Con un ricco bottino di oltre 270 mila visitatori soltanto nella tappa d’esordio a Milano, Munch il grido interiore arriva a Roma e tutto fa pensare ad un grande successo. Cento opere di uno degli artisti più inquietanti, e forse proprio per questo, più amati dell’’intero Novecento saranno in mostra da martedì 11 febbraio fino al 2 giugno a Palazzo Bonaparte e sarà proprio la Regina consorte Sonja, arrivata appositamente dalla Norvegia, a tagliare il nastro assieme al nostro Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Curata da Patricia G. Berman, appassionata studiosa dell’artista, con la collaborazione scientifica di Costantino D’Orazio, prodotta e realizzata da Arthemisia con la collaborazione del Museo Munch di Oslo, Munch il grido interiore tiene fede al suo titolo e ci catapulta negli abissi dell’interiorità vissuta con la tetra angoscia che sembra arrivare direttamente dai paesaggi nordici dai quali l’artista, nato e morto in Norvegia, non si è mai distaccato.



L’indagine emotiva
Le cento opere esposte al secondo e terzo piano del palazzo che affaccia su Piazza Venezia e via del Corso, rappresentano un approfondito e coinvolgente percorso attraverso il mondo oscuro dell’artista che egli tradusse in migliaia di stampe e dipinti. Una produzione immensa, che negli anni arricchì di fogli, annotazioni, lettere e persino una sceneggiatura per il teatro. Tutte, dalle stampe agli oli di grandi dimensioni, tratteggiano il suo scavare incessante intorno alle inquietudini e ai dolori che attraversarono tutta la sua biografia a partire dalla perdita della madre quando aveva soltanto cinque anni, seguita dalla morte prima della sorella e poi del padre. «Si definiva un anatomopatologo dell’arte» ha spiegato questa mattina la curatrice nel corso della presentazione. «Munch – ha aggiunto – è stato uno degli artisti che più di ogni altro si è prodigato nel trasferire le sue emozioni interne nelle tecniche artistiche più diverse dalla pittura alla fotografia. Ma questa mostra vuole concentrarsi soprattutto sulla sua indagine emotiva».


Introspezione, ricordi, sessualità e il rapporto con l’Italia
Sette le sezioni della mostra che spaziano dal tema del recupero dei ricordi nella percezione della realtà che dipinge, che lo porta ad affermare «Non dipingo cosa vedo, ma dipingo ciò che ho visto», all’influenza che la malattia e il dolore esercitarono sulla sua arte che lo portano a ripercorrere l’agonia sul letto di morte delle persone amate e morte durante la sua infanzia e la sua adolescenza. Non manca il tema fondamentale della sessualità: sono le opere dedicate al desiderio erotico, che crea nel corso di decenni e articola nella serie chiamata “Amore” che si trasformerà nel “Ciclo della vita”, raccontando questa empatia nei confronti di una tematica che lo affascina e lo coinvolge nel profondo. Una sezione è anche dedicata al suo rapporto con l’Italia, scaturito da due soggiorni nel 1899 e nel 1927, che lo videro attraversare la penisola da Milano a Firenze, trascorrendo un intero mese a Roma dove lo zio era stato sepolto, in una tomba monumentale nel cimitero acattolico, a cui Munch non dimentica di rendere omaggio.



Le opere iconiche
Molte le opere iconiche in mostra: Le ragazze sul ponte (1927), Danza sulla spiaggia (1904), una straordinaria Disperazione (1894) che anticipa i temi de L’Urlo che appare in mostra in una litografia del 1895 accompagnata da un apparato multimediale che ne racconta la storia e la fortuna nei anni, dalla rappresentazione nei Simpson alla trasformazione in emoticon, ma soprattutto ne evoca la genesi con le parole lasciate dallo stesso artista a ricordare il momento della suo concepimento durante una passeggiata sulla collina che fronteggia Oslo. Famosissime, e bellissime, anche Vampiro (1895) e le due litografie dallo stesso tema e tecnica Madonna (1895 colorata a mano e 1902 stampata a colori), come anche La morte nella stanza della malata (1893) densa di angoscia e dolore, la litografia Gelosia II (1896). Presenti in mostra anche due autoritratti dell’artista, uno su olio e uno realizzato in litografia.
«Una mostra da visitare con lentezza e con gentilezza – ha concluso la curatrice – per nuova visione artistica non soltanto delle sue opere ma anche di chi siamo noi, nei nostri sentimenti più intimi».


foto@mgfilippi