ROMA – Liu Ruowang è sicuramente tra i maggiori artisti contemporanei cinesi. Le sue opere, nella loro imponente monumentalità, forse stranianti al primo impatto, ma mai ingombranti e disturbanti, creano un effetto scenico di grande fascinazione e coinvolgimento emozionale. E’ il caso dell’installazione che ha visto protagonisti un branco di 100 lupi di ferro, presentata in Italia per la prima volta alla Biennale di Venezia del 2015. Sempre nello stesso anno l’opera è stata accolta nel cortile del Rettorato dell’Università di Torino, successivamente, da novembre 2019 a marzo 2020, in piazza Municipio a Napoli e, infine, da luglio a ottobre 2020, in Piazza Pitti a Firenze.
Nel caso di Napoli è stata la prima volta che l’installazione ha letteralmente “invaso” una piazza italiana.
Come è nata l’idea di esporre i 100 lupi in una città come Napoli?
La prima volta che sono venuto in Italia nel 2015, sono rimasto subito affascinato dalla vitalità di Napoli, città antica ma nello stesso tempo moderna, che ha lasciato un considerevole segno artistico nel corso dei secoli. Insieme ai miei amici artisti, Alfred Mirashi Milot e Michele Stanzione, ho visitato la città e mi sono immediatamente innamorato del Maschio Angioino; in quel momento ho espresso il desiderio di poter fare una mostra lì e, grazie all’aiuto del Generale Bianco e dell’Assessore alla cultura Nino Daniele prima e del Sindaco De Magistris poi, ho potuto avverare il mio sogno.
Questa grande installazione sta facendo il giro del mondo. Qual è il riscontro da parte del pubblico?
Sono molto contento della reazione del pubblico. La mia intenzione è infatti quella di far interagire le persone con la mia opera, rendendole parte attiva del mio processo artistico. Il fatto che la gente possa camminare in mezzo all’installazione, sedersi sui lupi, toccarli e fare foto fantasiose, rappresenta per me un fondamentale principio per cui l’arte deve essere per tutti e non solo per pochi eletti.
In quale luogo, in quale città, crede che questa installazione, di così potente impatto, abbia trovato la sua migliore collocazione?
Non credo che abbia importanza dove venga esposta l’opera, in generale. La mia installazione è stata ospitata a Pechino presso il distretto artistico 798, nelle aree rurali dell’Inter Mongolia, oltreoceano in un bellissimo campo di golf della Nuova Zelanda, e poi ancora in Germania, in Francia e infine a Napoli e Firenze. Quindi ogni volta contesti diversi e pubblico differente. Credo che la cosa importante sia come venga percepita e come interagiscano le persone con essa. Un’opera, infatti, assume connotazioni diverse a seconda dei vari contesti in cui viene accolta e, di volta in volta, l’esperienza che se ne fa assume altri significati, proprio perché strettamente legata all’ambiente e al momento in cui viene “vissuta”.
Da dove e quando nasce questa ispirazione a lavorare sul tema della fauna selvaggia e, in particolare, qual è il messaggio che attraverso queste sculture lei cerca di comunicare?
Innanzi tutto cerco di comunicare col mondo attraverso la natura. Sono molto legato ai temi dell’ecologia e dell’ambiente. Quindi utilizzo gli animali come simbolo per esprimere la mia preoccupazione per le problematiche ambientali.
Vivere a Pechino con l’arte oggi rappresenta una sfida in sé. Per lei è un luogo in cui esplorare il confine estremo delle sue possibilità espressive, oppure ritiene che possa rappresentare anche una straordinaria opportunità per potersi misurare con i migliori artisti che attraversano questa capitale dell’arte globale?
Scegliere di diventare artista è una sfida, chi sceglie di farlo sa che sarà un difficile percorso di vita. Vivere di arte è complicato e la strada è in salita. Io vengo dal nulla, sono figlio di gente povera e nel mio villaggio disegnavo con le dita nel fango, non avevo né fogli né matite. Ma avevo un sogno e ho fatto di tutto per realizzarlo, nonostante le mille difficoltà. Al momento, il distretto artistico di Pechino sta affrontando una sorta di rivoluzione, diversi artisti stanno demolendo o trasferendo i propri studi. Per gli artisti di Pechino oggi è davvero molto difficile andare avanti. Ma Pechino è Pechino, un centro culturale, una città internazionale, quindi personalmente penso che ci siano comunque molte opportunità.
Il Coronavirus ha rappresentato un tempo di sospensione per tutti, uno spazio bianco in cui ridefinire priorità, linguaggi, idee. Che lezione ne ha ricavato lei personalmente, e che opportunità ha rappresentato, in generale, per tutti gli artisti nel “ridisegnare” la propria poetica, le proprie visioni?
