A Napoli, fino a sabato 1 giugno, alla prima edizione del Festival Antimafia Sociale PREpotenze, lotta alla povertà, dall’antimafia sociale alle nuove schiavitù, l’ Associazione MetaMorfosi presenta un video e una mostra sul tema “Povertà e schiavitù nell’arte”, prodotti per quest’occasione, col sostegno di Fondazione Polis. Un breve racconto sulla rappresentazione nell’arte degli ultimi, dei poveri, degli schiavi, e su quella della lotta contro la schiavitù vecchia e nuova.
Il video prodotto da MetaMorfosi
Le Immagini di opere come La Zattera della Medusa di Théodore Géricault, quelle dei dannati e dei diseredati del Giudizio Universale di Michelangelo; la riscoperta di san Francesco di Caravaggio, dopo la lezione di Giotto, e dei suoi poverelli e la sua rappresentazione scandalosa della Madonna nel corpo di una prostituta dell’epoca, fino alla tragedia dell’eccidio di Zong nel mare della Giamaica rappresentato da Turner e la lettura contemporanea della tragedia dei migranti abbandonati fra le acque nella visione di Banksy, scorrono come un unico racconto che rilegge la potenza dell’arte che denuncia e si fa messaggio sociale
«”È necessario ripartire daccapo, ripristinando il senso del proprio essere “umani”, che significa anche la capacità di divenire costruttori di società che abbiano al centro il rispetto di ogni persona e della vita. Ma anche l’idea di libertà che, mai scontata, è tale solo se è rapportata ad altro da noi”. Così si scrive nella presentazione di PREpotenze. La storia dell’arte e della creatività umana è spesso stata una storia dei pre-potenti, o semplicemente dei potenti, per celebrare i loro fasti – guerre terribili, spoliazioni di popoli, ricchezze accumulate- o i loro dei. Ma nella storia dell’arte si è fatta strada, come condizione del progresso umano, la voce degli ultimi, dei diseredati, dei poveri, a partire dagli ultimi degli ultimi, gli schiavi. Il ticinese Vincenzo Vela, partecipando ai moti del 1848 e alla prima guerra di indipendenza, immortala Spartaco, simbolo del riscatto degli schiavi, che in tutto il secondo ‘800 e nel primo ‘900 diventerà l’icona della lotta per la dignità umana». Pietro Folena, presidente di MetaMorfosi è la voce narrante del piccolo ma intenso video dedicato alla potenza della storia dell’arte nel raccontare i più deboli e i diseredati, e le lotte per la loro emancipazione.
Schiavi e prigionieri di guerra



«Lo schiavo, prigioniero di guerra, o persona indebitata che vende sé stesso per pagare il suo debito, viene rappresentato nelle sue attività al servizio del proprio padrone. Remare la barca, servire nelle ville, combattere fino alla morte nei giochi pubblici. Il potere di vita e di morte appartiene al suo proprietario, così come la speranza di diventare liberto. Nel mondo greco e romano la schiavitù svolge una funzione centrale. – Spiega Folena commentando l’opera ottocentesca del francese Jean-Léon Gérome che rappresenta il mercato romano degli schiavi. «L’Antico Testamento tollera l’esistenza della schiavitù umana -e neppure il messaggio di fratellanza universale di Gesù (“amerai il prossimo tuo come te stesso”) è sufficiente per ripudiare, nel mondo cristiano, lo schiavismo, quanto per invocare almeno un trattamento equo e umano, fino all’Alto Medioevo. Cimabue Francesco dipinge nella Basilica di Assisi, nella sua rappresentazione più nota. Con Francesco i poveri, i diseredati, i profughi entrano nella storia dell’arte. Il ritorno alle origini del cristianesimo viene rappresentato da Giotto in forme sublimi, aprendo la strada a tutte le novità dei secoli successivi».
La rappresentazione di San Francesco e dei suoi poverelli
«Molti altri pittori, dopo Giotto, si cimentano con la rappresentazione di Francesco. Nel Nord dell’Europa, Jan van Eyck, protagonista del Rinascimento fiammingo, rappresenta in modo austero le stigmate di San Francesco, mentre il suo compagno, Fra Leone, è addormentato. E così, nella prima parte del Rinascimento italiano, torna la rappresentazione di Francesco che si spoglia dagli averi. Domenico Ghirlandaio, tra il 1482 e il 185, affresca la Cappella Sassetti della Chiesa della Santa Trinità a Firenze. E Benozzo Gozzoli, che sicuramente aveva visto gli affreschi di Assisi, a Montefalco rappresenta, qualche anno prima e con diversa sensibilità, la scena».
