straordinari pittori del XX secolo, capace di reinventare la tradizione figurativa attraverso una visione profondamente esistenziale dell’arte. Con il suo stile inconfondibile, caratterizzato da forme distorte e pennellate vibranti, ha esplorato la condizione umana, trasformando il dolore, la violenza e l’isolamento in immagini di sconvolgente potenza. La mostra Francis Bacon: Presenza umana, dal 14 febbraio all’8 giugno 2025 alla Fondation Gianadda di Martigny, si propone di indagare il suo complesso rapporto con il ritratto, rivelando l’intensità con cui l’artista ha interpretato la figura umana, in bilico tra riconoscibilità e dissoluzione.
L’esposizione raccoglie una trentina di opere provenienti da collezioni pubbliche e private europee e d’oltreoceano, accompagnate da fotografie e documenti inediti che offrono uno sguardo ravvicinato sulla vita e sul metodo di lavoro dell’artista. Il percorso, sviluppato in cinque sezioni tematiche (La forma dei ritratti – Oltre la forma – Dipinti ispirati ai Maestri – Autoritratti – Amici e amanti), attraversa la carriera di Bacon, dai primi dipinti degli anni Quaranta fino agli ultimi lavori, tra cui un’opera incompiuta rimasta sul cavalletto nel suo studio alla sua morte.
Il grido della figura umana
Nei primi dipinti di Bacon, le figure sembrano imprigionate in gabbie trasparenti, deformate dal dolore e dalla tensione. Opere come Head VI (1949) e Study of the Human Head (1953) mostrano uomini anonimi intrappolati in spazi angusti, con bocche spalancate in urla silenziose che evocano un senso di angoscia e vulnerabilità. In questa fase, Bacon si ispira alle ferite della Seconda Guerra Mondiale, traducendo in pittura l’orrore del dopoguerra. Le sue reinterpretazioni delle figure del potere, come i celebri Papi urlanti ispirati a Velázquez, destabilizzano l’iconografia tradizionale, trasformandola in un manifesto della fragilità umana.
Dall’influenza dei maestri alla rivoluzione del colore
Nonostante non abbia mai visto dal vivo opere come Papa Innocenzo X di Velázquez o Il pittore in cammino a Tarascona di Van Gogh, Bacon ne assorbe e reinventa l’essenza attraverso riproduzioni cartacee raccolte nel caos del suo studio. L’influenza di Van Gogh lo spinge a liberarsi dalla monocromia e a introdurre il colore con una forza espressiva mai vista prima, che segnerà tutta la sua produzione successiva.
A partire dagli anni Cinquanta, Bacon inizia a ritrarre figure meno urlanti, ma sempre cariche di inquietudine e ambiguità. È in questo periodo che affronta il ritratto da modelli dal vivo, realizzando opere dedicate ai suoi mecenati e all’amico Lucian Freud. Tuttavia, l’artista si sente limitato da questa pratica e progressivamente abbandona la posa diretta, preferendo lavorare su fotografie o affidarsi alla memoria per manipolare a piacimento la fisionomia dei soggetti.
Gli autoritratti: la lotta contro la dissoluzione
Come Rembrandt, che Bacon ammirava per il suo stile anti-illustrativo, anche lui dedica gran parte della sua produzione all’autoritratto. Durante la sua carriera, si raffigura oltre cinquanta volte, spaziando da piccoli studi del volto a imponenti trittici. Gli autoritratti più toccanti nascono nei momenti di lutto: dopo la morte del compagno Peter Lacy nel 1962 e, dieci anni dopo, quella di George Dyer, Bacon reagisce creando una serie di dipinti in cui il dolore e l’isolamento emergono con una potenza devastante.
Il ritratto come strumento di verità
Negli anni Sessanta e Settanta, Bacon restringe ulteriormente il cerchio dei suoi soggetti, concentrandosi su ritratti di amici intimi e amanti, tra cui Peter Lacy, George Dyer, John Edwards, Henrietta Moraes e Lucian Freud. Più che semplice somiglianza, Bacon cerca di cogliere la vera essenza dei suoi modelli, frammentandone i lineamenti e imprimendo sulla tela l’energia delle loro esistenze. Le fotografie di John Deakin, spesso stropicciate e strappate, diventano per lui una fonte primaria d’ispirazione: da questi scatti disordinati trae figure sospese tra presenza e dissolvimento.
Un’esposizione tra pittura e fotografia
Curata da Rosie Broadley della National Portrait Gallery di Londra, la mostra offre una lettura inedita dell’opera di Bacon, mettendo in dialogo dipinti e immagini fotografiche. “Il ritratto domina l’opera di Francis Bacon, che si impegna totalmente per dimostrare, oltre ogni aspettativa, dove può portare un’esplorazione così intensa, persino estrema“, afferma la curatrice.
Realizzata in collaborazione con la National Portrait Gallery, la mostra della Fondation Gianadda è un’occasione per riscoprire l’eredità di un maestro che ha ridefinito i confini della ritrattistica, trasformando la pittura in una forma di indagine psicologica profonda. Attraverso volti frammentati, sfocati, lacerati dalla pittura, Bacon ci restituisce un’immagine spietata e sincera dell’essere umano: vulnerabile, fragile e intensamente vivo.