L’improvviso insorgere del COVID-19 ha sicuramente sconvolto la nostra vita di sempre. Come dovremmo riflettere su questo disastro e come dovremmo sopravvivere in modo positivo e significativo? Questo penso sia il punto su cui focalizzare il nostro pensiero. In un periodo così particolare è molto importante mantenere un cuore tollerante e aperto, ma anche concentrarsi sul proprio lavoro, dopotutto, la vita deve continuare.
Nella provincia di Shaanxi, dove è nato, sta costruendo un grande Museo. Può parlarci di questo ambizioso progetto?
Ho costruito un museo immerso nel verde, nel centro di Yulin, nella provincia dello Shaanxi, incentrato sull’arte ecologica, fornendo agli artisti locali una piattaforma per comunicare con l’estero. Inoltre, nella città di Yukou, sulla riva del fiume Giallo, nella contea di Jiaxian, nella provincia dello Shaanxi, ho iniziato la costruzione di un villaggio d’arte, per dare vita alla “Città d’Arte Internazionale”. Insieme ad alcuni architetti, designer e studiosi culturali vogliamo creare un polo ricco di musei, biblioteche, studi di artisti, laboratori di arti e mestieri, centri di artigianato locale, ristoranti cinesi e occidentali. Anche se la costruzione è ancora in corso, il museo ha già iniziato a funzionare e ricevere turisti dal 2018. Spero che Yukou si faccia strada col tempo nel panorama artistico internazionale.
Ci sono diversi musei nelle città cinesi, ma i bambini nelle contee e nei villaggi raramente hanno l’opportunità di visitarli. Con questo progetto spero che questi bambini abbiano la possibilità di venire a contatto con l’arte, e che tutti gli abitanti del villaggio possano beneficiare della cooperazione con gli artisti e delle pratiche artistiche. In questo modo, attraverso l’arte, ci sarà più spazio per la rivitalizzazione e lo sviluppo delle aree rurali.
Come proseguono i progetti nel suo Museo Dodo di Beijing? Lei qui ha nominato come Direttore Artistico un artista fiorentino, Milot. Un segnale di grande apertura al dialogo attivo con l’Occidente, in particolare con l’arte italiana ed europea. Come vive personalmente questa relazione tra Oriente e Occidente sul terreno dell’arte e, più in generale, pensa che questo rapporto si stia evolvendo nel tempo?
Il Beijing Dodo Art Museum è un museo d’arte senza scopo di lucro, incentrato sullo scambio culturale internazionale, l’educazione artistica dei bambini e la civiltà ecologica. Quest’anno, lo spazio interno ed esterno del museo è stato rinnovato. I circa 12 mila metri quadrati adiacenti al museo sono stati ricostruiti ed è stato realizzato il giardino internazionale delle sculture ecologiche di Dodo. Ora più di 400 sculture sono collocate all’aperto. Spero diventi un museo di arte popolare e un parco di sculture completo e multifunzionale aperto al mondo. Per quanto riguarda Milot si, lui è un mio storico collaboratore, sono anni che ci conosciamo, lo stimo molto come uomo e come artista, per questo motivo ho deciso di nominarlo Direttore Artistico con delega ai rapporti con l’estero. Insieme stiamo lavorando per aprire il Museo alle Istituzioni artistiche italiane e di altri Paesi, sperando che questo diventi una piattaforma per gli scambi culturali internazionali.
Quali sono i suoi prossimi progetti in Italia e in Europa?
Prima di tutto, c’è una grande mostra in Germania. Inoltre sia Milot – anche se attualmente sta lavorando alla realizzazione di una scultura monumentale tra le più grandi d’Italia – che Michele Stanzione, mio amico e fotografo ufficiale per l’estero, stanno pianificando per me molti eventi artistici su larga scala. Ma al momento non posso svelare di più.
Quale consiglio darebbe agli artisti italiani interessati a lavorare su questa “frontiera” tra Occidente ed Oriente, e in modo specifico a coloro che sono interessati a trovare una loro via espressiva e professionale in Cina?
La Cina ricopre un’ampia area geografica, ha una popolazione numerosa, un grande mercato e una situazione generale stabile. Consiglio agli artisti che vogliono affacciarsi a questo panorama di guardare avanti e non limitarsi alle città di primo livello come Pechino, Shanghai e Guangzhou, ma di estendere la propria attenzione anche ad altre zone, sia della Cina che del sud-est asiatico.
Per chiudere una domanda secchissima: lei si sente più scultore o pittore?
Che siano sculture o dipinti, si tratta di mezzi attraverso i quali un artista può esprimere i propri sentimenti. Io non mi limito dunque solo alla tecnicae all’abilità. Finché posso comunicare le mie sensazioni ed emozioni a livello artistico, proverò a farlo.
Di seguito una galleria di foto realizzate da Michele Stanzione a Napoli
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