La rivoluzione di Michelangelo nel Giudizio Universale e nei Prigioni
«La ricerca del bello, riscoprendo il modello classico, anche in ragione delle volontà dei ricchi committenti – principi, papi e potenti che assoldando i più grandi artisti intendevano celebrare il proprio potere – mette in ombra, almeno fino alla Riforma la rappresentazione dei poveri e dei diseredati. Fa eccezione il solo Michelangelo Buonarroti che, in particolare nel Giudizio Universale fa rientrare i dannati, i diseredati, l’umanità dolente in uno degli affreschi più potenti e incredibili della storia. Sotto lo sguardo e il gesto di un Cristo accusatore, torna in altre forme la critica al potere temporale della Chiesa. Non assume le forme francescane, ma quelle di una simpatia per i temi agitati dalla Riforma. L’uomo di Michelangelo non è quello dell’Umanesimo e del primo Rinascimento, esaltato dalla perfezione delle proporzioni dell’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci o dalla bellezza assoluta dei volti di Raffaello Sanzio. È un uomo invece che dal modello classico recepisce e impara la plasticità, le forme e i movimenti, fino ad esaltarne il dramma. Così è nel Giudizio, e così è nella serie degli Schiavi»
I Prigioni, o gli schiavi, sono un gruppo di sei statue di Michelangelo pensati per la tomba di Giulio II e terminati negli anni Venti del ‘500. Riprendono gli antichi motivi dei Captivi di epoca romana. Si tratta di capolavori evidentemente non-finiti, che aprono cioè quel grande filone del non finito, seguito a quello della perfezione scultorea giovanile, che segnerà il tormento e l’inquietudine, fino alla morte, di questo straordinario genio creativo».



I popolani, i ladri, i delinquenti e le prostitute di Caravaggio
«La lezione di Michelangelo influenza Caravaggio. Nell’epoca della Controriforma, quando i canoni ideologici e pittorici si fanno più stretti, Michelangelo Merisi, con la verità della luce, riscopre San Francesco. L’indicazione della Chiesa di raffigurare i santi è molto rigorosa. È un Francesco in meditazione. È vestito poveramente, con un saio bucato e rattoppato. Il richiamo al pauperismo delle origini del cristianesimo è forte. Ma l’eresia artistica del genio lombardo lo porterà a usare questi canoni raffigurando popolani, ladri, delinquenti, prostitute, con cui viveva nel rione di Campo Marzio come Santi e padri della Chiesa. Lo scandalo è supremo quando, per rappresentare la morte della Vergine Maria. Caravaggio usa come modella una prostituta annegata nel Tevere. Il ventre è gonfio dall’acqua, e sembra rappresentare una gravidanza della Madonna. I Frati della Chiesa a cui il dipinto era destinato lo respingono. Peter Paul Rubens, per conto dei duchi di Mantova, compra l’opera. Da Mantova poi arriverà in Francia, dove è esposta al Louvre. I poveri, gli schiavi dell’epoca, le donne costrette o spinte a prostituirsi rappresentano i soggetti perfetti di quel nuovo realismo che, nel buio teatrale degli scenari caravaggeschi, li fa diventare santi, addirittura li rende eterni».
Lo schiavismo e la lotta per la sua abolizione
«Nel ‘600 Caravaggio fa scuola. Le rappresentazioni della povertà, della vita comune, delle attività umane si moltiplicano, dando il senso dell’evoluzione della società e del cambiamento del gusto. Ma è con la globalizzazione a cavallo tra il XVII° e il XVIII° secolo, segnata dagli orrori dello schiavismo operato dalle grandi potenze europee in Africa, e con il colonialismo e l’esplosione dei commerci via mare, che entrano in scena i nuovi ultimi.
Il Museo nazionale di storia e cultura afroamericana (NMAAHC), a Washington, voluto da Barack Obama, racconta in modo drammatico e vivissimo la storia dello schiavismo, della lotta per abolirlo e di quella contro il razzismo. Si scende sottoterra, come nella pancia di una delle navi negriere che deportavano gli africani. Dal buio angosciante di quella nave si sale ai piani superiori, fino all’abolizione della schiavitù voluta da Abramo Lincoln e poi alle grandi lotte civili e antirazziste della seconda metà del secolo scorso.
