ROMA – Emozionarsi davanti ad un Monet. Perché no? Lasciarsi trasportare dall’eccitazione per essere lì, sospesa su Piazza Venezia, nel famoso balconcino di legno verde da dove Maria Letizia Ramolino, madre di Napoleone, amava sbirciare lo “struscio” sottostante, osservando e curiosando senza essere però vista a sua volta durante gli anni in cui supplicava le alte sfere romane di rilasciare il suo Napoleone costretto all’esilio? Curiosare tra le sale di un antico palazzo aristocratico mai visto, perché chiuso al pubblico da anni, che grazie ad una partnership tra Assicurazioni Generali – Generali Valore Cultura e Arthemisia Group, si trasforma in un nuovo polo culturale della capitale dedicato a mostre ed eventi ma capace di ammaliarti per la bellezza degli affreschi e delle sale? Un’opening importante, quella che sabato 5 ottobre ha riaperto Palazzo Bonaparte. Un’ inaugurazione molto partecipata e affollata, una selezione di una cinquantina di opere, certamente non fra le più note ma forse proprio per questo più interessanti da osservare vista l’abbondanza di mostre su uguale tema nel mondo, per la mostra “Impressionisti segreti” che inaugura gli spazi restaurati del palazzo, un’altra piccola ma significativa tessera nel mosaico culturale romano che, ultimamenete, non spicca esattamente per abbondanza e fluidità.
Spesso questa città dimentica che basta anche un solo quadro, una sola opera per ricondurci direttamente nel cuore dell’arte e della bellezza. “Impressionisti segreti” ne propone una cinquantina, da Monet a Renoir, da Cézanne a Pissarro, a Gauguin e molti altri. E’ un’operazione che vede tra i suoi protagonisti Marianne Mathieu, direttrice scientifica del Musée Marmottan Monet di Parigi – sede delle più ricche collezioni al mondo di Claude Monet, e Claire Durand-Ruel, discendente di Paul Durand-Ruel, colui che ridefinì il ruolo del mercante d’arte e primo sostenitore degli impressionisti.
La mostra è esposta in sei magnifiche sale appena ristrutturate, ben illuminate e dai colori caldi e accoglienti. Le opere sono esposte in un allestimento semplice ed efficace, in cui le architetture recuperate si armonizzano con i quadri che fanno da catalizzatori dell’attenzione. Ci sono alcuni quadri meno interessanti, come in tutte le mostre. Ci sono opere di Monet, di Pissarro e di Renoir che tolgono il fiato. Ci sono nuche di damigelle, sguardi di fanciulle, scintillii di colori ed equilibri cromatici raffinatissimi. Folgorazioni, come l’Isola delle ortiche dipinta da Paul Monet nel 1897, un angolo di natura selvaggia tra la Senna e l’Epte, a Giverny, in cui l’atmosfera restituisce il paesaggio e le modulazioni cromatiche ricostruiscono anche la bruma e il riverbero della luce sull’acqua in maniera quasi commovente. Ci sono i pescatori di Paul Gauguin e i giardinieri di Camille Pissarro che rimandano a mondi perduti. C’è l’incanto dello sguardo tra le due dame nell’olio di Federico Zandomenichi, Sul divano, proveniente da una collezione privata italiana. E tre Renoir, tre paesaggi che raccontano la natura attraverso i colori, provenienti dalla Collezione messicana Perez Simon. C’è Meli in fiore sulla riva dell’acqua: Claude Monet l’ha dipinta nel 1880 e fogliame, fioritura dell’abero e riflessi dell’acqua provengono tutti da un’unica strabiliante tavolozza. Soltanto dopo, dal 1883 in poi e fino alla sua morte, nasceranno le famose Ninfee che tutti amiamo.
Non è una mostra indimenticabile, come quasi tutte le mostre. Ma sono indimenticabili alcune, meravigliose, opere in mostra. Perché ci riportano al centro del discorso sull’arte. L’emozione. Per questo, quando una collega seria e scrupolosa chiede “c’era bisogno di una nuova mostra sugli Impressionisti?”, io penso: non so. Abusati, straconosciuti, molto sfruttati a tutte le latitudini. Il valore aggiunto della collezione privata, in questo caso esiste ed è tangibile. Ma è soprattutto il valore dell’emozione che coinvolge. Se basta anche solo un’opera per ricadere nella “trappola” della fascinazione, allora si, vale la pena.
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