Una delle più straordinarie rappresentazioni della crudeltà dei negrieri e delle loro navi è quella proposta dal genio di William Turner nel 1840. Sulla nave negriera Zong, nel 1781, era scoppiata al largo delle coste della Giamaica, un’epidemia tra gli schiavi. Il comandante decise di gettare in un mare infestato dagli squali, 132 africani, incatenati, fra cui donne e bambini. Dal martirio di questi nacque un moto imponente che portò nell’impero britannico all’abolizione della tratta degli schiavi. Turner, col suo genio visionario, ai limiti della follia, rappresenta questa strage con una potenza drammatica senza precedenti. I 132 della Zong saranno per sempre l’emblema della lotta contro la schiavitù, contro il razzismo e contro la cinica indifferenza di tanti potenti nei confronti della vita umana, come si è visto in questi decenni nel Mediterraneo».
Gli schiavi, prime vittime del mare



«All’inizio del XIX° secolo Théodore Géricault aveva rappresentato nella forma più potente la lotta degli ultimi per salvare la propria vita. La Zattera della Medusa racconta la storia di un capitano vigliacco che, avendo incagliato la nave nelle secche al largo delle coste africane, si era salvato sulla scialuppa lasciando parte dell’equipaggio alla deriva. Per salvarsi i naufraghi si cibano anche di carne umana. La zattera della Medusa, un moderno Giudizio Universale, una tragedia dell’umanità qui e ora. È un marinaio nero a avvistare Argus, la nave che li salverà, e a chiamare i sopravvissuti che alzano le loro flebili voci.
Il 27 aprile 1848 la Francia abolisce la schiavitù, e così il pittore François Biard celebra l’avvenimento, voluto con forza dal sottosegretario alla Marina Victor Schœlcher, che ha dedicato la sua vita a questa lotta. Nicolas Louis François Gosse ne propone una versione allegorica, di gusto neoclassico e di grande potenza espressiva.
Abraham Lincoln, col Proclama dell’Emancipazione del 1862, decretava la liberazione di tutti gli schiavi negli Stati confederati, e nel 1865, prima di essere assassinato per le sue idee abolizioniste, fece promulgare dal Congresso il XIII° emendamento costituzionale. Il pittore muralista americano Jules Guérin illustra così il memoriale di Lincoln a Washington».
La lotta allo schiavismo e al razzismo si accompagna con l’ingresso del popolo organizzato nell’arte.
«Sul Quarto Stato di Giuseppe Pelizza da Volpedo è un’icona universale. Annuncia un secolo in cui dal muralismo messicano al realismo sovietico delle origini, gli sfruttati e i lavoratori diventano i soggetti della creazione artistica. Il Quinto Stato di Mario Ceroli, conservato alla Camera dei Deputati, rende un omaggio contemporaneo al capolavoro di Pelizza da Volpedo.
L’arte seriale, la pop art, l’epoca dei multipli e, in tempi più recenti la street art e l’arte urbana, fuori dai canoni del mercato, proseguono questa lotta di idee. Piace ricordare come anche Salvador Dalì, artista geniale, eccentrico e controverso, abbia voluto rappresentare questa lotta contro le schiavitù, di ieri e di oggi, Nel suo mercato degli schiavi, con l’illusione ottica del busto di Voltaire, il surrealismo ci spinge verso una nuova percezione della schiavitù.
La comunicazione moderna, i social e il messaggio di Banksy
La società dell’immagine e della comunicazione, e il mondo dei social stanno cambiando tutto. Nuove forme di schiavitù, materiali e spirituali, si affacciano. Prima fra queste quella delle mafie e dei poteri criminali. E così nuove forme di libertà. Ma noi non possiamo che ripartire da qui. Dalla nuova Zattera della Medusa che Banksy ha dipinto su un grande muro di cemento della giungla di Calais, dove decine di migliaia di migranti, diseredati, profughi, poveri si sono ammassati in condizioni disumane tra il gennaio 2015 e l’ottobre 2016. Lo sgombero di quella giungla ha portato a tante altre giungle, più piccole e meno visibili, ma non più umane.
La funzione civile dell’arte
Anche l’arte, in questo tempo di transizione e di crisi, svolge una funzione civile immensa, e talvolta prende il posto lasciato da una politica con pochi valori e principi. “Quando gli schiavi si mettono insieme – diceva Martin Luther King – comincia l’uscita dalla schiavitù”.
“Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; La schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma” recita la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1848. Sotto qualsiasi forma, nel 2024. Fratelli tutti, davvero.
